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La passione di Bach a Torino: una interessante lettura di Helmuth Rilling sul podio di OSNRai
di Attilio Piovano
Profondamente radicata nell’humus luterano, la bachiana Johannes-Passion BWV 245, nata nel contesto della Lipsia settecentesca per finalità segnatamente liturgiche, a tutt’oggi mantiene pressoché intatto il suo fascino; più ancora, da essa promana un messaggio di vigorosa e suggestiva spiritualità che – a maggior ragione – in questi nostri tempi calamitosi di crisi dei valori e, ci sia permesso sottolinearlo senza mezzi termini, di materialismo talora vistosamente esasperato – s’impone in tutta la sua grandezza. Se poi a dirigerla è uno specialista del calibro di Helmuth Rilling, ecco che il capolavoro del Kantor giganteggia in tutta la sua pregnanza, etica e musicale (e dire che la prima esecuzione risale al 1724: e sono trascorsi quasi tre secoli). L’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai, in sintonia con i tempi dell’anno liturgico – fa piacere rilevarlo – l’ha proposta in questo scorcio di Quaresima 2012, collocandola in cartellone giovedì 1 marzo, con replica venerdì 2 (alla quale si riferisce la presente recensione), presso l’Auditorium ‘Toscanini’ di piazza Fratelli Rossaro, a Torino. Molti ascoltatori, poi, l’hanno potuta seguire in occasione della diretta radiofonica (su Radio3 nell’ambito di Radio3 Suite), disponibile anche in streaming, audio-video, su www.osn.rai.it.
Più intimista e commovente, quantomeno priva di quella teatralità che caratterizza invece la Matthäus-Passion, la Johannes viene incontro all’ascoltatore con la naturalezza dei capolavori assoluti, a partire dal monumentale, e pur lineare coro d’esordio, «Herr, unser Herrscher»
Alla serata hanno dato vita un cast di tutto rispetto, assai apprezzato, specie sul versante delle valide voci maschili, nonché l’ottimo Coro ‘Ruggero Maghini’ istruito dall’esperto Claudio Chiavazza, assai cresciuto dall’ultima volta che lo avevamo ascoltato ed era già ad alti livelli: molti sono stati i momenti memorabili e il coro, si sa, impersona il popolo, petulante, fanatico ed aggressivo, oppure indifferente e cinico, ma al tempo stesso resta ‘esterno’ alla vicenda, laddove gli viene richiesto di vestire i panni dei fedeli intenti a manifestare il proprio intimismo nei toccanti corali, la più tipica espressione del luteranesimo. Tra i passi più impressionanti (ma occorrerebbe elencarne molti di più) la spartizione delle vesti («Lasset uns den nich zerteilen»), con quel basso albertino che Rilling ha inteso – molto opportunamente – porre quasi in primo piano, a sottolineare la prosaica volgarità dei soldati romani, ignari del mistero che si compì ai loro occhi.
Più intimista e commovente, quantomeno priva di quella teatralità che caratterizza invece la Matthäus-Passion, la Johannes viene incontro all’ascoltatore con la naturalezza dei capolavori assoluti, a partire dal monumentale, e pur lineare coro d’esordio, «Herr, unser Herrscher» che Rilling ha lasciato fluire con grandiosa e ieratica maestosità, dipanandone con cura le fitte trame polifoniche (dirige per intero a memoria, con invidiabile vitalità nonostante l’età avanzata – è nato nel 1933 – potendo contare su una incredibile cultura ed una esperienza davvero unica: di Bach, poi, è uno dei massimi conoscitori, per primo ha inciso l’intera e vasta serie delle Cantate e nel 2000 ha coordinato la registrazione in 172 cd dell’intero repertorio bachiano).
Una lettura, quella di Rilling, lontana da certi sterili pseudo filologismi, oggi fin troppo di moda (non a caso alla guida di un complesso con strumenti moderni), pur tuttavia attenta a restituire al meglio la dimensione stilistica della pagina bachiana. Rilling imprime giusti tempi, centellinando particolari preziosi – lo squarciarsi del velo del tempio, il momento del transitus vitae, e così pure l’incredula attonita commozione del popolo nel celeberrimo coro conclusivo a suggello dell’eccelsa partitura – senza timore di indugiare nei punti topici («Donna ecco tuo figlio»), ma nel contempo conferendo (specie nella seconda parte, come è giusto) quell’incalzante drammaticità che della pagina è uno dei tratti irrinunciabili, giù giù sino al sublime climax emotivo e musicale di questo straordinario attestato di fede.
Che sarebbe stata una esecuzione di livello lo si è compreso fin dai primi istanti: la conferma subito dopo nel coro «Jesum von Nazareth» reso con fraseggi staccati e incisivi. Il tenore Lothar Odinius, con voce autorevole e timbro nitido ha ben disimpegnato il ruolo dell’Evangelista ovvero dell’historicus, sapendo trascolorare con naturalezza ed opportuna scioltezza tra i vari registri dei recitativi dalle molte sfumature espressive: talora scarni, talaltra mistici, rendendoli ora tesi e drammatici, ora solenni; recitativi collocati a delineare la tramatura dell’opera, interpuntata dalle arie di impianto spesso smaccatamente italiano col da capo, a volte con strumenti ‘obbligati’, e così pure intercalata dagli ariosi, come dai lancinanti interventi del coro (i celebri cori ‘turba’ per il cinismo del popolo) e i mirifici corali. Non pochi tratti sono emersi in tutta la loro intensità espressiva: il dolente vocalizzo fitto di cromatismi che ‘mima’ l’afflizione di Pietro dopo aver rinnegato Gesù («Weinete bitterlich»), l’attimo supremo in cui il Salvatore ‘rende lo spirito’ e molti altri passi ancora. Ottima la prova fornita dal basso Michael Nagy nel ruolo di Gesù alla cui parte ha conferito accenti solenni e ieratici, come occorre, ma altresì una humanitas a tutto tondo, affiancato per le arie dal tenore Bernhard Berchtold e dal basso Konstantin Wolff.
Meno convincente il versante femminile del cast: ci si aspettava qualche guizzo in più dalle pur corrette Julia Sophie Wagner (soprano), ed Ingeborg Danz (contralto) nelle varie arie (è il caso dell’attonita «Tutto è compiuto» collocata a dar corpo allo sgomento dei discepoli di fronte alla morte del Cristo). Bene nel complesso l’Orchestra Rai, dall’organico opportunamente ridotto e dalle esperte prime parti (un plauso speciale a Francesco Pomarico e Franco Tangari oboi ed oboi d’amore per le arie concertanti, così pure Monica Berni e Paolo Fratini, flauti; bene, ma non benissimo, Sabina Colonna viola da gamba, molto disinvolta invece Mariangiola Martello che ha assecondato con efficacia e giusta souplesse i vari recitativi dalla tastiera dell’organo). Davvero ottimo il coro, già lo si è detto, ma merita ribadirlo, specie in occasione di quegli interventi grazie ai quali l’umanità del Cristo si fa palpitante, attorniata di presenze vive (il superbo fugato di «Lässest du diesen»), in qualche caso fin beffarde («Non costui ma Barabba» o ancora «Crocifiggi, Crocifiggi!»), più spesso stupefatte di fronte al mistero cristologico: esemplare l’etereo coro di chiusura «Riposate in pace, o sante ossa» quasi tenera berceuse, con quelle insistite frasi ostinate, adagiate in un pur cupo do minore, a conclusione d’uno dei più straordinari capolavori di tutti i tempi. Convinti e protratti gli applausi da parte di una sala quasi al completo.
© Riproduzione riservata
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Helmuth Rilling
Nel 1954 Rilling ha fondato la Gächinger Kantorei e nel 1965, il Bach Collegium Stuttgart, il partner strumentale più importante della Gächinger Kantorei. Da allora il Direttore ha cominciato la sua attività musicale strettamente legata alla musica di Bach. Inoltre, è diventato un fervente sostenitore della musica corale romantica ma anche di quella contemporanea: nel 2000 ha diretto 4 nuovi brani di importanti compositori contemporanei, appositamente commissionati sul tema della “Passione”.
In omaggio alla sua devozione per Bach, nel 1981 ha fondato la Internationale Bachakademie Stuttgart dedicata a promuovere la musica di J.S. Bach con concerti pubblici, masterclass per cantanti e direttori, convegni, accademie in tutto il mondo, dedicati a particolari aspetti della musica di Bach, oltre ad appuntamenti annuali quali la Stuttgart Bach Week e l’European Music Festival Stuttgart. Per incoraggiare i giovani musicisti, Rilling ha fondato nel 2001 il Festival Choir and Orchestra of the European Music Festival Stuttgart. Nel 1970 è diventato Direttore Artistico dell’Oregon Bach Festival, uno dei più importanti festival di musica degli Stati Uniti. Tra il 1970 e il 1984 è stato il primo musicista a registrare l’integrale delle Cantate di Bach. Inoltre, è stato la mente organizzativa del progetto dell’International Bachakademie per l’incisione dell’opera omnia di Bach su ben 172 CD, progetto che ha ricevuto i più importanti riconoscimenti internazionali. Tra gli altri, ad Helmuth Rilling è stato assegnato l’UNESCO International Music Prize nel 1994 e il Theodor Heuss Prize nel 1995. Nel 2003 è diventato Membro Onorario dell’American Academy of the Arts and Sciences. Nel 2000 ha vinto l’ambito Grammy Award per l’incisione del Credo di Krzystof Penderecki ed è stato nominato di nuovo nel 2001 per il Deus Passus di Wolfgang Rihm. Nel gennaio 2005 ha diretto l’acclamatissima prima alla Carnegie Hall di New York della Messa in Do minore di Mozart completata da Robert Levin.
Nel gennaio 2006 Helmuth Rilling è stato il direttore ospite della Israel Philharmonic Orchestra, con la quale si è esibito per tre settimane con la Gächinger Kantorei a Tel Aviv, a Gerusalemme e Haifa.
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