Gala lirico a Macerata per il soprano (presente tra il pubblico) che visse l’epoca d’oro delle voci storiche. Francesco Micheli e Lella Costa hanno condotto la serata
di Elena Filini
L’ORCHESTRA INCOMINCIA QUEL FA MAGGIORE piano e apollineo. L’attacco è morbidissimo e la voce si propaga liquida. In “Polvere d’amore”, una donna cui il tempo ha lasciato una bellezza possente e maestosa, canta a fior di labbra, senza suono, forse per sè, Casta Diva. Un suono trattenuto che dice la dolce malinconia dei ricordi. Così Werner Schroeter ha letto, dietro la macchina da presa, Anita Cerquetti. Una donna normale folgorata da nove anni di carriera straordinaria. Tutto troppo in fretta forse. Cosa resta allora di una vita ultraottuagenaria, al netto di quella decade dorata? Un’icona. Così Anita, 84 anni e un cuore capace di muoversi oggi quasi solo grazie alla musica, è apparsa nel grande omaggio che Francesco Micheli ha voluto tributarle, insieme a Lella Costa e ad un cast di primedonne, dallo Sferisterio di Macerata per il progetto Genius loci, che ogni anno pone al centro dell’interesse un grande artista marchigiano.
Anita è lì nella notte ventosa, è lì con il corpo e con il cuore. Gli occhi ti puntano dritto, senza infingimento. Ti stringe le mani, e se le parli di Norma, le si rigano le guance. Per il resto il grande soprano che disse no a Rudolph Bing, la celeberrima altra Norma che divise involontariamente gli alterni della fama con la Divina Callas, sente e palpita in un mondo riposto, di cui possiamo solo intuire la colonna sonora. Fedele al motto della sua gente, i Montecòsari che fischiavano al sole perché smettesse di scaldarli, imponente e fiera come una Giunone italica. «Quel giorno il buon Dio si svegliò di buonumore» era solito ripetere Beniamino Gigli a proposito del grande soprano, nato a Montecòsaro, ad una manciata di chilometri da Macerata, il 13 aprile 1931 e rivelatosi con la vittoria al Concorso “Voci Nuove” di Spoleto nel 1951 con Aida. Sarà però al Maggio musicale, dal 1953, che la signora Cerquetti troverà spazio grazie all’incontro con Francesco Siciliani: qui il soprano debutta con Nabucco il 16 dicembre 1954 ed è di casa con nove grandi e i principali titoli del suo repertorio, cui si aggiunga la storica ripresa de Les Abencérages di Luigi Cherubini nel 1957. Intanto l’Arena di Verona la scrittura per un’Aida con Mario Del Monaco ed Elena Nicolai, in avvicendamento con Maria Callas. È uno dei primi incontri tra le due cantanti: l’una è ormai protagonista dell’opera e del Jet set, ma la seconda esibisce con fierezza le proprie credenziali di total voice. Ad unirle c’è poi un grande incontro, quello con Tullio Serafin per il Nabucco d’inaugurazione del Maggio Musicale 1954, dove la debuttante Cerquetti divide il palco con Tito Gobbi e Boris Christoff. Ma a Chicago, nel 1955, per Un ballo in Maschera, il maestro le è accanto alle prove. Da qui la prima uscita sui media, sempre però smentita, in cui il soprano diventerà la pupilla di Serafin. Dopo il lancio all’Opera House di Chicago, Rudolph Bing vuole conoscere Anita Cerquetti per scritturarla nella scuderia di cantanti italiani al Metropolitan. Non se ne farà nulla perché al dispotismo del grande manager si oppone il carattere di Anita.

Il soprano tornerà a New York soltanto per un’esecuzione in forma di concerto di Paride ed Elena di Gluck alla Town Hall nel 1957. Quel biennio incorona Anita Cerquetti come voce verdiana per antonomasia, grandissima Abigaille, dolente Amelia, sontuosa Aida, fiera Elisabetta di Valois e palpitante Leonora. Ma insieme la rivela come la più straordinaria interprete di Norma del dopoguerra. Accanto ed in opposizione a Maria Callas. Nella vita di ogni cantante c’è infatti il momento magico. È l’attimo della sorte, il tempo in cui ogni cosa diventa diversa. Per Anita Cerquetti è il 4 gennaio 1958. Due giorni prima, l’imprevisto forfait della Divina, che il 2 gennaio aveva cancellato, dopo aver cantato il primo atto soltanto, la recita di Norma al Teatro dell’Opera di Roma di fronte al presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. In sostituzione, dopo che il Parlamento italiano aveva impedito alla Callas di sostenere le recite per l’affronto arrecato alle massime autorità dello Stato, viene chiamata proprio Anita Cerquetti. Il 1958 fu per lei l’anno dello zenith. Dopo Roma e il ritorno a Palermo con Norma, Anita incappò di nuovo in un’opera callassiana: Il Pirata. Affrontò le prove ma preferì poi declinare. Stavano muovendo i germi di un profondo disagio interiore. Tuttavia l’estate ’58 aprì le porte della Scala, con la prima di Nabucco. Il 31 maggio Maria Callas dava l’addio al teatro milanese con Il Pirata e il 1 giugno Anita Cerquetti debuttava.
Il 1958 portò alla Cerquetti una nuova tournée in America con date a Philadelphia e a Città del Messico in cui però non seppe ripetere le annate precedenti ed una Norma ispirata a Barcellona in dicembre. Poi un anno di silenzio. E, nel 1960 la ripresa alla Scala con un’opera di Valentino Bucchi e lo Stabat Mater di Rossini, poi Un Ballo in Maschera a Pisa e il definitivo ritiro con il Nabucco a Hilvestrum (Olanda) nel novembre 1960. «Feci cure di ogni tipo sino alla cura del sonno – spiegherà nella biografia “Anita Cerquetti. Umiltà e fierezza“ di Elio Trovato – ma a nulla valsero i miei tentativi. I miei mali derivavano dall’impossibilità di cantare e la rabbia e l’impossibilità finirono per aggravare il mio stato fisico. Ero caduta in un cerchio chiuso». Negli anni Ottanta Anita Cerquetti esce da un ventennio di riserbo. Il rinnovato interesse verso la sua voce e la sua enigmatica carriera portano il soprano a diventare ospite di rendez-vous lirici e concorsi. E nel 2011 a Montecòsaro viene creato, per impulso del direttore d’orchestra Alfredo Sorichetti, il Concorso internazionale di canto a lei dedicato.
E proprio a Sorichetti è stato affidato il compito di orchestrare, lo scorso 7 agosto, il gala lirico in onore di Anita che ha visto Francesco Micheli e Lella Costa ripercorrere le tappe più significative della carriera dell’artista e sei primedonne avvicendarsi in scena nel raccontare attraverso la musica. Apre la serata Jessica Nuccio che, dopo aver proposto un’acerba Liù convince lo Sferisterio con la prima aria di Violetta, «È strano». Maria Pia Piscitelli, accorsa in sostituzione di Daniela Dessì incanta il pubblico con «Tacea la notte placida» per ritornare in scena con il duettone di Norma insieme ad una Sonia Ganassi in gran spolvero che regala alla serata il suo debutto in «Voi lo sapete o mamma» da Cavalleria Rusticana. Susanna Branchini si cimenta nella terribile scena di Abigaille «Ben io t’invenni… anch’io dischiuso» eccedendo in inflessioni di tipo verista e sacrificando la linea di canto ad un approccio forse sanguigno all’eccesso. Iano Tamar, generosamente resasi disponibile a sostituire Fiorenza Cedolins, presente come testimonial del progetto Action Aid in favore delle donne etiopi ma infastidita da un’infreddatura, si presenta solida ma poco prodiga di sfumature in due arie monstre del repertorio di Anita Cerquetti: «Tu che le vanità» e «Pace mio dio». Non manca il debutto del giovane mezzosoprano Rachele Raggiotti, rivelata dal Concorso Cerquetti.
La serata è godibilissima nel trovare una chiave aggiornata e piena di ritmo per raccontare la voce e l’anima di Anita. Il momento culminante è «Casta diva», smontata e rimontata per affiancare le voci di Anita Cerquetti e Maria Callas: la sacerdotessa dei Druidi appare in tutta la sua ambivalenza, sofoclea e virgiliana, oscura e possente. Ed Anita, immobile come una maschera tragica in platea, riannoda il filo delle sue emozioni forse a quel 4 gennaio 1958, a quella folla che le tributò quindici minuti di applausi e grida, e a quel mondo enigmatico che poco dopo sembrò volerle voltare le spalle nella quasi completa indifferenza.
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