Il virtuoso e raffinato pianista si è esibito alla Società del Quartetto: Debussy, Schumann e Hindemith
di Luca Chierici foto Marco Borggreve
CHI CONOSCE DA TEMPO le qualità di un pianista serio, preparato, stilisticamente ineccepibile come Enrico Pace e lo ha ascoltato a fianco di solisti come Frank Peter Zimmermann e Leonidas Kavakos o di cantanti come Matthias Goerne, o ancora quale protagonista nel Secondo Concerto di Liszt e nel quarto di Rachmaninov non può che rallegrarsi del fatto che finalmente lo si sia potuto ascoltare in maniera autonoma e all’interno della programmazione di una società concertistica tra le più prestigiose d’Italia. Seguiamo Pace dai tempi della sua vittoria al Concorso Liszt di Utrecht nel 1989 e non abbiamo mai risparmiato elogi nei confronti di un artista di gran classe, ma confessiamo che da lui ci saremmo aspettati qualcosa in più rispetto a ciò che abbiamo ascoltato nel corso della serata.
Pace si è presentato al pubblico del Quartetto con un programma temibile, non del tutto popolare e dall’impaginazione che ci è rimasta oscura. Nell’elusivo Debussy delle Six épigraphes antiques, originariamente scritte per due pianoforti e ridotta dallo stesso compositore, egli ha dimostrato di quale raffinatissima arte del tocco sia in possesso, estraendo dallo strumento una gamma di timbri e di sfumature tali da mettere in dubbio il fatto di essere in presenza dello stesso pianoforte normalmente utilizzato dalla Società del Quartetto durante i recital di tanti altri pianisti e pianiste che esibiscono un suono piatto, metallico o sordo. È stato poi il turno della difficile terza sonata di Hindemith, cavallo di battaglia di Glenn Gould ed eseguita in concerto persino dall’anziano Shura Cherkassky.
Si tratta di un lavoro complicatissimo che pone al solista, tra le altre cose, dei seri problemi di memorizzazione. E qui Pace avrebbe potuto utilizzare lo spartito, in modo tale da evitare un paio di momenti di défaillance che hanno in parte compromesso l’integrità della pur notevole esecuzione del primo movimento e della fuga conclusiva. Si sarà molto probabilmente trattato di occasionale nervosismo perché ricordiamo un paio di esecuzioni perfette della stessa sonata da parte del pianista riminese trasmesse dalla radio tedesca non molti anni fa. Del resto chi è troppo bene abituato ad ascoltare Pace quando ad esempio è impegnato nelle sonate per violino e pianoforte di Beethoven, è portato ad attendersi da parte sua lo stesso supremo dominio della tastiera anche nella letteratura per pianoforte solo.
La sua Kreisleriana, che ha aperto la seconda parte del recital al Quartetto, era davvero ragguardevole dal punto di vista della partecipazione emotiva ma mancava talvolta di un ragionevole controllo del suono, come se l’impellenza espressiva dovesse per forza collocare in secondo piano la qualità del timbro e la regolarità del fraseggio. Nella penultima Fantasia, ad esempio, i vertiginosi gruppetti di apertura si tramutavano in violenti strappati, esasperando il significato della notazione originale. E pure nel “suo” Liszt Pace non ha fatto dimenticare né lo Horowitz de La vallée d’Obermann né il Lazar Berman di Orage (primo bis della serata): nel primo caso è mancata in parte la capacità di sostenere l’eloquio perfetto, la preparazione graduale dell’incandescente perorazione conclusiva tramite un gioco di fluttuazioni di tempo di grande efficacia teatrale, nel secondo la pienezza di suono che permetteva a Berman di eseguire le ondate velocissime di ottave con un controllo timbrico straordinario. Ci permettiamo di avanzare questi paragoni attraverso il ricordo di alcuni grandi pianisti del recente passato proprio perché riteniamo che il livello di un solista come Pace si collochi ben al di sopra della norma e che ci si possano attendere da lui traguardi paragonabili a quelli raggiunti dai nomi qui ricordati. A conclusione dell’applaudito recital Pace ha eseguito, sempre dalle Années de pélérinage di Liszt, il Sonetto n. 104 del Petrarca, raggiungendo in tal caso un risultato complessivo di eccellenza assoluta che da solo avrebbe comunque giustificato la presenza del pubblico in sala per la serata. (Recital del pianista Enrico Pace Milano, Società del Quartetto, 28 Aprile 2015)
Il concerto di Pace è stato un vero disastro: ma dove sono le sonorità liquide di Debussy, utilizzando una impostazione brillante come fosse un esercizio di Czerny? Forse la critica ufficiale deve sempre avere un tono non troppo aggressivo ma a parte Hindemith tutto, ribadisco tutto, era sbagliato. Per un commento più articolato vedi il post relativo su kurvenal.wordpress.com.