
Al Radialsystem V di Berlino un progetto visuale che ha visto protagonista l’ensemble barocco Lautten Compagney
di Barbara Babic
BERLINO – La cornice è quella del Radialsystem V – Space for art and ideas, un impianto di depurazione delle acque risalente al 1880 e reinventato a partire dal 2006 in uno spazio di grande innovazione e vitalità culturale, operazione decisamente in linea con il gusto berlinese degli ultimi anni. Tra le varie proposte artistiche tendenzialmente orientate verso la contemporaneità (i progetti danza della compagnia di Sasha Waltz e dell’ensemble Kaleidoskop) trova uno suo spazio anche la musica antica, in quest’occasione all’interno del festival Lux et Terra (25-28 maggio). La rassegna, in cui vengono presentati l’opera La Resurrezione di Häendel, un concerto e una tavola rotonda, si propone di aprire un dibattito in merito al ruolo della musica antica nel nostro tempo, in particolare chiedendosi se i mezzi visuali e multimediali di comunicazione che dominano così fortemente la nostra epoca possano fungere a sostegno della musica antica.
Una prima risposta la vuole dare la Lautten Compagney, una degli ensembles barocchi più noti in Germania, protagonista del primo concerto dell’iniziativa, che porta il caratteristico titolo Händel with care (giocando con il nome del compositore e «trattandolo con cura») – un concerto per occhi e orecchie. I brani – tratti da Rinaldo, Apollo e Dafne, Teseo, Amadigi di Händel e Timon of Athens, Dioclesan, King Arthur e The Fairy Queen di Purcell – sono stati arrangiati dal tiorbista e direttore dell’ensemble Wolfgang Katschner, che ha tralasciato volutamente la parte vocale per far parlare e cantare le immagini. Sul palco sono infatti disposti cinque alti pilastri bianchi su cui sono stati proiettati i video approntati per l’occasione da Frank Vetter, personalità che da anni si muove nell’ambito delle arti visuali a sostegno della musica classica (si veda il recente progetto della Götterdämmerung di Wagner per il teatro di Dessau).
Di primo acchito l’idea convince: The Trumpet’s loud clangor exites us to arms (Ode for St. Cecilia’s Day) di Händel viene accompagnata dalle immagini di un lampadario antico che con il suo movimento oscillatorio va riducendosi in un unico cerchio di luce nel buio (richiamando i temi di luce e terra del festival). È un peccato che dopo questo momento iniziale assai suggestivo, Vetter si sia indirizzato prevalentemente verso una continua, fredda e piuttosto banale astrazione di forme caratterizzata da geometrie in bianco e nero (cubi in composizione e decomposizione), se non in alcuni episodi isolati, come quelli sulle musiche di temi di danza (Dance dal Dioclesian e nella Chaconne di The Fairy Queen di Purcell) in cui vengono accennate delle figure in movimento che con via via assumono tratti antropomorfi.
Händel e Purcell sono rimasti per così dire muti, poiché il progetto visuale – che avrebbe potuto offrire molti spunti di riflessione e slanci di creatività, si è rivelato purtroppo non più di un mero apparato scenografico. Con notevole cura è stata invece trattata la parte musicale: la Lautten Compagney si dimostra un’ensemble affiatata, equilibrata, briosa, che dà il meglio di sé in particolare nella pirotecnica esecuzione di Più non cerca libertà dal Teseo di Händel (in cui la contrabbassista Annette Rheinfurth e il percussionista Peter Bauer si distinguono in un interessante intermezzo improvvisativo dalle sonorità quasi jazzistiche) e nella travolgente aria Desterò dall’empia Dite dall’Amadigi di Händel. Si avrà piacere di riascoltarli anche a partire da settembre, data in cui è prevista l’uscita del disco Handel with care, registrato questa primavera per la Sony.
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