La Messa in do minore op. 147 è stata eseguita a Torino, in Conservatorio, con la direzione di Guido Maria Guida
di Attilio Piovano
TOCCANTE E PIENAMENTE convincente esecuzione, a Torino, della schumanniana Messa in do minore op. 147, riuscito lavoro degli ultimi anni, quelli ormai prossimi alla catastrofe psichica: pur tuttavia all’ascolto di questa pagina eccelsa composta nel marzo del 1852, non si percepiscono cedimenti, al contrario ne emerge una straordinaria fecondità creativa. Solo due anni dopo il famigerato tentativo di suicidio nelle acque del Reno, poi l’internamento ad Endenich e nel ’56 la fine. Sicché Schumann mai ebbe agio di ascoltare questo suo lavoro al quale l’adorata consorte Clara credette strenuamente, propiziandone la pubblicazione. Non capita tutti i giorni di ascoltarlo. Bene ha fatto dunque l’Accademia Sinfonico Corale ‘Stefano Tempia’ (in assoluto la più antica istituzione concertistica torinese, essendo stata fondata nel 1875) a porla in cartellone seguendo le sue centenarie specificità. Guido Maria Guida l’ha diretta lunedì 7 aprile a Torino in Conservatorio dinanzi a un folto pubblico ed è stato il clou dell’attuale stagione 2013/14 per la Tempia (che annovera peraltro ancora alcuni appuntamenti di spicco da qui a inizio estate). A Coro ed Orchestra della Tempia si affiancava per l’occasione il Coro da Camera di Torino diretto dall’esperto Dario Tabbia. La compagine corale ha un ruolo di assoluto rilievo nella Messa op. 147, dal nutrito organico orchestrale (con flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, archi, timpani ed organo) già a partire dal Kyrie dai delicati filamenti sonori. Poi lo sfolgorio del Gloria, festoso come si conviene, ma mai corrivo: qua e là riecheggia passi della Sinfonia Renana (e pare il ricordo nella mente di Schumann ormai obnubilata, di momenti felici, quelli della direzione dei concerti a Düsseldorf). Molto convincente il Credo, conciso e pregnante, lontano da sterili accademismi, poi la perla rara di un Offertorium mariano (sulle parole del Tota Pulchra, sicché si ipotizzò una finalità devozionale, quanto a possibile destinazione dell’opera). Valida solista Francesca Rotondo dalla voce calda e dai bei fraseggi (qualche lieve asprezza nell’acuto). Bene anche il più breve apporto del tenore Filippo Pina Castiglioni e del basso Dante Muro che hanno preso parte all’esecuzione della Messa conclusa (dopo il Sanctus suggellato dall’Hostias corale) da un intimistico e rarefatto Agnus. Della pagina che qua e là occhieggia Brahms come pure Mendelssohn, mentre in un paio di passaggi appare in anticipo su certo Fauré, Guida ha dato una lettura assai apprezzabile per coerenza, saldezza e intensità, ben assecondato dalla doppia formazione corale e così pure dalla valida orchestra. Gran successo e applausi protratti.
In prima parte di serata s’era ascoltato il Triplo di Beethoven (col Trio Arché in veste di ‘concertino’, Massimo Marin violino, Dario Destefano violoncello e Francesco Cipolletta pianoforte). Il Triplo concerto op. 56 è un ibrido e non raggiunge certo il livello dei cinque concerti pianistici né di quello per violino. Qua e là emergono cose pregevoli, come l’attacco del Largo affidato alla cantabilità del cello, spesso dilagano frasi un filino ripetitive (absit iniuria verbis, ma è così, con buona pace del sommo Ludwig), nel finale poi non manca un certo humour, ma già altrove emerge un’insistita e curiosa assonanza rossiniana (un temino più volte ribadito con fanciullesca pervicacia che pare il suggerimento implicito per il futuro e corale Confusi e stupidi dall’Italiana in Algeri, stesso ritmo e stessa tornitura). Nell’esecuzione torinese non tutto era oro fino; alcune obiettive defaillances di intonazione tra i solisti e piccoli sbandamenti non hanno tuttavia compromesso l’esito. Certo, in prova e in fase di ‘montaggio’, molta cura, assai più tempo e un lavoro accurato, come facile immaginare, devono essere stati dedicati alla schumanniana Messa che infatti ha convinto appieno: lasciando un ricordo indelebile che serberemo con gradita riconoscenza.
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