Il pianista norvegese chiude la stagione del Lingotto con un programma (quasi) tutto beethoveniano. La grande appropriatezza stilistica e la precisione d’insieme dell’orchestra si sposano magnificamente con la sensibilità del solista
di Attilio Piovano
DAVVERO UN BEL BOTTO per Lingotto Musica, a Torino, che ha chiuso in bellezza – domenica 18 maggio – con un concerto sold out della Mahler Chamber Orchestra: concerto (quanto a durate) al 75% beethoveniano, solista di lusso (e direttore) il fuoriclasse pianista norvegese Leif Ove Andsnes. La serata è stata anche la conclusione del ciclo pluriennale «The Beethoven Journey» che ha visto impegnata la MCO e il pianista stesso in più di 60 concerti in 10 differenti paesi, con l’integrale dei 5 Concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven e con la poco eseguita Fantasia op. 80 per pianoforte, coro e orchestra.
A Torino si è ascoltato il quinto Concerto, l’Imperatore in una interpretazione di rara bellezza, in primis per precisione di insieme (sicché non si rimpiangeva certo la mancanza di un direttore sul podio) dacché Andsnes dalla tastiera dello Steinway d’ordinanza ha saputo governare la titanica partitura con una sicurezza e saldezza davvero uniche. Non solo: si è ammirata l’appropriatezza stilistica, vigore e robustezza dove occorre, ma anche quelle zone perlacee emerse al meglio, quei pallori eterei, già presagio di romantici Notturni, che debordano spesso nel Quinto, costituendone il fascino unico e irripetibile; quei molti passi in cui il solista accompagna l’orchestra con sonorità da glockenspiel, di contro quelle zone in cui il solista domina sovrano ed ha modo di sfoderare la tecnica virtuosistica che per affrontare tale pagina è imprescindibile. Grandi emozioni, dunque, fin dal monumentale attacco, poi nel sublime Adagio avviato dagli archi con sordina, giù giù sino al passo finale che vede impegnato il timpano solo con il pianoforte (mai apparso così emozionante e modernamente profetico). Un vero trionfo personale di Andsnes che è parso in perfetta e totale simbiosi con la MCO dalle strepitose prime parti (Cordula Merks primo violino concertatore), ensemble dalla perfetta intonazione e dall’aplomb ritmico a dir poco impeccabile.
Andsnes, dopo insistenti e meritati applausi ha poi offerto un bis perfettamente centrato e in asse con il contenuto che lo precedeva: la prima delle beethoveniane Bagatelle op. 33. Avevamo ancora nelle orecchie il mi bemolle del concerto ed ecco una pagina semplice e naïf (frutto di un Beethoven forse appena dodicenne) nella stessa tonalità, con quello stesso ritmo da Siciliana e un vago sentore di echi mozartiani («Pace, pace mio dolce tesoro»). Indimenticabile. In precedenza s’era ascoltata la Fantasia op. 80 della quale Andsnes ha fatto del suo meglio per attenuarne le “mancanze” strutturali. Pezzo ibrido, non è un Concerto per piano e orchestra (anche se si intravedono gli scampoli dei brandelli espunti dagli ultimi tre concerti), non è un brano solo per coro e orchestra, anche se il tema, sempliciotto e banalotto, pare un anticipo sulla Nona: soprattutto l’effetto nona Sinfonia è nel salto di terza che crea un momentaneo brivido, e c’è pure il passo turchesco o ungherese che dir si voglia, alla moda; ma il tema trattato in maniera oltremodo ripetitiva – e non è da Beethoven agire così – non raggiunge il sublime dell’Inno alla Gioia, piuttosto pare prossimo – quanto meno l’incipit – al rossiniano «Il vecchiotto cerca moglie, vuol marito la ragazza». In realtà il tema riprende il beethoveniano lied «Gegen Liebe» del 1794/95. Di fatto è e resta un patchwork. Quanto al testo corale di Christoph Kuffner risulta ispirato a valori filantropici analoghi a quelli professati da Schiller (e pur annacquati). Qua e là si lascia ascoltare, certo,ma non decolla più di tanto e resta raso terra all’altezza dei quadrifogli. Ma la MCO e il superlativo Andsnes lo hanno fatto apparire (quasi) un brano riuscito. L’ottimo Prague Philhamonic Choir, poi, ha avuto il pregio (ben istruito da Lukas Vasilek) di farci intuire un’altra ascendenza: il finale del Flauto magico che tanto Beethoven ammirava. Resta la sostanza di un brano ibrido e riuscito solo a metà.
Un plauso specialissimo al coro per averci deliziato in precedenza con «O sacrum convivium!» del geniale Messiaen, pagina di enorme carica emotiva e dall’intenso afflato mistico, imbevuta di profonda spiritualità che l’ensemble ha restituito al meglio in tutta la sua pregnanza. Da ultimo una sottolineatura per lo Stravinskij del Concerto per orchestra Dumbarton Oaks, pagina di trasparente luminosità e notevole concisione, che la MCO aveva offerto in apertura, quasi un succoso e saporoso aperitivo musicale. Raramente l’abbiamo ascoltato con tale esattezza ritmica (le impervie polifonie del primo tempo, poi l’ironia del tempo lento e ancora le arguzie del finale). A dir poco magnifico.
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