Una trincea italiana sul confine austriaco durante la Prima guerra mondiale. L’opera del compositore e pianista in prima esecuzione assoluta su commissione del Teatro Coccia
di Luca Chierici
IL TEMA DELLA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA DEL 1915-18 è stato progressivamente oggetto di revisioni storiche che vanno a correggere una visione agiografica tipica di quelli che erano gli insegnamenti scolastici di non molti decenni fa, quando ancora si tentava di tramandare in termini acritici non solo quel tardivo intervento italiano ma soprattutto quella grande invenzione mediatica che fu il Risorgimento. La Grande guerra come vera e propria carneficina distillata in gocce venne peraltro documentata da scrittori e poeti che colsero il dramma di una giovane popolazione che si potrebbe oggi definire multietnica, mandata in trincea in nome di chissà quale ideale patriottico.

La Paura, il racconto scritto nel 1921 da Federico De Roberto oggi ridotto per le scene da Alberto Mattioli e musicato da Orazio Sciortino accende i riflettori non solamente sull’inutilità della guerra ma anche sulla insostenibilità di una educazione al sacrificio che sembra regolare i terribili momenti di una operazione apparentemente ordinaria come il cambio di un posto di vedetta, risolto tragicamente nell’uccisione di tutti i soldati che vengono chiamati a turno ad affrontare la “missione”. Un testo simile avrebbe potuto in altri tempi sollecitare invenzioni musicali irripetibili, pensiamo a quel che fece Poulenc nella sequenza che commenta la sparizione per sottrazione delle Carmelitane al termine dei Dialogues. Sciortino, che aveva già affrontato il tema della grande guerra con Cima quattro il 23 dicembre 1915, commenta la vicenda con un’orchestra che non si limita a sostenere il canto del protagonista (il Tenente Alfani) e il quasi-parlato dei soldati semplici ma sembra ambire anche a una propria valenza autonoma, indipendente dal soggetto. Il testo di De Roberto e il libretto di Mattioli richiedono però la massima attenzione verso il dialogo tra i soldati e i superiori, con un’alternanza di dialetti che sottolinea drammaticamente le diverse origini dei compagni d’arme e insieme il comune sentimento di paura che non ha bisogno di essere espresso con un idioma specifico. Ed ecco allora che l’unico modo di comunicare davvero l’angoscia di una situazione insostenibile deve essere trovato nel linguaggio musicale, che contribuisce in maniera sostanziale a dare voce a quella paura evocata dal titolo.
Le scene di Giuseppe Salvatori hanno reso con grande semplicità l’evidenza della tragedia, a partire dal profilo minaccioso delle montagne che si incastra con un cielo buio
A rendere ancora più intellegibile il quadro contribuisce la regìa di Simona Marchini, che si sofferma volentieri sugli aspetti più umani della vicenda, soprattutto nel descrivere la personalità di un Tenente costretto a sostenere la parte del coach in una situazione senza via d’uscita e che solo alla fine, con il suicidio dell’ultimo candidato all’impresa della riconquista del posto di vedetta, si abbandona a un gesto di disperazione nonostante stia per arrivare in trincea un’ispezione ufficiale, e quindi un ennesimo richiamo a un ordine del tutto in contrasto con la situazione disperata. Le scene di Giuseppe Salvatori hanno reso con grande semplicità l’evidenza della tragedia, a partire dal profilo minaccioso delle montagne che si incastra con un cielo buio.
Protagonista assoluto è stato il tenore Blagoj Nacoski che ha sostenuto la difficile parte del Tenente Alfani e che ha piegato la propria vocalità a tutte le intenzioni espressive volute dall’autore. A sottolineare l’atmosfera opprimente e lugubre del lavoro di Sciortino e ad estenderne le valenze anche al di fuori del Teatro sono state – non espressamente richieste – anche le condizioni atmosferiche della sera della “prima” che hanno avvolto di una nebbia fittissima e piuttosto angosciante tutta la pianura attorno a Novara, esempio casuale di affinità di intenzioni tra realtà e spettacolo. (Rappresentazione del 3 dicembre 2015)