In scena a Palermo il titolo mozartiano: la regìa di Lorenzo Amato sembra tratteggiare un protagonista abitato da solitudini. La direzione musicale è di Stefano Ranzani
di Monika Prusak
SFRUTTARE LE PROPRIE RISORSE è stato uno degli obiettivi principali della nuova produzione del Don Giovanni mozartiano, ritornato sul palcoscenico del Teatro Massimo di Palermo dopo ben 12 anni e realizzato interamente da maestranze interne. La lettura di Lorenzo Amato – regista, attore, pianista e musicologo, consulente artistico del Teatro Massimo dal 2013 – è un mix di vissuto e immaginario, un viaggio dentro i personaggi, e forse anche dentro noi stessi. «Tutti abbiamo incontrato un Don Giovanni», ha detto Amato durante la conferenza stampa, definendo la sua visione «personale ed intima», frutto di un lungo percorso di studio e lettura dei testi. Amato è accompagnato da Angelo Canu alle scenografie, Marja Hoffmann ai costumi, Alessando Carletti alle luci e Stefano Ranzani alla direzione. La partitura nella versione di Vienna del 1788 (successiva di un anno alla prima rappresentazione di Praga) si conclude con la morte del protagonista.
Lo spettacolo, armonioso nel suo andamento musicale e scenico, si snoda piacevolmente, a parte qualche singola lungaggine nei pezzi solistici. Ambientato in luoghi indefiniti, nebbiosi e onirici, Amato rappresenta un Don Giovanni cupo e riflessivo, un po’ in disparte, a volte assente. Il regista vuole accentuare il vero stato d’animo del protagonista, la solitudine, e ci riesce, soprattutto all’inizio della sinfonia quando un ballerino nudo impersona un Don Giovanni turbato, ma anche durante la Serenata, cantata “a nessuno”, sdraiato per terra in una piazza buia e vuota. È un seduttore poco interessato, un cacciatore che non tiene alla sua preda. Le avances sono sempre un po’ superficiali, come se l’uccisione del Commendatore lo avesse indurito o in qualche modo cambiato. Le soluzioni sceniche di Canu, semplici ed efficaci, propongono un movimento circolare che cambia gli ambienti: dal giardino con un labirinto di boschetti alla terrazza popolata da ospiti di Zerlina e Masetto, dal paesaggio lugubre di un cimitero alla casa di Don Giovanni. La pietra di cui sono scolpiti gli edifici è di un colore poco determinato, da sembrare quasi metafisici, impalpabili, e anche gli interni traboccano di grigiore. L’effetto viene rafforzato dalle luci di Carletti, che usano tinte forti e dense, blu e verdi, aprendo un sereno cielo azzurro soltanto nella scena del matrimonio, rumoroso e coloratissimo, come se l’amore tra Zerlina e Masetto fosse uno dei pochi momenti di gioia in un mondo amaro, vuoto e buio. I costumi della Hoffmann creano un ponte umoristico tra il passato e il presente, presentando da un lato Don Giovanni a torso nudo vestito in frac, dall’altro invece gli ospiti ubriachi di un matrimonio moderno con il senso decadente caratteristico dei nostri tempi.
Uno dei punti forti di questa produzione è il cast adatto alla varietà dei caratteri mozartiani, nonostante non sia sempre affiatato nei momenti d’insieme. Le tre soprano sono perfettamente caratterizzate, sia dal punto di vista estetico che da quello vocale. Quella più insistente, Donna Elvira – recitata con maestria da Maija Kovalewska –, sembra una buona zia o un’educatrice di Don Giovanni piuttosto che una donna follemente innamorata. Donna Anna di Rocio Ignacio è elegante e dignitosa, ma solo fino al momento in cui ricorda l’incontro amoroso con il protagonista. Rimane impressa, invece, l’entrata d’effetto della bellissima Zerlina, recitata in modo esemplare da Barbara Bargnesi, dotata di un timbro dolce e di una tecnica vocale impeccabile. È una Zerlina “pura”, contrariamente a una tradizione che la vuole consenziente, che riserva tutta la sua calda sensualità al futuro marito. Una grande intesa giocosa si apprezza tra i personaggi maschili, iniziando dal Masetto di Biagio Pizzuti che, vestito di bianco si aggira con quattro invitati in cerca del Don Giovanni, quasi fossero il Padrino e i suoi “picciotti” guardaspalle. Eccellente il Don Ottavio dalla voce calda e vellutata di Tomislav Mužek, un uomo semplice e senza pretese come vuole il libretto. È ben riuscita la scena della morte di Don Giovanni, con un Commendatore fermo e intenso, recitato da Michail Ryssov. E Leporello di Marco Vinco ne ha veramente paura, contrariamente a Carlos Àlvarez, un Don Giovanni affascinante ed estremamente seducente, che sfida la morte coscientemente, fino all’ultimo istante. Àlvarez e Vinco sono una coppia vincente: grandi attori e cantanti eccellenti trovano piacere nel divertire lo spettatore. Vi si aggiunge la mano sapiente di Stefano Ranzani che unendo tutto l’apparato scenico guida l’orchestra nel ricercare colori mai sentiti, come quello nel momento della morte del Commandatore, pervaso da estrema serenità e bellezza.
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