di Attilio Piovano
Tre pianisti orientali – Dong Hyek Lim, Seong-Jin Cho e Yundi Li – che si misurano con l’opera tastieristica del sommo Chopin. Tre pianisti ovviamente diversi: per formazione, impostazione, tocco, sensibilità, cultura e carattere. Tre pianisti che in tre dissimili (e simmetrici) cd regalano pur tuttavia non poche emozioni e già la scelta di accostare agli immortali Preludi op. 28 alcune altre pagine appare emblematica, dettata da precisi gusti e inclinazioni, ovvero informata a motivati intenti.
E allora ecco Dong Hyek Lim pianista di levigatezza neoclassica che nelle Variazioni brillanti op. 12 in si bemolle maggiore svela un tocco perlaceo e nitido, rivelandosi nel contempo capace di cogliere al meglio, fin dall’esordio (Introduzione, Allegro maestoso) quel senso della souplesse (il famigerato rubato) che in Chopin è un dato imprescindibile. Non gli difetta poi la capacità di evidenziare un certo qual humour, o quanto meno l’estro capriccioso – pseudo schumanniano, verrebbe da dire – di non pochi passaggi. Ma anche il tono naïf del tema come di amabile barcarola, col suo bel cantabile dai contorni arcadici e romantici nel contempo, appare ben reso; e così i passaggi più intimisti si contrappongono con naturalezza come un magico e rarefatto contraltare ai momenti più esteriori di cui sono conteste queste Variazioni. Leggerezza e corposità di suono convivono felicemente nella ‘lettura’ di Dong Hyek Lim, giù giù sino alla chiusa che l’artista riesce a rendere sfolgorante attenuandone alquanto quel che di salottiero che solitamente finisce per predominare.
Poi l’intera serie dei Ventiquattro Preludi op. 28 e una mirifica carrellata di colori, e allora già subito convincono la distillata dolcezza del primo e la cupa tetraggine del secondo che non si potrebbe più macerato, con quelle frasi smozzicate, impregnate di pathos, poi ecco la girandola festosa del terzo, o le fantasmagorie del quinto. Talora certi eccessi di indugio come nel quarto o più ancora nel sesto, col cantabile di violoncello alla sinistra, rischiano di apparire lievemente manierati (così pure l’attacco del celeberrimo n. 15 che poi si riscatta però nella parte mediana). Ma sono piccoli nei a fronte del coinvolgimento emotivo di non pochi altri Preludi (così l’ottavo dalle baluginanti sonorità; così pure superba risulta l’interpretazione del decimo, brevissimo e aforistico, e del virtuosistico n. 16). Se il nono manca un poco di solennità e il n. 12 lo vorremmo ancora più affannoso e concitato, per contro ecco l’adorabile simplicitas del tredicesimo e la tragicità lancinante di non pochi altri Preludi (il n. 18 dai tratti smaccatamente schumanniani che l’interprete raccoglie ed enfatizza). Notevole emozione regala l’esecuzione del n. 17 che raramente accade di ascoltare con una bellezza di tocco sì convincente, e ancora: apprezzabili risultano la sonora dolcezza del n. 19 e la grandiosa magniloquenza del vibrante n. 20. E pazienza per qualche cedimento qua e là e un eccessivo e giovanilistico compiacimento virtuosistico ad esempio nell’ultimo, a tratti metallico e un po’ aspro.
Il cd contiene inoltre l’incisione della Berceuse op. 57 (bel tocco e quasi nessuna concessione alle smancerie che la pagina inevitabilmente innesca) e della più vasta Barcarole op. 60: in cui Dong-Hyek Lim si conferma interprete in grado di coniugare scrupolosa fedeltà al testo e invenzione di un proprio originale universo, specie timbrico, di ammirevole varietà, fatta salva una tecnica solida e una consapevole coerenza di lettura.
Seong-Jin Cho (coreano classe 1994, premiato al prestigioso Varsavia 2015) dell’intera serie dei Preludi offre una lettura davvero di alto livello: di sicuro farà parlare parecchio di sé negli anni a venire. Ammirevole l’estrema cura dei dettagli, la curva espressiva dei singoli brani di cui approfondisce l’essenza. Emerge nel complesso una raffinatezza interpretativa che si ricollega ai grandi pianisti della storia, e non solo ai massimi interpreti chopiniani (esemplare il n. 7 per limpidità, il successivo e il n. 10 per scioltezza). Occorrerebbe soffermarsi a lungo. Poche annotazioni soltanto, a titolo esemplificativo. Per dire, nel n. 12 e altresì nel n. 16 riesce a compiere una sorta di doppia metamorfosi trasformando entrambi in poemi eroici degni di stare accanto alle Ballate, un merito e motivo di vanto; del n. 13 enuclea come giusto la ialina fragranza; al n. 14 conferisce una curva espressiva di grande appeal pur nella brevità della campitura, analoga è la sensazione dinanzi al sublime e vasto n. 15 e così pure immette molto slancio nel n. 18, mentre del n. 19 è ben colta la leggiadra scorrevolezza. Ammirevole (al di là della perfezione tecnica assoluta) la tenuta psicologica, considerato che si tratta di una incisione live. Tra i vertici più elevati la possanza del n. 20, affrontato con una maturità incredibile e un senso della forma davvero eccellente. Idem dicasi del conclusivo Preludio, del quale mette a fuoco ogni minimo dettaglio, con coerente e calibrata sapienza, inserendolo in un preciso piano interpretativo, non semplice sfoggio di bravura tecnica, bensì volto a scandagliare con efficacia tutta la tragicità e il nazionalismo insiti in questa pagina.
Non minori emozioni regalano le restanti pagine prescelte per questo cd-recital. Notevole la lettura del Notturno op. 48 n. 1, dove ogni nota è ‘pesata’ e ‘pensata’ con millimetrica esattezza, eppure all’ascolto la perfezione assoluta passa in second’ordine rispetto alla vibrante vis dell’idea interpretativa, nonché al range delle sonorità esperite. Misurarsi poi con la Polonaise op. 53 vuol dire avere il coraggio di affrontare una pagina eseguitissima, ponendovisi di fronte con animo sgombro da condizionamenti. Anche qui nessun eccesso, ma molto appeal e (pressoché) nessuna concessione al plateale gigionismo cui indulgono da sempre – invece – generazioni di interpreti, nemmeno nella plateale zona centrale, forse qua e là appena qualche asprezza di troppo.
Della Sonata op. 35 il primo tempo risulta forse un po’ affrettato, e con qualche eccesso di (esibito) virtuosismo, ma con un cantabile di qualità e ancora un senso ammirevole della forma; se lo Scherzo risulta eccessivamente martellato, mancando di tensione in quella zona dalle rabbiose raffiche e col cantabile centrale sì virile, ma anche un po’ – come dire – tirato via, è nella superba Marcia Funebre che il pianista coreano dà i brividi e supera se stesso (centellinando inoltre un lirismo di rara politezza nella zona mediana); non così, purtroppo, nel Finale, fantasmatico e di inaudita modernità, del quale riesce a cogliere solo in parte quel colore pre-impressionista che ne costituisce il motivo di maggior fascino. Ma è giovane ed arriverà anche a questo. Per ora ha già conseguito notevoli vertici, ha tecnica da vendere e soprattutto suona con una consapevolezza ed una cultura rari in un pianista poco più che ventenne, già un vero e proprio fuoriclasse.
Da ultimo l’interpretazione dei Preludi op. 28 da parte di Yundi Li che ‘completa’ il suo cd offrendoci una toccante lettura anche dei poco frequentati due Preludi op. 45 e Opera postuma, l’uno curiosamente in anticipo su certo Rachmaninov (con quelle algide rarefazioni assaporate con misurata voluttà), brevissimo e brillante l’altro, dalla bellezza fatua un poco frale. Dei Preludi op. 28 Yundi Li fornisce un’interpretazione talora un poco superficiale e prevedibile, quanto meno in apparenza, al primo ascolto (c’è poco scavo ad esempio nel n. 2 ed anche nel n. 6, ma ci sono deliziosi dettagli e certe felici intuizioni specie sul piano della dinamica e dei fraseggi che fanno drizzare le orecchie e incuriosiscono). Un po’ a corrente alternata, la sua lettura, che va però in crescendo e allora se il n. 7 ed il n. 9 sono un poco appiattiti e didascalici, come bidimensionali, per contro vi sono in seguito apici ammirevoli: tra questi ad esempio il rotolare incalzante e precisissimo del n. 8 che impone grande attenzione, così pure l’adamantina brillantezza del n. 10 (appena un che di irrisolto nella chiusa), certi spostamenti d’accento ruvidi e aggressivi nel n. 12 che lo fanno apparire diverso dal solito, come investito da una luce radente, ultravioletta e inedita (e ne emerge quasi una czarda). E allora lì ammiri la capacità di un pianista di re-inventare la tradizione, meno evidente in altre pagine ad esempio nella lettura un poco anodina del n. 15 (ma con sospirosi trattenuti e un bel gioco di pedale della corda).
Irresistibile per forza e vigore il n. 16, tutto in fuorigiri, con innegabile efficacia, segno di un temperamento che pare a proprio agio specie con gli aspetti più focosi e irruenti di Chopin, meno laddove si trova a fronteggiare il versante elegiaco-melanconico. Un interprete comunque con precise (e magari anche provocatorie) idee: è quanto appare all’ascolto del n. 17 che può anche non piacere per il tono eccessivamente percussivo, ma rivela senza dubbio un talento (pur ancora bisognoso di approfondimenti consapevoli e meditati: però la parte finale come un’eco lontana suscita vivo stupore, occorre ammetterlo, e ridesta l’attenzione). Idem, il ‘nostro’ punta sul virtuosismo esasperato nel successivo, come se fosse solo una palestra di atletismo, indulgendo in modo un po’ capzioso nell’effettismo laddove nel n. 19 sarebbe auspicabile un tono più leggero, volante. Il n. 20 attacca in modo fin troppo teso, per poi sfoderare belle sonorità e allora si comprende che è una scelta legittima (ibridata da un impiego magistrale di entrambi i pedali). Eccessi anche nel n. 22 e financo nel conclusivo, affrontati con uno spirito dionisiaco ed ebbro (memorabile in tal senso l’epilogo che, pure, astraendo da certe esagerazioni, ha il pregio di far intravedere il legame profetico con le intuizioni timbriche del Debussy di Feux d’artifice).
Per chiudere, un’interpretazione – quella di Yundi Li – in cui l’aspetto tecnico tende talora a prevalere, ma con guizzi qua e là che, se imbrigliati e posti al servizio di una coerente linea interpretativa, non potranno che fruttificare a lungo, conducendo a interessanti sviluppi. Un nome che volentieri ci sentiamo di collocare dunque (positivamente) tra i sorvegliati speciali, e del quale – fuor di metafora – è davvero intenso il desiderio di preconizzarne la futura e forse imprevedibile evoluzione.