A Torino la prima esecuzione assoluta della composizione di Carlo Alessandro Landini insieme a Schumann e Beethoven. Direzione d’orchestra e pianoforte tutti al femminile con Zahia Ziouani e Martina Filjak
di Riccardo Rocca
“Danze celesti” è il titolo attribuito all’ultimo concerto dell’Orchestra Filarmonica di Torino, il cui programma presentava, secondo uno schema diffuso, due pezzi del repertorio tradizionale introdotti da un brano di fresca composizione. Se nelle intenzioni degli organizzatori la valenza ossimorica di tale titolo intendeva probabilmente collegare, intorno al concerto per pianoforte di Schumann, gli elementi dionisiaci della Settima di Beethoven con una dimensione celeste che avrebbe invece alluso a Louange de l’Eternel di Carlo Alessandro Landini – brano che ha avuto il 14 aprile la prima esecuzione assoluta – l’accostamento si è rivelato più attraente dell’atteso.
La veste pianistica entro cui, nel 2008, venne alla luce Louange de l’Eternel attinge infatti ad un universo sonoro impressionista che la versione orchestrale, più tardi commissionata dall’OFT, reinterpreta in un’ottica completamente diversa; e quanto sia sostanziale il ruolo dell’Instrumentierung nella musica di Landini è ben chiaro a chi ne conosce la poetica del tempo sospeso, in aperta polemica con le convenzioni ritmiche del discorso musicale. Il «carattere mutato», a cui le righe contenute nel programma di sala accennano, sembra dunque voler minimizzare la portata invero sostanziale di un’orchestrazione declinata secondo le poliedriche sensibilità di un compositore italiano sì maturato a Parigi alla scuola di Ivo Malec, ma non dimentico delle tradizioni della propria seconda madrepatria, la Germania. È infatti al simbolismo decadente tedesco, a cui la versione orchestrale di Louange de l’Eternel sembra guardare, ammantando la lode a Dio del Salmo 144 di sorprendenti sensuali e lussuriose sonorità da straussiana Danza dei sette veli: sostenute dai liquidi arpeggi dell’arpa, rapide e sinuose scale cromatiche affidate ai legni riempiono per riduzione note che la versione pianistica esprimeva in anodini valori lunghi; e sgomenti si rimane al presagio di inquietanti relazioni suggerite tra le parole del salmo: «Que ma bouche proclame les louanges du Seigneur!» e la figura del Battista, la cui bocca è da Salome così morbosamente invocata nell’opera di Strauss.
La lettura della direttrice d’orchestra algerina Zahia Ziouani è stata tecnicamente infallibile ed ha potuto confidare nei duttili mezzi di un’orchestra affollata di giovani e giovanissimi. Di una cura più accorta e delicata della qualità del suono avrebbero tuttavia beneficiato non solo le voluttuose tinte strumentali del brano di Landini, ma anche le folli cavalcate ed il celebre Allegretto della Settima di Beethoven; così come pure gli sforzi dell’audace pianista Martina Filjak, le cui numerose intuizioni nell’esecuzione del concerto di Schumann non sempre sono state comprese e valorizzate sul fronte orchestrale. Molto d’effetto e nel contempo raffinati i due encores concessi dalla solista: il schumanniano Intermezzo dal Carnevale di Vienna op. 26 ed il rarefatto Für Alina di Arvo Pärt.