In scena al Teatro alla Scala il monumentale Grand-Opéra del compositore francese ispirato all’Eneide. Nuova produzione in collaborazione con la Royal Opera House, Wiener Staatsoper e San Francisco Opera. Direzione musicale di Antonio Pappano, solisti di spicco Anna Caterina Antonacci, Daniela Barcellona e Gregory Kunde
di Luca Chierici
SONO STATI NECESSARI quasi due anni perché uno dei più importanti spettacoli teatrali degli ultimi tempi giungesse alla Scala sulla scia dei calendari che regolano le coproduzioni (in questo caso si tratta di un progetto che ha coinvolto la Royal Opera House, la Wiener Staatsoper e la San Francisco Opera). Che Les Troyens di Berlioz sia un titolo che incute un certo timore è più che comprensibile: 5 ore e tre quarti di spettacolo con tre lunghi intervalli e la richiesta di una compagnia di canto straordinaria non facilitano il compito di chi sovrintende alla programmazione di un teatro lirico, ma tutto sommato il progetto non sarebbe poi così insormontabile se pensiamo a quanti Ring vengono prodotti oggi in tutto il mondo. Semmai il problema è un altro: trovare un direttore e almeno tre cantanti in grado di immergersi in un contesto musicale tanto affascinante quanto impervio. Le radici dei Troiani affondano addirittura nel melodramma di Gluck e l’immenso lavoro risulta essere una miscela di classicismo e romanticismo di difficile definizione e di ancor più difficile realizzazione. Le condizioni necessarie per una nuova produzione del dittico sono state ampiamente soddisfatte già dall’estate del 2012 al Covent Garden grazie all’impegno di Antonio Pappano, oggi al suo debutto operistico nel teatro milanese, e da una compagnia di canto straordinaria che nella sua declinazione scaligera ha puntato soprattutto sulla presenza di Anna Caterina Antonacci, Daniela Barcellona e Gregory Kunde.
È bellissimo, dopo tanti anni di ascolto, ripensare ai momenti in cui le nostre primedonne avevano iniziato una carriera tutta italiana lasciando già trapelare le qualità di due talenti eccezionali. Ma non si poteva forse allora immaginare a quali livelli di eccellenza la Antonacci e la Barcellona sarebbero arrivate, anche attraverso un lavoro arduo e la frequentazione di un repertorio vastissimo. Se dal punto di vista strettamente vocale la seconda ha l’altra sera sopravanzato la collega, vi è da dire che la Antonacci ha dimostrato una assimilazione completa e perfetta del ruolo di Cassandra tale da non lasciare spazio se non a commenti entusiastici. Un ruolo che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto essere affidato a Pauline Viardot e che esige una vocalità estremamente flessibile nel soddisfare una scrittura impervia e così lontana dalle suggestioni del belcanto. Didone conosce invece solamente nel quinto atto un drastico cambiamento di impostazione e fino a quel momento la Barcellona ha interpretato con somma bravura la figura di una Regina dapprima esempio di magnanimità e di amore verso il suo popolo, poi amante appassionata seppure consapevole della precarietà della situazione. Il ruolo di Enea, se guardiamo alla continuità della presenza in scena, è ovviamente quello più faticoso e forse richiederebbe una ancor maggiore flessibilità interpretativa rispetto a quella pur eccezionale prodigata da Gregory Kunde (non dimentichiamo che il pubblico londinese aveva contato nel 2012 sulla presenza, poi cancellata, di Jonas Kaufmann). Ma forse non esiste cantante in grado di affrontare un simile tour de force e rivestire i ruoli del guerriero indomito, dell’amante appassionato e del lungimirante eroe che deve portare a compimento le profezie di conquista della tanto agognata Italie. Tutti e tre i protagonisti sono stati seguiti con entusiastica partecipazione da un pubblico che stentava a contenere l’applauso e sono stati alla fine accolti da interminabili ovazioni. Ma anche il resto della compagnia e ovviamente il magnifico Coro diretto da Bruno Casoni hanno ricevuto un plauso incondizionato, a partire dal Chorébe di Fabio Capitanucci, il Narbal di Giacomo Prestia, lo Iopas di Shalva Mukeria, l’Anna di Maria Radner.
Pappano ha svolto un lavoro di impegno immane cogliendo le diverse sfaccettature del dramma e riuscendo a ottenere dall’orchestra la straordinaria varietà di colori strumentali richiesti dalla partitura. L’adozione di tempi relativamente moderati per sottolineare le effusioni sentimentali della Didone non ancora abbandonata sono stati compensati da una lettura serrata ed emozionante dei primi due atti della prise de Troie e del tragico epilogo dell’atto quinto. La regia di David McVicar, le scene di Es Devlin e i costumi di Moritz Junge hanno per una volta accontentato il pubblico grazie alla loro miscela di elementi tradizionali e di spunti più vicino al gusto delle avanguardie. I costumi ci riportano in parte a una realtà contemporanea agli anni in cui Berlioz metteva in musica il suo capolavoro mentre le scene di Es Devlin fanno riferimento una realtà d’invenzione dove le mura di Troia sono costituite da una grezza struttura metallica mentre quelle di Cartagine riportano a una iconografia tipica di certe città imperiali del Marocco caratterizzate dal color ocra delle rocce arenarie, ravvivato dai rossi costumi degli abitanti della città. Soprattutto nella seconda parte alcune realizzazioni di Devlin ricordano la magia di certe scene da presepio, grazie anche all’ inserimento di un modello ligneo della città di Cartagine che si presta alla creazione di ulteriori effetti: il modello, originariamente collocato sul piano della scena, viene ruotato nello spazio e capovolto nel corso dell’atto IV e posto in drammatica pendenza nel finale, quasi a simboleggiare la piega inquietante degli avvenimenti e poi il disfacimento della città in parallelo con il suicidio della sua regina.
La rappresentazione scenica del cavallo di Troia richiama l’idea di un manufatto complesso, una macchina semovente atta a contenere l’esercito greco che darà il via alla strage e fatta di inserti metallici che simboleggiano i relitti di una guerra durata già dieci anni. Una trovata felice ma non certo nuova che ci rammenta quanto il teatro d’opera sia oggi debitore nei confronti delle realizzazioni cinematografiche degli ultimi vent’anni almeno. Funzionali e a tratti poetici i balletti del quart’atto per la Scena di caccia, secondo la coreografia di Lynne Page. Successo come si è già detto superiore a ogni aspettativa per i cantanti e l’allestimento, con un picco straordinario di acclamazioni per Pappano, soddisfatto ma anche commosso per la più che affettuosa accoglienza da parte del pubblico milanese.
Berlioz – Les Troyens | Teatro alla Scala, 8 aprile 2014
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