La XX Stagione di musica antica ”Antonio Il Verso” è stata inaugurata con l’ensemble che porta il nome del celebre mandolinista cagliaritano, omaggiato nel centenario della nascita
di Monika Prusak
Il 1° marzo del 1912 nasceva a Cagliari Giuseppe Anedda, il “mandolino più famoso d’Europa”, che con singolare maestria ha portato questo strumento popolare nelle più prestigiose sale da concerto di tutto il mondo. La sua attività concertistica era affiancata a un’accurata ricerca sul repertorio e all’attività didattica, tanto che nel 1975 a Padova gli fu conferita la prima cattedra italiana di mandolino. L’Associazione per la musica antica “Antonio Il Verso” di Palermo ha voluto rendere omaggio al centenario della nascita di Anedda dedicandogli il concerto inaugurativo della XX stagione, il 6 marzo scorso, e inserendosi, allo stesso tempo, in un più ampio progetto celebrativo ideato dal Quintetto a Plettro “Giuseppe Anedda”, che abbraccia quattro città a lui care: la nativa Cagliari, Roma, dove ha vissuto, Palermo, dove ebbe inizio la sua carriera concertistica e Padova, dove ha insegnato.
Il mandolino è uno strumento che già di per sé risulta simpatico per il suono squillante e allo stesso tempo caldo. In più, abbiamo l’impressione che risvegli nel pubblico una memoria perduta, di quando lo strumento era diffusissimo, soprattutto in ambito popolare
Cinque giovani musicisti, cinque strumenti e tanta passione per la musica “a plettro”: il Quintetto “Anedda” è un ensemble ben affiatato e appassionante, che riesce a catturare l’attenzione del pubblico con successo. Eredi in linea diretta del celebre nonno Anedda, Emanuele e Valdimiro Buzi (mandolino e mandola), condividono il palcoscenico con Norberto Gonçalves Da Cruz (mandolino), Andrea Pace (chitarra) e Emiliano Piccolini (contrabbasso). Insieme portano avanti il progetto di tutela di uno dei più antichi patrimoni culturali della tradizione italiana, quello del repertorio mandolinistico.
Per l’inaugurazione della stagione di “Antonio Il Verso” il Quintetto ha scelto cinque composizioni settecentesche. Il concerto è iniziato con la Sonata VI “A Grand’Orchestre” del compositore e clarinettista tedesco Valentin Roeser, ricca in sfumature dinamiche, esaltate magnificamente dagli interpreti, i cui tre movimenti (Allegro molto con brio – Romance – Finale) formano una sorta di crescendo timbrico: dal calore e dalla morbidezza dei primi due si giunge alle sonorità più corpose del finale. Si è passati poi al Concerto in Sol maggiore per mandolino, archi e b.c. di Domenico Gaudioso, un compositore poco noto riscoperto proprio da Anedda nella biblioteca universitaria di Uppsala in Svezia (collezione Gimo), del quale si conoscono due soli manoscritti dello stesso concerto. La parte solista della composizione in tre movimenti (Allegro – Largo – Allegro Assai) è stata eseguita da Emanuele Buzi, che ha incantato con il suono dolce e nostalgico del mandolino portato al culmine nella cadenza finale: il tempo è sembrato soffermarsi, riflettere rallentando, per poi riprendere un andamento più mosso nell’Allegro Assai. La personalità artistica di Buzi ha trasmesso in modo eccellente l’indubbia forza creativa dell’ignoto compositore, la cui opera meriterebbe un ulteriore approfondimento musicologico. I due brani successivi di Carlo Cecere, la Sinfonia in Sol maggiore per due mandolini e b.c. e il Concerto in La maggiore per mandolino, archi e b.c., rivelano la scrittura tecnicamente impegnativa del violinista, mandolinista e compositore napoletano, soprattutto per quanto riguarda il Concerto in La maggiore, anch’esso frutto delle ricerche condotte da Anedda a Uppsala. Norberto Gonçalves Da Cruz è un solista dal suono puro e coinvolgente appoggiato da una notevole abilità tecnica, senza dubbio indispensabile per interpretare la composizione. I tre movimenti (Allegro ma non presto – Largo – Grazioso) sono scritti per un virtuoso che, nonostante le notevoli difficoltà esecutive, ha il compito di creare le più svariate nuance di timbro e dinamica. Grazie all’altissima concentrazione del mandolinista di origine portoghese Da Cruz anche il pubblico rimane “senza fiato”: eccezionale agilità e sfumature dinamiche, che toccano un piano quasi inudibile, fanno calare un silenzio pressoché assoluto tra gli spettatori. La cadenza eseguita da Da Cruz fu scritta dallo stesso Anedda che, come racconta Emanuele Buzi, eseguì il Concerto in La maggiore di Cecere in prima assoluta con l’Orchestra Scarlatti di Napoli alla Reggia di Capodimonte per il Luglio Napoletano del 1966. Il concerto si è concluso con l’Ouverture in Mi bemolle maggiore di Prospero Cauciello, un’esecuzione piacevole, ma di una composizione decisamente meno complessa della precedente.
Non è mancato il bis che, dopo un programma pressoché interamente dedicato ai solisti, ha permesso di apprezzare maggiormente la bravura del chitarrista Andrea Pace e del contrabbassista Emiliano Piccolini. L’esecuzione di Zita di Astor Piazzolla, oltre a cambiare del tutto il clima del concerto, ha rivelato nuovamente la meravigliosa compattezza del gruppo, sia dal punto di vista sonoro che da quello interpretativo, arricchita dal temperamento prettamente meridionale. Merita una nota il timbro caldo e avvolgente della mandola di Valdimiro Buzi, che in questa composizione ha potuto esprimersi con maggiore disinvoltura.
Alla domanda sul repertorio e sugli obiettivi principali del gruppo Emanuele Buzi risponde: «Il nostro intento è quello di proseguire il lavoro di Anedda, che potrei sintetizzare in tre fasi: la tutela del repertorio originale, la composizione di nuove musiche originali e la trascrizione di composizioni che esaltino le possibilità tecniche ed espressive dei nostri strumenti. Piazzolla è tra i nostri autori preferiti». Buzi parla anche del rapporto particolare che il Quintetto riesce ad instaurare con gli spettatori: «La risposta del pubblico è sempre entusiastica e speriamo che continui ad esserlo. Il mandolino è uno strumento che già di per sé risulta simpatico per il suono squillante e allo stesso tempo caldo. In più, abbiamo l’impressione che risvegli nel pubblico una memoria perduta, di quando lo strumento era diffusissimo, soprattutto in ambito popolare».
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