A Lugano il pianista ha proposto pagine di Beethoven, Schubert e Brahms, un programma tutto giocato con l’arma segreta del canto
di Luca Chierici foto © Matthias Creutziger
L’AUDITORIUM DI LUGANO ARTE E CULTURA al gran completo – e non certo grazie a una moltitudine di vecchi pensionati che si godono l’autunno sulle rive del lago – ha accolto sabato sera Radu Lupu con un applauso affettuoso che via via si faceva sempre più convinto al succedersi degli elementi che costituivano un programma denso e non facile. Un programma tutto giocato con l’arma segreta del canto, della apparente semplicità che sosteneva un discorso frutto di una vita di meditazione sugli autori amatissimi e sullo strumento che Lupu riesce a trasformare in un veicolo di suoni sì affascinanti ma anche coerenti con una visione della musica che non manca di notevolissimo insight strutturale. Una prima parte dedicata tutta al significato del concetto di “variazione” come intesa dai grandi classici viennesi non insisteva su questioni formali ma si soffermava volentieri sugli aspetti timbrici che in maniere molto diverse caratterizzano i lavori scelti per il recital. Sulla stessa lunghezza d’onda era situato anche l’inserimento della Sonata in sol maggiore di Schubert, uno dei pezzi più amati da Lupu ed eseguiti più spesso in questi ultimi anni, anch’essa frutto di una ricercatissima sperimentazione sonora da parte del pianista.
L’arte suprema di Lupu non è però diretta a sottolineare il particolare timbrico seguendo solamente l’istinto o la ricerca della bellezza assoluta
Le Variazioni op.21 n.1 di Brahms, che si ascoltano assai raramente, potevano essere considerate come se fossero uscite dalle mani stanche del vecchio musicista, che ritornava al pianoforte di gioventù con un senso di infinita nostalgìa. Una fotografia di Radu Lupu che si alzava dallo strumento per accogliere gli applausi del pubblico poteva facilmente creare l’illusione di trovarsi di fronte allo stesso Brahms, caso di somiglianza non indifferente. Nelle pagine sublimi di queste Variazioni vi è tutto l’incanto del melos brahmsiano ma anche una ricerca armonica straordinaria e un uso della mano sinistra che imita palesemente l’arcata del violoncello, con il suono intensissimo, i larghi intervalli che rendono le Variazioni di esecuzione così scomoda e poco redditizia per il pianista superficiale. Negli anni a cavallo tra il 1860 e il 1870 molti autori riscoprono il fascino della musica bachiana e ne tentano la riproposta in sede pianistica: Raff trascrive le Sei suites per violoncello e le Partite e Sonate per violino di Bach, e lo stesso Brahms sarà attratto di lì a poco dal progetto di trascrivere per la sola mano sinistra la famosa Ciaccona, utilizzando guarda caso una scrittura che viene anticipata di qualche anno soprattutto nella prima variazione dell’opera 21
Ma nelle Variazioni di Brahms il discorso assume in seguito tutt’altre caratteristiche e alla mano sinistra vengono richieste estensioni e figurazioni complesse che contribuiscono a rendere ancora più palese il contrasto tra la semplice, affettuosa melodia accordale del tema e gli interventi sinuosi dell’accompagnamento. Nella pagina conclusiva – il commiato da questa avventura straordinaria – vince la cantabilità più aperta e commossa, secondo un disegno a più voci che Radu Lupu – lo attendevamo particolarmente in questo punto – ha reso come al rallentatore, melodiando anche a bocca chiusa come fa quando l’emozione prende in lui il sopravvento, e comunicando un senso di pace ritrovata che è difficilmente commentabile.
L’arte suprema di Lupu non è però diretta a sottolineare il particolare timbrico seguendo solamente l’istinto o la ricerca della bellezza assoluta come facevano soprattutto Horowitz e in minor misura Cherkassky in tarda età: qui tutto è anche funzionale alla resa perfetta delle differenti parti che concorrono a stabilire il gioco di rapporti nell’armonia classica.
Il programma proseguiva con le 32 Variazioni in do minore di Beethoven, altro numero tra i preferiti dal pianista rumeno che avevamo già ascoltato più volte in concerto. Qui e nelle Variazioni-Duport di Mozart il pianista ha saputo piegare il fraseggio a quelle che sono le sue attuali condizioni di integrità puramente digitale, sottolineando ad esempio inediti accordi “strappati”, quasi chitarra, nella prima variazione beethoveniana e concedendosi scelte di tempo più lente del previsto. L’esperimento è riuscito magistralmente in Beethoven, meno bene in Mozart, dimostrando ancora una volta come la musica del salisburghese, anche quella apparentemente priva di complicazioni, esiga il rispetto assoluto di una precisione cristallina. Incidenti di memoria hanno reso a volte di difficile ricezione il discorso ma hanno dato anche luogo a curiose sovrapposizioni di parti, come se del piccolo capolavoro – mai affrontato da Lupu a quanto ne sappiamo – egli avesse voluto presentare un inedito condensato.
Il momento più denso e impegnativo della serata era rappresentato dalla Sonata in sol maggiore di Schubert, la cosiddetta “Sonata Fantasia” o “Sonata Virgiliana” come la chiamava Franz Liszt, che da Lupu avevamo già ascoltato su uno Steinway più brillante di quello dal suono un poco ovattato e scuro scelto dall’auditorium della cittadina svizzera, strumento quest’ultimo che ha assecondato alla perfezione il mood del pianista lungo tutto il percorso della serata. Siamo sicuri che i pianoforti “carrozzati” che si usano da noi nelle occasioni importanti costituiscano effettivamente il non plus ultra delle scelte? Qui un rapporto tutto speciale tra l’interprete e il capolavoro schubertiano faceva sì che non esistessero praticamente problemi digitali o vuoti di memoria o impedimenti di altro tipo, tanto che Lupu poteva abbandonarsi senza preoccupazioni a una lettura sempre diversa e piena di particolari inediti. Suono che si fa struttura nei primi due movimenti e nel finale, ricordo del tempo che fu nello Scherzo, che un tempo costituiva l’unica parte eseguita in pubblico da grandi pianisti come D’Albert. E ancora al di là di ogni commento critico risultava essere la resa di alcuni momenti che ogni schubertiano d.o.c. conosce benissimo, come l’idea “accessoria” – mai termine fu così inappropriato – che compare come dal nulla
Commosso al pari del pubblico che lo applaudiva, Lupu ha concesso come bis il primo Intermezzo dell’op.117 di Brahms, siglando così una serata che in una certa misura ruotava attorno al compositore amburghese, non a caso uno tra i primi estimatori e conoscitori della musica schubertiana oltre che mozartiano e beethoveniano della prima ora. (Lugano 7 Novembre 2015)