di Riccardo Rocca
Dal 1989 la coraggiosa storia del festival rossiniano nella Foresta Nera non conosce sosta e si è rinnovata anche nel 2016 con appetitose proposte. Accanto a concerti ed eventi collaterali tre titoli del catalogo rossiniano, un titolo belliniano inconsueto oltre a Il conte di Marsico (1839) di Giuseppe Balducci, prodotto in coproduzione con il Teatre de Sarrià di Barcellona, che però purtroppo non abbiamo potuto vedere.
Produzione di punta è stata indubbiamente la prima rappresentazione tedesca (!) di Sigismondo (1814), quattordicesimo titolo del catalogo rossiniano e opera spartiacque prima della stagione napoletana del pesarese. Così come a Pesaro nel 2010, sono andate riscoperte tutte le sperimentali qualità di una partitura che meriterebbe letture più assidue, proprio in virtù di una varietà di spunti che da un lato sintetizzano le migliori conquiste del Rossini precedente (si pensi a Tancredi e Italiana) e dall’altro anticipano alcune innovazioni formali e drammaturgiche delle opere successive. Nonostante i limiti scenici di un ‘teatro’ come la Trinkhalle, la realizzazione di Bad Wildbad ha potuto contare sull’articolata ed affidabile realizzazione scenica di Jochen Schönleber, sovrintendente del festival, e sulle forze di una compagnia di giovani interpreti volenterosi ed entusiasti. La protagonista Margarita Gritskova, affrontate con onore le insidie di una parte progettata intorno alla grave tessitura di Maria Marcolini, ha saputo concedere al re di Polonia un fuoco di pazzia che ha tenuto alta la temperatura emotiva per la durata dell’intero spettacolo. Di tutto rispetto anche la realizzazione di Maria Aleida della parte di Aldimira, il cui momento più intenso è stata la grande scena del secondo atto, nella quale abbiamo ben riconosciuto i languidi eppure trepidanti aneliti che Rossini usava dare ad Elisabetta Manfredini. Tra gli altri interpreti è spiccata la tersa vocalità di Paula Sánchez-Valverde nella parte di Anagilda.
Il secondo spettacolo proposto nella Trinkhalle è stato Le comte Ory (1828), capolavoro rossiniano i cui meriti non saranno mai sufficientemente riconosciuti. Interpretato dai giovani cantanti che quest’anno hanno partecipato all’Accademia di Belcanto curata da Raúl Giménez, il penultimo titolo operistico rossiniano è brillato con verve ed intensità rare. Una realizzazione soltanto semiscenica a cura di Nicola Berloffa è riuscita a non rappresentare alcun tipo di limite per lo sviluppo drammaturgico dell’opera, bensì è stata laboratorio di felici intuizioni. La mirabile realizzazione da cardiopalma della scena della Contessa avrebbe addirittura lasciato sperare in un pizzico di coraggio in più nello sbrogliare la matassa del terzetto del secondo atto. Il cast d’interpreti è stata una piacevole sorpresa per via della quantità dei talenti, ovviamente diversamente assortiti a seconda dei vincoli del titolo da eseguire. Più di tutti a loro agio nella parte sono stati Sara Blanch nei panni della Contessa – un autentico ‘baleno rapido’ per voce e spigliatezza scenica – e Roberto Maietta, che ha saputo coniugare emissione vocale adamantina e compiutezza d’interprete inaudite nella parte di Raimbaud. D’impatto è stata anche l’interpretazione di Karina Repova nei panni di Isolier, restituito, al di là di qualche discordanza di tessitura, con una sensualità che, torrenziale già nella prima interprete Costance Jawureck, non lasciò insensibile neppure Berlioz. Particolarmente coraggioso Gheorghe Vlad come conte Ory, che ha saputo guadagnarsi il successo, impavido degli scogli imposti dalla cavatina e brillante Serena Sáenz Molinero come Alice.
L’allestimento di Demetrio e Polibio nel piccolo, piccolissimo Königliches Kurtheater ha esaurito la proposta rossiniana del festival di quest’anno: la fresca e già geniale bellezza dell’opera primigenia di Rossini è brillata nelle voci di Victoria Yarovaya, già Falliero a Bad Wildbad nel 2015, César Arrieta e Sofia Mchedlishvili. Lo spettacolo in miniatura montato dal team di Nicola Barloffa è stato perfettamente funzionale all’intimo contesto dell’esecuzione.
La riscoperta testuale di quest’anno è stata invece ovviamente concepita fuori dall’orizzonte rossiniano: una ricerca delle fonti condotta da Reto Müller e portata a compimento da Florian Bauer nella trascrizione e preparazione del materiale musicale è stata funzionale alla prima esecuzione moderna, in forma concertante, di Bianca e Gernando di Bellini (Teatro di San Carlo, Napoli, 1826), prima versione della più nota (e già in passato altrove eseguita ed incisa) Bianca e Fernando (Genova, 1828). Le peripezie del recupero filologico, che vanta anche la benedizione del pioniere della musicologia belliniana Friedrich Lippmann, sono ripercorse con passione dallo stesso Reto Müller nel programma di sala. La fonte dell’edizione è stata una partitura non autografa conservata presso il Museo Bellinano di Catania, già individuata da Lippmann e che nel 1991 Domenico De Meo avrebbe riconosciuto come unico testimone completo della versione primigenia dell’opera. L’interesse odierno in Bianca e Gernando consiste soprattutto nell’essere, diversamente da Adelson e Salvini (1825) scritta per il conservatorio, la prima opera composta da Bellini per un grande teatro. Se per ulteriori informazioni su quest’opera, che confermino o smentiscano quelle fino ad oggi note, si dovrà aspettare l’avanzamento dell’edizione critica in corso dell’opus belliniano guidata da Fabrizio Della Seta, quest’anno a Bad Wildbad ci si è dovuti accontentare di un primo assaggio. Il cast vocale ha fatto del proprio meglio, concentrato attorno ad un Maxim Mironov convocato per il ruolo del titolo che vide in Giovanni Battista Rubini il primo interprete.
Anche quest’anno il festival Rossini in Wildbad non sarebbe stato possibile senza il glorioso supporto del Camerata Bach Cor Poznań diretto da Ania Michalak e dei Virtuosi Brunenses, orchestra che da qualche anno assolve il non semplice onere di suonare in pochi giorni tutte le opere in programma. Quest’anno sotto le esperte bacchette del direttore musicale Antonino Fogliani (Sigismondo, Bianca e Gernando) e di Luciano Acocella (Demetrio e Polibio, Le comte Ory), i musicisti si sono fatti valere al di là dei compromessi imposti dalla calamitosa acustica della Trinkhalle.