Nuovi allestimenti firmati dal regista e scenografo Enrico Castiglione. In agosto Don Giovanni, Carmen, Il barbiere di Siviglia
di Santi Calabrò
NEL TAORMINA OPERA FESTIVAL di quest’anno – sempre affidato alla direzione artistica di Enrico Castiglione, che firma anche le regìe delle opere in programma –, spicca innanzitutto la qualità dell’Orchestra del Festival Euro Mediterraneo, affidabile e con prime parti all’altezza. Su questa solida base e su un soddisfacente livello dei direttori d’orchestra si snodano nel mese di agosto tre titoli centrali del repertorio, Don Giovanni, Carmen, Il barbiere di Siviglia. Siviglia, come ambientazione, è il trait d’union: niente più che uno slogan, ovviamente, per un cartellone che punta più all’intrattenimento che a progetti di segno culturalmente connotato, senza assumere rischi con proposte di incerto richiamo e senza osare un impianto innovativo almeno in qualche impostazione registica. Il Festival associa ai titoli noti un battage adeguato, non impiega risorse per i programmi di sala – evidentemente ritenuti non necessari – e proietta (è il caso di dirlo) le sue ambizioni anche al di fuori della cornice meravigliosa del Teatro Antico tramite lo strumento della diffusione al cinema in streaming (l’anteprima di Carmen il 15 luglio è stata trasmessa in diretta in trentasei paesi). Coerentemente con tali premesse lo spettacolo è piacevole e mai provocatorio. Il colpo d’occhio del luogo accoppiato a quello dei costumi sempre eleganti e spesso luminosi di Sonia Cammarata costituisce il biglietto da visita di ogni produzione, ed è subito un bel guardare. Anche in questi assunti un po’ disimpegnati, tuttavia, si annida la possibilità di una via d’accesso a suo modo caratterizzata nell’universo di significati delle opere proposte. Tutto questo è evidente nel modo di mettere in scena i due campioni dell’eros nell’immaginario moderno: l’accentuazione degli elementi che sintetizzano alla buona i miti di Don Giovanni e di Carmen nella coscienza collettiva vince sulla tentazione di articolarli nella loro densità, ma per vie diverse la potenza incomprimibile delle due opere emerge ugualmente. In Don Giovanni Castiglione avvia subito un suo esplicito scioglimento del giallo dei gialli della lirica: cosa è accaduto tra Donna Anna e Don Giovanni?
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Per il regista non c’è dubbio, Don Giovanni è un seduttore aggressivo e non c’è niente di meglio che mostrare un fattaccio eloquente già durante l’ouverture, potente prefigurazione musicale dell’opera in tutte le sue implicazioni psicologiche e soprannaturali che qui la regia degrada a colonna sonora di uno stupro con qualche soddisfazione (di entrambi). E che dire dell’entrata di Carmen? Una allegra sigaraia fra le altre, mentre il taglio geniale e la torsione velocissima che la partitura di Bizet offre per marcare l’arrivo di un personaggio immensamente tragico sono usati solo come segnali di ingresso: il dramma può attendere. Tutta la prima parte di Carmen e già la stessa Ouverture sono còlte come musica della gioia mediterranea, ricacciando a dopo le implicazioni di morte che la partitura dissemina sin dall’inizio nella tela di un’opera segnata dal personaggio eponimo come nessun’altra, una tela in cui libertà, sensualità e brama di morte a suo modo eroica sono intreccio più che sequenza. Niente da fare: balletti, allegria, colore. Carmen, in una parola, seduce; come Don Giovanni. Il mito sarebbe tutto qui! In questo senso è rilevante la collaborazione del direttore d’orchestra Myron Michailidis, a suo agio nella visione registica di Castiglione fino a offrire scelte di strumentazione che sembrano fatte apposte per esaltare il ritmo e tacitare il pathos. Una fortuna che Stefano Romani, direttore di Don Giovanni, sia meno incline a una versione superficiale: semplicemente, l’opera di Mozart non lo reggerebbe. Qualche eccesso degli ottoni nel primo atto sembra più subìto dal direttore che richiesto (il clima da festival estivo a volte è un venticello che si insinua inavvertito nel polmoni di orchestrali dalla tecnica spavalda). Nell’insieme, a fronte di una certa grossièreté della regia, la musica, che mantiene un appropriato rigore stilistico, spicca con la sua densità e prende comunque il sopravvento: emerge anzi in modo netto, in un allestimento di questo tipo, proprio il fatto che tutta la tradizione precedente del mito, ricca di stratificazioni, e lo stesso libretto di Da Ponte siano solo la base per quella fissazione definitiva che si deve esclusivamente al genio di Mozart.
Detto questo, è difficile dire che sia preferibile lo spettacolo offerto da Don Giovanni: all’interno di cast altalenanti, il livello di Alessandra Volpe nel ruolo di Carmen è stato tale da equilibrare ogni punto a sfavore. Voce bella, potente, corposa senza essere eccessivamente carnosa, controllata ed espressiva, e presenza scenica ideale: una vera dominatrice del ruolo, capace alla lunga di far emergere lo spessore del personaggio anche in questa messinscena. Warren Mok nel ruolo di Don José alterna momenti di imperfetto dominio vocale ad altri appena sufficienti, l’Escamillo di Sun Li si distingue per il modo fine di condurre liricamente la celebre aria di sortita, ma con mezzi vocali al limite del ruolo. Bing Bing Wang è una Micaela apprezzabile per colore e fraseggio, ma solo quando non ci sono note acute. Il Coro Lirico Siciliano, preparato da Francesco Costa, è di buon livello, ma in Carmen il collegamento con la buca soffre di qualche ritardo e le intenzioni musicali a volte sembrano più adeguate ad una “ola” al Bernabeu. Meglio nel complesso il Coro in Don Giovanni, in linea con il buon esito mozartiano dell’orchestra. Qui, in mancanza di una star in momento di grazia pari alla Volpe, la prova di Panajotis Iconomou come Don Giovanni è discreta, anche se manca un po’ del nerbo e della profondità richiesti dal ruolo, e sempre dal parterre maschile vengono le cose migliori – Leporello è Noé Colin, Don Ottavio è Filippo Pina Castiglioni, Masetto è Daniele Piscopo, il Commendatore è José Antonio Garcia –. Fra i due soprani – Donna Anna è Chiara Taigi, Adriana Damato è Donna Elvira – la Taigi ha momenti apprezzabili ma una vocalità a tratti imprecisa; meglio di entrambe il mezzosoprano Marina Ziatkova, che si disimpegna bene nel ruolo di Zerlina.
Il pubblico affluisce numeroso sulle gradinate del Teatro Antico e apprezza. Il Festival prosegue in agosto con Il Barbiere; poi riprenderà a settembre con I Capuleti e i Montecchi e un immancabile “Opera gala 5 composers” (scene dalle opere di Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi e Puccini). A quando qualche attenzione più esplicita per la lirica come cultura, oltre che come spettacolo?
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