Concerti • Il grande direttore alla testa dei Münchner Philharmoniker concerta con la consueta precisione ed eleganza due lavori di Prokof’ev. Profondamente espressiva la violinista olandese. Per finire, un Brahms dall’eco bruckneriana
di Riccardo Rocca
Fino al 2015, quando vi si insedierà l’appena designato Valery Gergiev, Lorin Maazel è a tutti gli effetti il direttore capo dei Münchner Philharmoniker: le sue virtù sono quelle di sempre, dunque suprema eleganza, precisione e repertorio conosciuto nel più profondo dettaglio musicale; quando i brani gli sono più congeniali, sembra poi passare addirittura in secondo piano anche quel margine di superficialità interpretativa, compassatezza e tradizionalismo rilassato che, se può facilmente apparire in sintonia con l’aura vagamente reazionaria di quest’orchestra, di essa finisce spesso per avvilire proprio quel fascino ancestrale che Celibidache, dal 1979 fino alla scomparsa nel 1996, seppe portare ai massimi estremi.
Questo concerto di maggio sembra essere stata una prova felice per un Maazel doppiamente ispirato dalla freschezza della musica di Prokof’ev e dal magnifico talento di Janine Jansen al violino. I tre episodi del balletto Romeo e Giulietta che hanno aperto il programma – “Montecchi e Capuleti”, “Romeo alla tomba di Giulietta” e “Morte di Tebaldo” – sono brillati per il perfetto equilibrio degli impasti timbrici, aspetto che, ben più dell’elasticità ritmica, è oggi una delle frecce all’arco sia di quest’orchestra sia dello stesso Maazel. La contemporanea parca presenza nella musica di Prokof’ev di toni enfatici e magniloquenti ha poi in qualche modo suggerito al direttore americano una concertazione sempre viva e lontana da effetti eccessivamente compiaciuti.
Altrettanto partecipe è sembrato Maazel nell’accompagnare, sempre di Prokof’ev, il secondo Concerto per violino op. 63, quasi come ispirato dalla leggerezza e dalla personalità di una violinista tra le maggiori del nostro tempo. Le movenze vagamente intimidite con cui Janine Jansen raggiunge il suo posto sulla scena accanto al podio si tramutano alle prime note in un’espressività profonda eppure delicata, mai esteriore, neanche in quei momenti in cui il pubblico rimane stregato dal suo funambolico virtuosismo. Subito brilla nel suo modo di suonare la continua ricerca di complicità con un’orchestra a lei talora più vicina di colui che la concerta, in un gioco di richiami e sintonie che, in contesti a lei più congeniali, possono toccare livelli ancora più alti. Si può facilmente immaginare l’oasi di bellezza di un Andante assai sussurrato dalla Jansen con una fragilità nel contempo intensa, leggera e positiva come un raggio di luce penetrante. Ad una tale magia, che soltanto le più straordinarie interpretazioni concedono, ha finito per accordarsi Maazel – ricordiamo, anche lui violinista – applaudendo egli stesso, dopo un emozionante terzo movimento, la straordinaria violinista venuta dall’Olanda. Un delizioso bis bachiano ha poi concluso la prima parte del concerto.
A seguire, dopo la pausa, una Seconda di Brahms in omaggio al compositore tedesco che proprio il 7 di questo mese ha compiuto 180 anni. Seppur talora a scapito di altri accenti, la maestosità a tratti bruckneriana della lettura di Maazel ha dato gradevole risalto agli aspetti più monumentali di una sinfonia ispirata a Brahms dall’idillica natura lacustre di Pörtschach am Wörther See in Carinzia.
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