
L’inaugurazione della Stagione della Filarmonica della Scala con la solista Lisa Batiashvili. Strepitoso Mahler nel concerto sinfonico successivo
di Luca Chierici
CON UNA CONSUETA CONCENTRAZIONE di impegni Daniel Barenboim sta organizzando una sorta di cerimonia per il suo addio – speriamo non definitivo – al teatro che lo ha visto impegnato a livello ufficiale in questi ultimi anni. Un addio che si presta anche a considerazioni generali sulla presenza artistica del direttore e sul livello di eccellenza che ha caratterizzato il suo lavoro nel campo dell’opera, del repertorio sinfonico e di quello pianistico. Riservandoci spazio futuro a proposito dell’imminente Fidelio e del ciclo dedicato alle sonate di Schubert, ci occupiamo per il momento dei due interessanti concerti che hanno visto Barenboim prendere congedo dalla Filarmonica con un programma di particolare spessore e intensità. Nella prima serata, dedicata a Čajkovskij, il direttore ha sostenuto la brillante performance della violinista georgiana Lisa Batiashvili con un approccio che forse avremmo voluto meno convenzionale, più attento ai “lati oscuri” della partitura piuttosto che a quelli che si erano a torto meritati gli strali di certa critica viennese.
La Batiashvili ha notevole temperamento e grinta e ha assecondato in pieno la visione del direttore in un Concerto sul quale si può dire ciò che si vuole ma che strappa sempre grandi applausi al pubblico, compreso quello spontaneo alla fine del primo movimento come è accaduto l’altra sera. Si capiva comunque che l’oggetto dell’interesse di Barenboim era rappresentato dalla Patetica, così come due sere più tardi è accaduto con la nona sinfonia di Mahler. Sia nel primo che nel secondo caso si è notata una scelta interpretativa che potrebbe far pensare a un indirizzo controcorrente rispetto a certa tradizione cui siamo stati abituati nel corso del tempo, soprattutto grazie alle letture sofferte, laceranti, dei Karajan, degli Abbado, di tutti coloro insomma che hanno visto in queste partiture il simbolo di una visione cupa e sostanzialmente pessimistica della vita e dell’arte. La personalità di un artista come Barenboim non si lascia facilmente decifrare, ma a giudicare dalla sua lettura di questi straordinari capolavori sembra quasi che egli voglia sottolinearne un lato vitalistico, di sfida al destino che porta ad esasperare anche certe specifiche caratteristiche strumentali e di fraseggio. Non è un caso che il momento più intenso della Patetica sia risultato essere lo Scherzo, non solo come esempio di virtuosismo orchestrale di straordinario impatto ma anche come luogo dove il rispetto di una metrica inflessibile spazza via qualsiasi sospetto di sentimentalismo.
Nel corso della seconda serata Barenboim ha dapprima reso omaggio all’ultimo Mozart del Concerto K 595, uno dei preferiti dall’artista che lo aveva diretto alla Scala nei primi anni Settanta in una indimenticabile serata a fianco dell’altrettanto indimenticabile Clifford Curzon. Il suono bellissimo di Barenboim rendeva certo giustizia al pianismo iridescente di questo concerto, nel quale gli scarti di tonalità preannunciano in maniera inquietante i percorsi labirintici schubertiani, ma ancora ci teneva piuttosto lontani da quel soffuso senso di congedo che pervade la partitura e che si accumula fino a sfociare nella disperata confessione contenuta nelle prime misure della cadenza all’ultimo movimento, tre modulazioni inaspettate che rivelano d’improvviso la tragedia che si cela dietro il fanciullesco motivo del ritornello.
Della Nona Sinfonia di Mahler Barenboim ha offerto una lettura davvero impressionante per vigore e sfruttamento di tutte le potenzialità timbriche dell’orchestra, tanto che anche in questo caso l’attenzione massima si è concentrata sul fantastico Rondo-Burleske, piuttosto che nel Finale. Quel tema che al termine dell’ultimo movimento, nell’Adagissimo, viene espresso sempre più sottovoce, smaterializzato, quasi nel disperato tentativo di far intendere alla Morte le ragioni del canto e della speranza, era sussurrato da Abbado in maniera straziante (lo abbiamo ben presente nelle sue ultime esecuzioni al festival di Lucerna). Non è in questo punto che la sensibilità di Barenboim si manifesta più palesemente, bensì negli effetti strumentali beffardi del Rondo, nell’incipit teso e bruciante del primo movimento e in genere in tutto il complesso e contraddittorio dialogo che sfrutta ogni potenzialità dell’orchestra.
Per rispondere a queste richieste tutt’altro che facili occorreva uno strumento di livello eccezionale, che conoscesse oramai nell’intimo le intenzioni del direttore e che mettesse in pratica il suo gesto sempre preciso e autorevole. La Filarmonica, come sempre accade nei confronti di quegli artisti che – pure con approcci stilistici del tutto differenti tra loro – si impongono sopra gli altri per doti personali e di carattere, ha tradotto in pratica ogni desiderio del suo Direttore musicale e ha contribuito almeno in egual misura al successo della serata.
Daniel Barenboim, direttore | Filarmonica della Scala | 10 (con Lisa Batiashvili) e 12 novembre