
A Milano, per la Società dei Concerti, il pianista russo ha tenuto un recital con esiti alterni: dopo interpretazioni difficilmente giustificabili di Haydn e Beethoven, un Liszt che mozzava il fiato e non solo dal punto di vista tecnico
di Luca Chierici
Nel percorso evolutivo di ogni grande artista è lecito attendersi uno o più momenti di pausa riflessiva. Un tempo personaggi di livello altissimo si permettevano addirittura anni sabbatici, la scomparsa dal giro concertistico, il ritiro – seppure temporaneo – dalla scena pubblica. Oggi, con i ritmi inesorabili che contraddistinguono la nostra vita nel pianeta, l’artista deve essere onnipresente e multitasking, e se lo stesso è per caso sostenuto da un ego smisurato, la sua presenza infliggerà allo spettatore momenti di scarsa concentrazione, errate scelte di repertorio e quant’altro non contribuisca esattamente a consolidarne l’immagine globale a futura memoria.
Non è questo, beninteso, il caso di un pianista coscienzioso e preparatissimo come Evgenij Kissin, l’ex fanciullo prodigio che a dodici anni ti suonava i Concerti di Chopin con la perizia e la saggezza di un interprete che di anni di carriera alle spalle ne poteva avere cinquanta. Ma l’altra sera il pur magnifico artista ha spiazzato non poco le centinaia di ammiratori accorsi da ogni dove per ascoltarlo, con un’apertura di programma difficile da giustificare nei suoi esiti. Una complessa, enigmatica Sonata di Haydn, la n. 49, sulla quale si sono arrovellati pianisti del calibro di Richter, Horowitz, Serkin e Brendel, veniva risolta facendo appello solamente a un tocco staccato che ne sottolineava la meccanicità, le simmetrie, ma che mancava del tutto di spirito interno, di partecipazione emotiva. Ancora più problematica era la 111 di Beethoven, con un primo movimento faticoso e per nulla perentorio e una Arietta molto lenta nella quale non si coglieva affatto l’evoluzione del discorso nelle successive variazioni.
Meglio la scelta, poco dopo, di quattro Improvvisi schubertiani, ma il fenomeno Kissin doveva resuscitare in tutto il suo splendore solamente nell’ultimo brano del programma ufficiale e nei bis conclusivi. Esecuzioni mozzafiato, non solo dal punto di vista tecnico, della dodicesima Rapsodia e del decimo Studio trascendentale di Liszt ci lasciavano con un grande dubbio che sovrasta l’ammirazione: possibile che Kissin, a 42 anni, voglia tornare a consegnare di sé la figura del grande virtuoso russo che non sa fare i conti con il repertorio del classicismo viennese? I mani di Richter, Gilels, Sofronitzki lo avvertono dall’aldilà : Evgenij, non tradire le nostre sempre salde aspettative!
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