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Concerti • Serata entusiasmante per l’Unione Musicale, con la giovane fuoriclasse al violino e il celebre direttore sul podio della European Union Youth Orchestra. In programma Ravel, Britten e Stravinskij. Domani replica al Bologna Festival
di Attilio Piovano
C he serata entusiasmante, quella vissuta mercoledì 3 aprile al Lingotto di Torino: sul palco, per l’Unione Musicale, dinanzi ad un folto pubblico (moltissimi i giovani e fa piacere rilevarlo), un’orchestra di giovani e giovanissimi professionisti in erba, con un bagaglio di esperienze già vasto, insomma l’ormai blasonata EUYO, presente il sindaco Fassino in rappresentanza della città. A dirigerla un grande, grandissimo Vladimir Ashkenazy che, in apertura di serata, ha concertato con cura certosina le raveliane Valses nobles et sentimentales cogliendone al meglio l’essenza. E così fin dal primo valzer, energico e irto di asprezze armoniche, imponente, dalle immagini timbriche aguzze come stalattiti, ecco che si è potuta ammirare la singolare souplesse ritmica impressa da Ashkenazy; che ha poi restituito tutta la freschezza e la grazia un poco frale del tenero secondo valzer, striato di spleen. Poi la melanconia affettuosa e tenera del terzo, l’agilità spigliata del quarto, già anticipatore delle atmosfere della ben più drammatica Valse, le languide dissonanze del quinto, la gaia vivacità del sesto, impertinente e struggente al tempo stesso, le distillate alchimie del settimo e infine il caleidoscopio dell’epilogo, quasi una ricapitolazione con quelle rutilanti e vorticose frasi, ma anche quei trasalimenti presaghi di tragedia tutta novecentesca che anticipano vistosamente La Valse, e la chiusa delicata, soffusa di charme. Tutto questo – si è detto – nella raffinata lettura di Ashkenazy che ha potuto contare su una compagine duttile e affiatata.
Poi l’attesa Isabelle Faust, tra le più straordinarie violiniste della sua generazione. Ha affrontato con una sicurezza indicibile il Concerto in re minore op. 15 di Britten, pagina composta nel 1939, a tratti contrassegnata da belle immagini timbriche e atmosfere poetiche, non priva pur tuttavia di lungaggini, minata inoltre da un eclettismo che ne costituisce il limite forse più vistoso e invalicabile, facendone un lavoro meno riuscito del quasi coevo Concerto pianistico (recensito di recente su queste stesse colonne). La Faust ha saputo dar corpo ai passi lirici del Concerto sfoderando una bellezza di suono davvero unica, delineando quelle atmosfere siderali e quei corposi incisi presenti già nel livido Moderato, venato di inquietudine e punteggiato di eleganze: con passi ipnotici e un poco dispersivi, ma pur accattivanti. Poi s’è potuta ammirare la mobilità “alla Prokof’ev” del vitalistico Vivace dove Isabelle Faust ha sciorinato il suo proverbiale magnetismo, toccando culmini di bravura nella bellissima cadenza. Non tutto è oro di primo conio nell’eccessivamente dilatata Passacaglia conclusiva, che pur tuttavia Ashkenazy ha concertato con una mirabile attenzione per ogni singolo dettaglio, realizzando una simbiosi pressoché perfetta tra solista e orchestra. Bis graditissimo: la Pastorale di Stravinskij che ha visto coinvolta la Faust accanto ad oboe, clarinetto, fagotto e corno inglese: una scelta, quella di suonare con le ottime prime parti anziché primeggiare lei sola, che ha riscosso enorme consenso da parte del pubblico. Che bello aver valorizzato con un tal gesto i giovani interpreti: mettendosi sul loro stesso piano. E non finiva più di farli alzare a raccogliere i meritati applausi.
Per finire, ancora ’900, ed è stata la volta dello stravinskijano Sacre du Printemps: una partitura che ha cento anni, “e li porta benissimo”. Vera e propria vetrina per l’orchestra che ha dato fondo a tutte le sue potenzialità. Certo, alcune prime parti non hanno ancora tutta l’esperienza che si richiede per tale impresa (ottime le percussioni), ma il volume sonoro dei passi più energetici era davvero impressionante, e così pure erano toccanti i passaggi più delicati e cameristici; insomma una festa per gli occhi e per le orecchie e la gioia di ammirare una compagine così giovane, immaginando (e preconizzando) per l’intera serie di questi interpreti in verdissima età un futuro luminoso presso le maggiori orchestre mondiali: le premesse ci sono tutte e non mancheranno di farsi valere.
E il bis? Chiudeva idealmente il cerchio con l’esordio: s’è trattato infatti della suadente ed effusiva Pavane op. 50 di Fauré dagli incorporei pizzicati e dal bel tema cantabile; il raffinato, l’elegante Fauré che di Ravel fu l’indimenticato maestro. Applausi protratti, immancabile entusiasmo dei giovani orchestrali che a fine concerto rompono le righe, abbracciandosi e scambiandosi parole affettuose sul palco. Sul piazzale del Lingotto, tre autobus erano già pronti ad accoglierli per portarli nella prossima tappa del loro tour primaverile.
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