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I due atti unici di Ravel sono stati rappresentati a Palermo fra la realtà degli striscioni di protesta dei lavoratori e il carattere colorato e fiabesco di scene e costumi concepiti dal celebre fumettista Altan
di Monika Prusak
I nizia con l’ingresso “coreografico” dei lavoratori in agitazione il dittico di Maurice Ravel, in scena al Teatro Massimo di Palermo il 20 ottobre scorso, a completamento del fermento che attraversa in questo momento il mondo artistico siciliano; un’ondata di proteste che, partendo dall’azione Teatro Garibaldi Aperto, ha interessato i Cantieri Culturali alla Zisa e continua a tenere occupato il Politeama Garibaldi, sede dell’Orchestra Sinfonica Siciliana. Gli striscioni contro il sovrintendente della Fondazione Teatro Massimo Antonio Cognata, il direttore artistico Lorenzo Mariani e il direttore del corpo di ballo, Luciano Cannito, hanno fatto da contrappunto a un appello dei lavoratori in forma di lettera immaginaria dello stesso sovrintendente, in cui si elencavano in maniera piuttosto sarcastica gli interventi volti al miglioramento del bilancio, ma eseguiti – secondo le parole dei lavoratori – attraverso una sistematica riduzione delle risorse umane. Su un altro striscione, appeso sotto il palco reale – con chiaro riferimento alla sua provenienza – si chiedevano esplicitamente (in italiano, inglese, francese e giapponese!) le dimissioni del sovrintendente: le accuse del sindaco di Palermo Leoluca Orlando su una presunta inadeguata gestione del teatro alimentano sempre di più questa situazione conflittuale, sebbene il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Lorenzo Ornaghi non abbia finora accolto la richiesta di commissariamento più volte invocata dallo stesso Sindaco. Considerata l’analisi della programmazione artistica degli ultimi anni, invece, i risultati dei bilanci (7 consecutivi in attivo), i riconoscimenti della critica nazionale e internazionale, e la programmazione 2013 con la produzione di un nuovo Ring per il bicentenario wagneriano, la valutazione della gestione del teatro potrebbe risultare molto meno severa.
In quest’aura poco serena è iniziato il primo dei due atti unici, L’heure espagnole di Maurice Ravel con libretto di Franc-Nohain, che sin dalle prime note ci ha trasportati in una dimensione quasi fiabesca, tra i preziosi giochi sonori del compositore francese e le colorate scene e i meravigliosi costumi progettati dal fumettista e disegnatore Francesco Tullio Altan, che segnano il suo debutto nel teatro d’opera. Siamo in un negozio di orologi colorati che sembrano dei giocatoli, ma che ricordano lontanamente i famosi quadri di Dalí. «Un finanziere… E un poeta… Uno sposo ridicolo… Una moglie civetta» sono tra i personaggi di questa commedia che si concentra sulle vicende amorose della protagonista Concepción, moglie dell’orologiaio, e dei suoi numerosi amanti. Marina Comparato, civettuola e spigliata nel ruolo, con la sua eccellente pronuncia esalta la dizione della lingua francese, tratto che sarà condiviso da tutti i solisti, ma che nel suo caso è accompagnato da una particolare scioltezza nella gestualità scenica. Il suo «sposo ridicolo», l’orologiaio Torquemada, impersonato dal tenore Aldo Orsolini, si finge incosciente di quello che succede in negozio durante la sua assenza. Orsolini sceglie una vocalità quasi parlata che si addice all’età avanzata del personaggio, ma che spesso fa sentire la mancanza del legato, spezza le parole e fa scomparire gli acuti. Lo studente-poeta Gonzalve è quello più spiritoso di tutti, ma più propenso a conversare e a recitare i versi (persino l’«eterno femminino» dal Faust di Goethe) che ad accontentare le esigenti richieste di Concepción. Convincente l’interpretazione di Enea Scala, che accentua il carattere effeminato del poeta e lo fa apparire come un dongiovanni chiacchierone impotente nelle relazioni con le donne. La figura del banchiere Don Inigo Gomez rappresentata qui da Andrea Concetti – baritono elegante dall’importante presenza scenica – risulta giustamente in contrasto con quella del giovane studente. È un amante serio, ma anche noioso secondo Concepción, che tra tutti i presenti sceglie il semplice, ma fisicamente forte mulattiere Ramiro, interpretato dalla preziosa voce baritonale di Alessandro Luongo. La direzione frizzante di Yves Abel ha portato l’opera al geniale quintetto finale in cui si avvertiva una lontana eco della Habanera bizetiana.

Dall’orologeria ci spostiamo nel mondo fantastico per eccellenza del secondo atto unico di Ravel, L’enfant et les sortilèges su testo di Colette. È una fiaba non priva di morale, che narra di un bambino punito dalla madre per la sua svogliatezza nello studio. Il mondo di Colette fluttua tra le favole di Andersen e la scrittura nonsense di Carroll, di cui Altan fa tesoro soprattutto nei costumi, ma anche nelle scene che spesso toccano il surreale. Le poltrone canterine, una teiera che parla l’inglese e una tazza che declama in cinese sono solo alcuni dei numerosi personaggi che il Bambino (Marina Comparato) incontra nel suo sogno. Nella scenografia si nota di nuovo un riflesso di Dalí, il ricordo del bizzarro quadro intitolato Lo svezzamento dei mobili e dei mobili progettati dall’artista. Siamo immersi nel Novecento degli studi freudiani sull’inconscio, del quale il sogno è il più grande rivelatore: nel mondo onirico il Bambino incontra, infatti, tutti quegli oggetti, piante e animali che egli ha ferito in qualche modo nel mondo reale e con i quali si deve adesso confrontare. Sono davvero magiche le scene di Altan, aiutate dalle luci di Vinicio Cheli; piacciono anche le coreografie di Luciano Cannito, nonostante qualche imprecisione nella resa dell’insieme delle ballerine. Il più grande applauso va al soprano Maria Grazia Schiavo che ha dato voce a tre personaggi, tra cui La Principessa, simbolo del primo amore infantile del Bambino, e L’Usignolo, che ha incantato per la purezza assoluta del suono e una non comune musicalità. Notevole l’assolo danzato da Doimita Lupu che ha ben riflesso la delicatezza della bellissima voce della Schiavo. Molto brava Sonia Prina, famosa per le sue interpretazioni di opere antiche, che ha conferito alla figura della Madre – apparsa inizialmente come una gigantesca ombra – una giusta severità e crudezza. La Prina ha interpretato anche la Tazza Cinese nella geniale scena con La Teiera, impersonata dal divertentissimo Enea Scala. Tra le scene più riuscite va ricordato anche il duetto dei gatti – un lontano riflesso del duetto rossiniano – interpretato da Alessandro Luongo e Cristina Melis, coraggiosi nelle avances delle fusa. Ben pensato anche l’incontro del Bambino con Il Vecchietto “Aritmetica” e con il coro dei Numeri, cantato e recitato brillantemente dal Coro di voci bianche del Teatro Massimo preparato da Salvatore Punturo. La direzione di Yves Abel, che inizialmente appare piuttosto piatta, si evolve nel corso dell’opera, e conclude con grande successo la fiaba di Ravel.
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