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Recensione • Khatia Buniatishvili, Sol Gabetta, Vadim Repin, Gianadrea Noseda sono alcuni degli interpreti che abbiamo ascoltato e recensito nell’edizione 2013
di Attilio Piovano
MOLTI I CONCERTI DI SPICCO per questa edizione 2013 del festival MiTo. A Torino sulla ribalta del Conservatorio (dove già l’avevamo ascoltata – e recensita – mesi fa per l’Unione Musicale) il 13 settembre è riapparsa la fuoriclasse Khatia Buniatishvili con un programma tutto chopiniano. Ventiseienne e fascinosa georgiana dal talento a dir poco straordinario, ancora una volta ci ha stupito, destando nel contempo qualche perplessità. Nuovamente ha proposto l’arcinota Sonata op. 35, in apertura, suscitando ammirazione per la tecnica perfetta, per la sicurezza assoluta e il dominio sovrano della tastiera, per lo straordinario vigore, ma anche per cantabili di indicibile purezza. Molto sobria e nobile la Marcia funebre, ma anche grandiosa dove occorre, lirica e struggente nella commovente parte centrale. Poi il Finale, fantasmatico e funambolico del quale la Buniatishvili, grazie anche ad una pedalizzazione sapiente, coglie la profetica modernità, quella natura pre-impressionistica che del brano, conciso e lancinante, percorso da raffiche furiose, è il dato più significativo, e pazienza per qualche intemperanza, qualche rabbiosa sgommata e certe ruvide ‘accelerate’ troppo contrastanti rispetto alle raffinate eleganze dei passi lirici. Luci ed ombre, poi, nella Quarta Ballata, particolari bellissimi e passaggi invece assai meno convincenti: per dire, un inizio delicatissimo, rarefatto e sublime, toccante, ma nella zona centrale, dalla mirifica tessitura polifonica, si fa prendere la mano e nell’ultima sezione non resiste a una sorta di impulso interiore che la incita a spingere oltre misura privilegiando velocità e potenza, ponendo in primo piano il dato atletico. Analoghe considerazioni valgono anche per gli Scherzi op. 20, op. 31 e op. 39: istanti mozzafiato per bellezza di suono e forzature indebite sicché ammiri i muscoli, le corse spericolate e dimentichi l’artista. Il pubblico ovviamente è alle stelle e la Buniatishvili lo ricompensa con ben tre bis: come già quell’altra volta, ancora il Finale (Precipitato) dalla Settima Sonata op. 83 di Prokof’ev che le è davvero congeniale, affrontato con una carica energetica che ha del prodigioso, una vera forza della natura sì da restituire tutta la vis primordiale a tale pagina impervia e infine, a riconfermare la qualità del tocco, due delicati brani di tutto riposo: ancora Chopin (il melanconico Preludio in mi minore op. 28 n° 4) ed un toccante Minuetto di Haendel dal basso di Ciaccona.
Altra giovanissima e talentuosa solista, l’esuberante violoncellista argentina Sol Gabetta, la sera del 16 settembre, ha proposto unitamente al pianista Sergio Ciomei, dal suono possente e dalla bella tecnica, il medesimo programma suonato nella suggestiva cornice dell’Isola Bella per lo Stresa Festival poco meno di un paio di settimane innanzi. Dunque Beethoven, le graziose Variazioni su Bei Männern dal Flauto magico, suono pur piccolo, ottima intonazione, ma qualche eccessiva affettazione e un po’ di inutili smancerie. Più convincente la Sonata op. 69, però certi scatti improvvisi e taluni nervosismi andrebbero evitati e si sarebbe voluto inoltre più cantabile nel tempo lento; davvero troppo eccitato (e financo un filino nevrotico) l’ultimo tempo. Con Brahms (Sonata op. 38) le cose sono andate su per giù allo stesso modo: mancava quella grandiosa nobiltà che per Brahms è imprescindibile e che il pianista faceva di tutto (giustamente) per porre sul tappeto. Per lo più vanificato (purtroppo) il gioco polifonico. Dove Sol Gabetta (cui non difetta peraltro un elevato grado di virtuosismo) ha convinto invece maggiormente è stato nella Fantasia su temi russi del belga Adrien-François Servais, piacevole e brillante, ancorché un po’ fatua. Graditi bis: il brahmsiano Intermezzo pianistico op. 118 n° 2, in efficace trascrizione dello stesso Ciomei, ed una magnetica pagina del concittadino Ginastera. Applausi entusiasti e corteo di fans nell’atrio per il rito della firma sui cd.
Serata invece parzialmente negativa – quanto meno quella torinese, poi replicata a Milano – per il pur eccellente violinista Vadim Repin (il 14 al Lingotto). Molto teso in apertura del mozartiano Concerto K 216, con asprezze e anche imprecisioni di intonazione, così pure poco levigato il Finale. Bene però, per intensità, l’Adagio centrale. Quanto al Concerto K 219 si poteva forse evitare di enfatizzare in maniera così vistosa (e un po’ kistch) il ben riconoscibile tema esotico (turco o ungherese che dir si voglia). Bis gigione in omaggio all’Italia con le spassose e paganiniane variazioni sul Carnevale di Venezia. Superba la prova fornita in quella stessa sera dalla Münchener Kammerorchester che ottimamente diretta da Alexander Liebreich (concertatore scrupolosissimo) ha regalato un’interpretazione magnifica della Sinfonia n° 44 di papà Haydn, affrontata con un suono cristallino e nitido, una precisione ed una trasparenza ammirevoli (molto sciolto e scorrevole il drammatico Finale dai toni quasi gluckiani). Più ancora, ha destato grande ammirazione la stupenda Musique funèbre di Lutoslawski dalla straordinaria ricchezza timbrica e dalla curva espressiva (e formale) a dir poco prodigiosa.
Tra i massimi vertici di questa edizione di MiTo, oltre all’applaudito concerto del Trio Ciajkovskij che ha riscosso un vivo successo nel binomio Rachmaninov/Ravel, occorre registrare senz’altro il trionfo personale di Gianandrea Noseda giovedì 19 al Regio, sul podio della sua Orchestra, quella del Teatro Regio, per l’appunto, dall’organico per l’occasione singolarmente ampio. Il clou della serata la vasta ed ipertrofica Sesta di Mahler, partitura dinanzi alla quale si rischia di soccombere: ti schiaccia con la sua vastità, presenta il rischio di apparire un pur sublime monumento all’horror vacui. E invece sotto la guida esperta di Noseda ogni nota trova la sua giusta collocazione a partire dall’ampio Allegro che Noseda affronta con tono serrato, infondendovi virile ed energetico vigore, ma anche non disdegnando dove occorre quegli abbandoni melodici che di Mahler sono la firma; e che boccata d’aria pura in quelle radure bucoliche, col suono stranito dei campanacci da gregge, destano sempre fanciullesca emozione. Poi via, quasi senza tregua, con lo Scherzo. Niente eccessive estenuazioni nell’Andante, ma perfetta focalizzazione del carattere melanconico, suono morbido e climax magnifico nell’apice emotivo. Poi il debordante e riassuntivo Finale con l’emersione ciclica dei molti materiali già ascoltati in precedenza e il rischio della dispersione sempre in agguato: al contrario, Noseda ha mantenuto altissima la tensione, potendo contare sull’Orchestra del Regio in gran forma: superbo il corale degli ottoni e le percussioni ed i famigerati schianti del martello, come colpo d’ascia a suggellare il significato metaforico, per certi versi metafisico e nel contempo umanissimo della Sesta detta Tragica.
Vivo successo, già propiziato in apertura col petrassiano Coro di Morti dalle sagaci polifonie e dalle suggestive, spettrali immagini timbriche: un plauso speciale per questa toccante esecuzione alle ottime voci maschili del Coro del Regio (istruito da Claudio Fenoglio) e ai tre pianisti Luca Brancaleon, Paolo Grosa e Gino Laguzzi. Il concerto era in memoria della musicologa torinese Lidia Palomba, figura di rilievo nella vita culturale cittadina del ‘900 che ricordiamo con affettuosa partecipazione, scomparsa novantacinquenne lo scorso 31 agosto.
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