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Concerti • In Conservatorio per le Serate Musicali si è tenuta una serata irripetibile con il trio formato da Denis Kozhukhin, Leonidas Kavakos e Patrick Demenga
di Luca Chierici
U n programma come quello affrontato per le Serate Musicali di Milano da un trio di eccezionale levatura formato dal pianista Denis Kozhukhin, dal violinista Leonidas Kavakos e dal cellista Patrick Demenga rappresenta un omaggio ad altrettanti capolavori della letteratura cameristica, i Trii per pianoforte, violino e violoncello scritti da Brahms in un periodo esteso che va dal 1854 al 1889. Una scelta che richiama alla mente precedenti storici importantissimi, fortunatamente captati dai dispositivi di registrazione, che ci riportano a tempi lontani (Fischer, Schneiderhan e Mainardi a Salisburgo nel 1953; Istomin, Menuhin e Casals a Prades due anni dopo). Le Serate Musicali avevano ospitato un altro evento simile il 9 aprile del 1991: esecutori di livello sempre eccezionale (Vladimir Ashkenazy, Itzhak Perlman, Lynn Harrell) avevano celebrato il rito di fronte a un pubblico che gremiva la sala del Conservatorio, con un risultato che forse sorpassava in perfezione e calore interpretativo il pur altissimo livello raggiunto l’altra sera dai più giovani colleghi.
Quando si verifica il connubio tra l’importanza del repertorio e il valore degli esecutori la festa è doppia, e la felicità dei presenti era palpabile, così come quella dei tre concertisti che hanno unito le loro pur diverse personalità nell’intento di restituire una lettura omogenea dei lavori brahmsiani. Non vorremmo indicare delle preferenze che potrebbero essere motivate solo da alcune sfumature o addirittura influenzate dall’espressione dei volti, ma particolarmente coinvolto da questa musica bellissima ci è sembrato il ventisettenne pianista russo Denis Kozhukhin, un talento già ampiamente riconosciuto durante i concorsi internazionali più prestigiosi e che abbiamo ascoltato lo scorso anno in uno straordinario recital al festival di Verbier. Kozhukhin, oltre a una grande intelligenza musicale, è dotato di un suono di grande intensità, eppure carezzevole e di qualità sempre eccezionale, doti ideali per il respiro sinfonico della scrittura brahmsiana. Sulla statura intepretativa di Leonidas Kavakos non è ovviamente oggi più il caso di insistere, mentre una’altra menzione particolare va indirizzata al violoncellista svizzero Patrick Demenga, di sensibilità pari a quella dei colleghi e in possesso di un dominio totale dello strumento dal quale estrae tutte le potenzialità timbriche ed espressive.
Ventidue anni fa, in occasione del concerto del trio Ashkenazy-Perlman-Harrell, la sala era piena, oggi lo era solo a metà. Cosa è accaduto nel frattempo? Perché il pubblico odierno non partecipa a una serata così irripetibile, occasione di ascoltare dal vivo una musica di impatto straordinario che ci fa per un momento dimenticare le tristezze quotidiane (o forse modifica positivamente il livello di depressione e di pessimismo generalizzato che è proprio di questi tempi?). Lasciamo al lettore il compito di interpretare il fenomeno, che può avere mille ragioni d’essere, non ultima la troppo estesa offerta musicale propria di una grande città come Milano. Un’offerta che viene accolta da una parte del pubblico in maniera acritica, incapace di discernere il valore di questa o di un’altra proposta, o peggio legata alla consuetudine dell’“abbonamento”: i partecipanti ai concerti delle varie serie che si alternano al Conservatorio o alle serate sinfoniche e operistiche della Scala, ad esempio, costituiscono molto spesso dei comparti che non comunicano tra loro, come se il tesserino di appartenenza a un ciclo piuttosto che all’altro mettesse automaticamente a posto le coscienze degli acquirenti relativamente al loro “sacrificio” compiuto nei confronti della cultura, settore musica.
La cometa brahmsiana che è transitata l’altra sera al Conservatorio si riproporrà, se tutto va bene, almeno tra una ventina d’anni: in quanto agli assenti, peggio per loro.
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