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Concerti • Attenta ma distaccata lettura della Fantastica da parte del direttore inglese Robin Ticciati, protagonista del tradizionale concerto natalizio dell’Orchestra del Teatro alla Scala
di Luca Chierici
P er l’oramai tradizionale concerto natalizio, parte della programmazione del Teatro alla Scala dal 1996, è stato chiamato quest’anno (ieri sera sul podio) il giovane Robin Ticciati, 28 anni e una considerevole carriera alle spalle che è stata coronata da un applauditissimo Peter Grimes andato in scena nel maggio di quest’anno proprio nel teatro milanese. Ticciati è un musicista che sa il fatto suo e ha saputo guidare una impegnatissima orchestra verso il traguardo dell’esecuzione di una delle partiture più coinvolgenti della letteratura romantica. La Sinfonia fantastica di Berlioz è stata ed è tuttora nel repertorio di tutti i più grandi direttori: non è facile quindi presentarsi di fronte al pubblico (un poco sprovveduto, visti gli applausi alla fine del primo movimento) tenendo ben presente l’approccio “tradizionale” e allo stesso tempo infondere nuova vita al capolavoro berlioziano attraverso scelte personali. Il giovane direttore inglese ha innanzitutto compiuto un profondo lavoro di preparazione tenendo conto di tutti i numerosissimi dettagli orchestrali, alcuni dei quali erano stati inseriti dallo stesso autore, come esempio nel suo famoso trattato di strumentazione (l’impasto tra la voce del corno inglese e dei quattro timpani nella Scène aux champs, ad esempio, realizzato da Ticciati con una cura sorprendente delle sonorità).
L’attenzione alla lettura “verticale” della pagina scritta viene privilegiata soprattutto all’inizio dove all’ascoltatore si chiede di prestare maggiore attenzione al complesso amalgama di sonorità, piuttosto che alle emozioni vissute dal giovane musicista romantico in preda ai fumi dell’oppio. Ticciati ha del resto ragione, perché è proprio l’autore a raccomandare i direttori d’orchestra (appena alla seconda pagina di Rêveries-Passions!) di provare i violini a parti separate dal resto dell’orchestra per raggiungere una soddisfacente resa di una frase d’une extrême difficulté. Ma questa analiticità di fondo ruba qualcosa alla spontaneità dell’eloquio, tanto che il gesto a dire il vero non particolarmente bello del direttore stenta a coinvolgere il pubblico dando quasi l’impressione di un approccio un po’ troppo british nei confronti di una partitura emozionante come nessun’altra. Se la settima sinfonia di Beethoven è l’apoteosi della danza, cosa dovremmo dire del ritmo di valzer nel secondo movimento della Fantastica? E come si può rimanere impassibili ascoltando proprio il finale di Un bal, nel quale Ticciati, come in molti altri momenti culminanti, non è riuscito a seguire istintivamente le pur chiarissime indicazioni in partitura? “Animato”, “Più vivo”, “Stringendo” significano una accelerazione del tempo che non si traduce solamente dal punto di vista del metronomo, ma soprattutto in termini di coinvolgimento psicologico del direttore.
È forse troppo chiedere a Ticciati di aggiungere alla sua lettura della Fantastica, straordinariamente lucida sotto il profilo dell’analisi strumentale, anche una maggiore appropriazione del testo in termini emozionali? Non si tratta qui di prendere alla lettera il famoso “programma” che sta alla base della sinfonia, quanto di vivere con maggiore partecipazione quello che è davvero un manifesto della musica romantica. È chiaro come ci si potessero attendere da Ticciati altre sequenze bellissime nella Scéne aux champs, ancora nuovi dettagli timbrici nella Marche au supplice, ma il finale che vede la sovrapposizione del Dies irae e della Ronde du Sabbat era ancora risolto più sotto il profilo della ricerca delle sonorità che da quello della naturale accumulazione di emozioni covate lungo tutto il percorso della sinfonia.
Non certo a naturale completamento della Fantastica, quanto come gentile omaggio natalizio, il coro e l’orchestra della Scala hanno poi offerto al pubblico il breve ma suggestivo Adieu des bergers à la Sainte Famille da L’enfance du Christ dello stesso Berlioz.
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