
Osterfestspiele: Staatskapelle Dresden con la direzione di Christian Thielemann in Arabella, Metamorphosen, Also sprach Zarathustra
di Riccardo Rocca
PASQUA 2014 PER RICHARD STRAUSS a Salisburgo con una Staatskapelle Dresden in grande spolvero: orgogliosa di una tradizione straussiana lunga più di un secolo, le cui radici affondano nelle prime esecuzioni di opere come Salome (1905), Elektra (1909) o Il cavaliere della rosa (1911), la prestigiosa orchestra tedesca è oggi senza dubbio la migliore in una prospettiva interpretativa di stampo conservatore: per chi ama le sonorità piene e lussureggianti degli ottoni, il velluto degli archi, un intreccio di clangori dalla limpidezza annichilente, la Staatskapelle di Dresda è oggi compagine eccellente anche grazie alla presenza, quale direttore principale, di Christian Thielemann, che ne orienta le virtù secondo un’ottica coerente e mirata.
Ad un pubblico ancora stregato dal conturbante Parsifal dell’anno scorso, è stata offerta quest’anno un’opera dai contenuti più leggeri come Arabella, talora indicata a torto come sorellastra del Rosenkavalier, con il quale ha poco da spartire se non per una comune ma generica ambientazione salottiera. Arabella è una sorta di soap opera straussiana, le cui qualità possono emergere solamente in presenza di una protagonista forte, il cui fascino, prima ancora del «Ich danke, Fräulein», lasci il pubblico a bocca aperta. Renée Fleming è artista di grandissimo livello e dalle virtù vocali ammirevoli, ma priva di alcune sottigliezze che invece facevano, per fare un esempio, di Lisa Della Casa una specie di Audrey Hepburn dell’opera. La linea di canto della Fleming è sostanzialmente di natura belcantistica, per un costante gioco di smorzature e ricami sul fiato che non rendono veramente giustizia ad una scrittura vocale che dovrebbe invece privilegiare l’urgenza del testo. Christian Thielemann ha accompagnato con la saldezza che sempre lo contraddistingue, ma senza trovare quella pertinenza di toni che nel repertorio wagneriano lo rende forse l’attuale interprete di riferimento: le chiuse orchestrali di fine atto in Strauss non bastano del resto a rendere efficace un commento musicale che, privo delle impennate emotive wagneriane, è tessuto e tinta connettiva di tutta l’opera. Il resto del cast è tutto di livello, a partire dalla eccellente cartomante di Jane Henschel, senza dimenticare il cameo di Gabriela Beňačková come Adelaide ed il conte Waldner di Albert Dohmen. Molto brava, nella parte di Zdenka, Hanna-Elisabeth Müller, soprano già di casa alla Bayerische Staatsoper e dal futuro promettente, che ha riscosso il maggior successo della serata. Discorso a parte merita Thomas Hampson, artista dalle note virtù sceniche, ma che con qualche difficoltà ha risolto un ruolo importante come quello di Mandryka a causa di risorse vocali che sono già andate esaurendosi col primo atto. Il nuovo allestimento di Florentine Klepper ha offerto ambientazioni sostanzialmente tradizionali ed una regia diremmo innocua – come, a quanto pare, accade spesso con Thielemann – priva dunque di decisivi spunti drammaturgici; la stessa recitazione, un poco più curata nella prima parte della serata, è finita per ridursi alla buona volontà degli interpreti.
La programmazione concertistica ha avuto una punta di eccellenza nelle Metamorphosen di Strauss: i ventitré archi solisti della Staatskapelle hanno costruito un tappeto sonoro la cui morbidezza nulla ha tolto alla limpidezza dell’incastro delle diverse voci da Thielemann costantemente valorizzate attraverso la cura delle dinamiche e la dosatura dei momenti di climax. Meno interessante la lettura del Requiem di Mozart, condotta da Thielemann secondo un’ottica che guarda al passato e che oggi, abituati alle interpretazioni del filone “storicamente informato”, può facilmente sembrare poco avvincente; ciò non ha tuttavia impedito di apprezzare ancora una volta le eccellenti qualità del Coro della Radio Bavarese. Se di notevole interesse è stato l’impasto sonoro dell’Ernster Gesang per orchestra di Rihm, brano introduttivo del concerto del 18 aprile, inaspettatamente meno riuscita è sembrata l’apertura del concerto del giorno successivo, con il concerto in do maggiore KV 467, protagonista Maurizio Pollini: il suo è sempre stato un Mozart interpretato razionalmente, privo di ogni divertimento, lontano da qualunque indugio o ruffianeria; un Mozart che rischia di essere però insapore e che perdipiù con particolare difficoltà sopporta serate di forma non eccellente del proprio interprete. Also sprach Zarathustra e i Cinque ultimi lieder scorrono via rapidamente tra i clangori della Staatskapelle ed il rifinito canto di Anja Harteros: punto di particolare interesse del programma l’ultimissimo lied Malven, scoperto pochi decenni fa tra il lascito di Maria Jeritza e presentato da Thielemann in prima esecuzione assoluta nella orchestrazione di Wolfgang Rihm.
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