Sul podio dell’Orchestra Nazionale della Rai per l’interpretazione della monumentale Ottava Sinfonia, versione del 1890
di Attilio Piovano
ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE RAI IN GRAN SPOLVERO, vale a dire in una forma a dir poco smagliante e, come occorre, schierata con un organico oltremodo corposo (quasi cento elementi con tanto di tube wagneriane, 8 corni, trombone basso, tre arpe e via elencando), per l’Ottava Sinfonia di Bruckner, monumentale partitura che Semyon Bychkov ha magistralmente diretto a Torino (presso l’Auditorium ‘Toscanini’) le sera di giovedì 4 e venerdì 5 dicembre 2014. Bychkov ha dipanato la complessa architettura sonora – quasi un’ora e mezza di musica per un totale di oltre 2000 battute – con una chiarezza assoluta, ottenendo incredibili pianissimi a partire da quell’esordio veramente ‘epocale’, con tremolo dei violini e corni ‘tenuti’, l’appello dei clarinetti e al basso la tipica figurazione puntata che richiama l’incipit della beethoveniana Nona, memorabile. La si è ascoltata nella versione del 1890 curata da Leopold Nowak, a tutt’oggi la più fedele al dettato del timido e ingenuo Bruckner, sempre pronto ad ascoltare i suggerimenti fosse anche del più modesto degli allievi e ad intervenire (talora forzosamente e inutilmente) sulle proprie partiture, delle quali – si sa – esistono non a caso oggidì parecchie versioni: e ogni volta si pone in primis il problema di quale edizione adottare. Molto bene ha fatto Bychkov, dunque, a proporre tale versione che restituisce al meglio la pagina, risultando il più possibile fedele alle intenzioni espresse dall’autore.
Grandi emozioni già nel primo tempo, dai densi cromatismi wagneriani, ampio (e talora decisamente ipertrofico), con immani clangori e reboanti impasti di ottoni (superba la prova fornita dall’intera orchestra, archi ambrati e profondi, ottoni luminescenti, percussioni incisive), clangori ai quali peraltro Bychkov ha dato corpo evitando quel che di retorico ed enfatico che talora aleggia in altre esecuzioni. Ne è emerso un primo tempo grandioso e cesellatissimo al tempo stesso, dove tutto era chiaro e coerente, giù giù sino alle ultime, rarefatte misure che chiudono in pianissimo, ciclicamente, dopo gli indicibili apici dinamici della zona mediana. Poi il clima più smagato e sereno del bonario Scherzo, con le ondate di scale discendenti dei violini, quindi il celebre e facilmente memorizzabile tema flessuoso e ciondolante volto ad evocare la popolaresca e campagnola figura del Deutsche Micherl. Anche qui equilibrio e misura da parte di Bychkov che, limitando al massimo quel quid di paesano implicito nella pagina, ha poi dedicato somma cura al vero e proprio cuore espressivo ed emotivo dell’intera Ottava: il sublime Adagio centrale, un lungo e sofferto percorso dall’iniziale attacco, come un mormorio, un muovere dal caos primordiale, come un «gigantesco moto ascensionale» (nota Daniele Spini) che conduce al climax. Una vera lezione di stile quella di Bychkov che ha posto in evidenza i molti, ingegnosi e raffinati contrappunti, lumeggiando qua e là dettagli anche minimi e secondari (dando il giusto rilievo alle pennellate iridescenti delle tre arpe), in un’interpretazione davvero da manuale, sempre perfettamente assecondato dall’orchestra.
E ancora nel Finale, talora enfatico, Bychkov ha saputo rendere il tutto addirittura vaporoso, verrebbe da dire, strappando gli applausi anche ai più refrattari ed ai recidivi anti bruckneriani (come chi firma questa recensione, ebbene sì, occorre ammetterlo), mostrando come sia possibile conquistare adepti grazie a cultura, intelligenza, misura, eleganza e rigore interpretativo. Pubblico invero un po’ scarso, spiace dirlo, quanto meno la sera di venerdì della quale riferiamo, ma applausi protratti ed entusiasti: a Bychkov, innanzitutto, ma altresì all’intera orchestra ed alle sue ottime sezioni e validissime prime parti (e verrebbe voglia di nominarle tutte, ragioni di spazio non lo impediscono).