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L’oratorio di Händel diretto da Richard Egarr alla guida di una delle più specializzate e prestigiose formazioni internazionali
di Monika Prusak
È stato un bel regalo di Natale, quello del Teatro Massimo di Palermo del 12 dicembre scorso. La musica di Georg Friedrich Händel è sempre appassionante, ma lo diventa ancor di più quando si tratta di un’esecuzione in madrelingua, considerati l’innata eleganza degli inglesi, lo stile esecutivo e la vocalità che accarezzano anche il più esigente orecchio melomane. Il Messiah è una composizione complessa e maestosa, un oratorio che incanta per l’eccellenza della scrittura corale e per le notevoli difficoltà tecniche, con le quali il compositore, tedesco di nascita ma naturalizzato inglese, cuce l’immensa partitura. Basato sul libretto di Charles Jennes, il Messiah fu scritto nel 1741 ed eseguito per la prima volta l’anno dopo a Dublino. Nonostante l’oratorio sia stato originariamente pensato per il periodo pasquale, si adatta perfettamente, grazie al carattere prevalentemente festoso, al clima prenatalizio.
Si nota, chiaramente, la pronuncia madrelingua del testo, che non bada alla rotondità del suono, ma piuttosto alla naturalezza e alla chiarezza del messaggio
I protagonisti della serata händeliana sono stati l’orchestra e il coro dell’Academy of Ancient Music di Londra, fondata nel 1973 da Christopher Hogwood e attualmente guidata dal clavicembalista Richard Egarr. L’AAM è una delle prime orchestre che negli anni ’70 hanno iniziato a eseguire musica antica con strumenti storici, cercando sempre di approfondire le conoscenze sullo stile e sulla pratica esecutiva dei secoli passati. Questo approccio, che oggi è in uso in tutto il mondo, all’epoca ha segnato una vera e propria rivoluzione nell’interpretazione della musica antica, offrendo allo spettatore la possibilità di rivivere l’atmosfera delle corti sei- e settecentesche e aprendo un campo assai vasto di ricerca a musicisti e musicologi.

L’orchestra e il coro dell’AAM, diretti con maestria da Egarr, sono risultati come un unico organico al limite tra vocale e strumentale, con il magnifico legato delle voci da una parte e con la respirazione naturale degli strumenti dall’altra: un organismo perfettamente accordato ed equilibrato, omogeneo per quel che riguarda il timbro e l’articolazione. Egarr sceglie tempi abbastanza accelerati per la Sinfonia e per le arie con agilità, ciò nonostante riesce a mantenere una magnifica atmosfera di pace. Notevole il cambiamento di timbro del coro al variare della dinamica: morbido e delicato nel piano diventa corposo e più aggressivo nel forte. Si nota, chiaramente, la pronuncia madrelingua del testo, che non bada alla rotondità del suono, ma piuttosto alla naturalezza e alla chiarezza del messaggio, una delle caratteristiche che contraddistinguono l’emissione anglosassone della voce nell’esecuzione della musica antica. I soprani dal suono cristallino, etereo e delicato si oppongono ai suoni più bruschi dei contralti; lo stesso accade per le voci maschili, delle quali i bassi costituiscono una solida base dell’armonia.
Accanto al coro-protagonista, il Messiah prevede quattro voci soliste, che si sviluppano tra recitativi, arie e duetti. Il primo ad apparire è il tenore, la cui parte è stata interpretata da Ben Johnson, cantante inglese dotato di una voce calda e tecnicamente perfetta. È apparsa coinvolgente la voce del mezzosoprano britannico Clare Wilkinson che, nonostante il volume poco pronunciato, ha mostrato una notevole capacità di fraseggio e un timbro assai piacevole e idoneo. Completamente diverso è stato l’approccio del soprano inglese Sarah Fox che, preferendo una vocalità lirica, ha riscosso più successo per quel che riguarda l’acustica teatrale. È stata apprezzata, infine, l’esecuzione del basso tedesco Stephan Loges, dotato di registro grave caldo e corposo, ma allo stesso tempo delicato, e di una considerevole espressività e padronanza tecnica.
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