
Al Teatro La Fenice l’opera di Verdi per l’apertura della Stagione 2014-15: direzione di Myung-Whun Chung, regìa e scene di Andrea De Rosa. Equilibrio tra tradizione e modernità
di Elena Filini
IN UN’OPERA COME SIMON BOCCANEGRA la vera regìa è fatta di suoni: ogni accento, ogni inflessione musicale racconta il dramma del rimorso, l’infelicità di un uomo che ascende al soglio dogale ma rimane un corsaro, un irregolare. Per questo la visione più meditata e matura è forse quella che lascia alla partitura la sua centralità ed organizza in quadri scenici, ora imponenti ora suggestivi i fotogrammi della vita di un uomo che pian piano rivale un amaro destino. Per questo la mise en scene di Andrea De Rosa si fa apprezzare per misura ed eleganza. Le proiezioni del mare di Genova, di Pasquale Mari, che seguono cronologicamente lo svolgersi del dramma, raccontano il cielo sotto cui si svolge una storia di violenza e rimpianto, l’eterno giro del tempo che torna a chiudere il conto. Una struttura lineare ed imponente, ora bifora, ora palazzo, ora sala del gran consiglio, pochi elementi ponderosi e costumi in stile (Alessandro Lai) contribuiscono, nella visione di De Rosa (che firma anche le scene), a creare uno squisito equilibrio tra tradizione e modernità.
Impressionante la prova fornita da Simone Piazzola e Francesco Meli. Il primo affronta a 29 anni il debutto nel ruolo di Boccanegra con una maturità vocale e di accenti che, per chi ne ha sorvegliato un poco l’evoluzione, fa appieno comprendere il lavoro di scavo anche tecnico compiuto per aderire a questo protagonista e alla responsabilità di una prèmiere di stagione. In Piazzola si riconosce, per timbro e dominio tecnico, senza dubbio un fuoriclasse. E, con questo utilizzo di mezzi naturali superiori (benché ancora non completamente idonei alla parte), si presagisce un futuro da baritono verdiano per antonomasia. Francesco Meli in Gabriele Adorno esibisce un fraseggio scolpito e una adesione ideale al ruolo. Il timbro si è scurito, l’accento è ideale per definire questo prototipo di tenore verdiano, istintivo e preda delle proprie passioni. Ottima la sua prova, e il consiglio è di non voler ispessire all’eccesso i centri, tentato magari da qualche prematura scrittura.
Maria Agresta ha voce e temperamento ideale per il ruolo: forse la recita del 4 dicembre l’ha vista un po’ meno ineccepibile dello standard consueto per intonazione e filati, ma ciò non toglie che si sia rivelata una scelta preziosa per Amelia Grimaldi. Giacomo Prestia è un Fiesco di physique e fraseggio nobile e ieratico, soprattutto nelle inflessioni più liriche e nel registro medio-grave. Più che convincente il Paolo Albiati di Julian Kim mentre un plauso va anche al Pietro di Luca Dall’Amico. La concertazione di Myung-Whun Chung, con cui l’orchestra della Fenice ha un’affinità del tutto particolare, fa la differenza: il teatro, trasformato, si veste di poesia. Chung sente le inflessioni più intime e dolorose del dramma, è sempre attento a usare lo strumento buca in roboanti effetti senza impensierire mai le voci. Ha un rapporto di confidenza e affetto con il pubblico, sa creare un’atmosfera di grande collaboratività tra interpreti e professori; la sua presenza e l’investimento su un cast giovane e di gran talento ha reso quest’apertura di stagione un grande momento musicale.