«Vogliamo che gli studenti abbiano accesso da subito a commissioni, ad esperienze con orchestre e gruppi da camera professionisti. È importante che siano pronti a quello che verrà dopo e che si sentano supportati, possano confrontarsi e trovare quello che più manca al giorno d’oggi: il coraggio di sperimentare»
di Giovanni Albini foto © Rene Jakobson – Peter Langovits
Di ogni viaggio finisco con il conservare una manciata di ricordi che conquistano la superficie delle memorie accumulate. Ricordi che in un certo senso si offrono come le tappe di un percorso immaginario fatto di concetti e di esperienze, chiavi di lettura di tutto il resto. E la mia settimana in Estonia, ospite dell’Eesti Muusika- ja Teatriakadeemia (l’Accademia Estone di Musica e Teatro) in occasione degli Eesti Muusika Päevad (EMP) – letteralmente, i ‘giorni della musica estone’, gli Estonian Music Days – non poteva essere da meno. Così, avendo tanto da scrivere, questi ricordi costituiscono quantomeno una mappa delle mie impressioni e del mio racconto.
I veri protagonisti degli Estonian Music Days sono stati i giovani
Il ricordo apparentemente più futile, ma credo nella sostanza più significativo, sono le tre testine biondissime che troneggiavano in prima fila allo studio radiofonico della radio nazionale estone durante un concerto dedicato alla musica di Jaan Rääts, il pomeriggio di domenica nove aprile. Mentre l’indiscutibile virtuosismo di Nicolas Horvàt spiegava alcune pagine significative del compositore ottantacinquenne – affiancate da opere degli allievi di quest’ultimo e a lui dedicate – io rimanevo totalmente assorto dall’imperturbabile attenzione di questi tre splendidi bambini. Tre (presumo) fratellini attenti e curiosi di fronte a musica tutt’altro che ‘facile’.
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E in quell’occasione ho capito che i veri protagonisti di questo festival sono stati i giovani. Innanzitutto i giovani interpreti coinvolti, come gli straordinari solisti Theodor Sink (violoncello) e Johan Randvere (pianoforte) che hanno letteralmente dominato il concerto sinfonico del sette aprile – aperto peraltro dalle straordinarie pagine della giovane compositrice Liisa Hirsch –, oppure i ragazzi e le ragazze del coro HUIK! diretto da Kaspar Mänd che mi hanno rapito interpretando due composizioni di altrettanto giovani compositori il dieci aprile. Dopotutto circa la metà dei compositori in programma negli eventi è nato tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta. Con anche un miniEMP, un festival spinoff –
sempre di musica contemporanea estone – dedicato ai (e organizzato da) ragazzi del liceo. E ancora il pubblico, che contava tanti ragazzi e bambini, per non dire della direzione artistica: Timo Steiner e Helena Tulve hanno poco più di quarant’anni, e si dedicano al festival da anni.
La sobrietà estone è minore forse soltanto al loro senso di comunità
Proprio Helena Tulve è protagonista di un altro ricordo significativo. La incontro in un Reval Café – diffusa catena di bar estoni – a due passi dall’Accademia e davanti a un cappuccino mi racconta del festival di cui lei e Timo Steiner sono i Direttori Artistici. La semplicità del luogo del nostro appuntamento è un dettaglio importante: la sobrietà estone è minore forse soltanto al loro senso di comunità. E il lavoro della Tulve e di Steiner si rivela immediatamente nelle sue parole quale puro e semplice servizio nei confronti dei colleghi compositori: «proviamo ogni anno a creare un contesto, uno spazio vuoto in cui i compositori possano esprimersi e noi possiamo prenderci cura di ciò che vogliono dire.» E questo ‘prendersi cura’ è in fondo il motto degli Eesti Muusika Päevad, nonché dell’Unione Estone dei Compositori che lo produce, e anche dell’Accademia Estone di Musica e Teatro (nella quale peraltro la Tulve insegna composizione), che prepara la nuova generazione di artisti. L’incontro con Helena Tulve si sovrappone così nei miei ricordi alla conversazione che ho con Toivo Tulev, capo di dipartimento di composizione dell’Accademia e quest’anno premiato proprio durante gli Estonian Music Days per la sua composizione Black Mirror, riconosciuta come miglior composizione estone del 2016. Se il ‘prendersi cura’ della Tulve è rivolto alla comunità tutta dei compositori estoni, la preoccupazione di Tulev si concentra in particolare sulle generazioni emergenti. «Vogliamo che gli studenti abbiano accesso da subito a commissioni, ad esperienze con orchestre e gruppi da camera professionisti. È importante che siano pronti a quello che verrà dopo e che si sentano supportati, possano confrontarsi e trovare quello che più manca al giorno d’oggi: il coraggio di sperimentare.»
Guidare il pubblico verso un’esperienza unica, nuova, senza aspettative. Concentrati interamente sui suoni
Comunità, cura, fiducia. Tre parole che lasciano emergere un’altra esperienza indimenticabile. La sera dell’otto aprile vengo bendato e condotto su un autobus insieme ad una quarantina di altre persone verso una meta ignota. Nessun rapimento, niente di pericoloso: sto solo partecipando ad “Obscure Avenues”, misterioso e straordinario evento degli Eesti Muusika Päevad. Nessuno dei partecipanti sa quello che succederà, ma ad aiutarci nell’orientamento ci sono bravissime guide per non vedenti. Siamo ora in fila, le mani sulle spalle di chi abbiamo di fronte, ora per mano. E ci avventuriamo in ambienti sonori e musicali costruiti ad arte. «E’ stata un’idea di Taavi Kerikmäe che si può leggere come metafora dell’intero festival», mi spiega Helena Tulve. Guidare il pubblico verso un’esperienza unica, nuova, senza aspettative. Concentrati interamente sui suoni. A colpire era il silenzio della situazione. Nessuno parlava. Tutti erano impegnati nella scoperta. Insieme, vicinissimi, senza vedersi. In silenzio.
Quella estone è una natura semplice e austera che richiama alla meditazione, al raccoglimento
Il silenzio ha un valore particolare in un paese come l’Estonia. Un paese che si estende su una superficie pari ad un decimo di quella italiana, ma che non conta nemmeno gli abitanti della sola città di Milano. Pianure, solo pianure, foreste e una costa frastagliata che si affaccia sul gelo del mar Baltico. Una natura semplice e austera che richiama alla meditazione, al raccoglimento. Lo sa bene Arvo Pärt, che vive ad una trentina di chilometri dalla capitale Tallinn e a due passi dalla costa. E lo sanno bene quelli che non riesco a definire diversamente che suoi ‘collaboratori’, la manciata di persone che lavora all’International Arvo Pärt Centre, situato nella foresta in una villetta a pochi passi dall’abitazione del compositore. Riin Eensalu, che si occupa della comunicazione per il centro, mi accoglie così: «Oggi ti farò vedere qualcosa di diverso.» Lei è appassionata e gentilissima, ma io inizialmente sono scettico. Mi chiedo: seriamente sto per visitare un monumento ed un archivio eretti ad un artista ancora in vita? Ciò che mi trovo davanti è però totalmente diverso. Una casetta familiare in cui ogni stanza (anche un bagno!) è diventata un piccolo ufficio. L’obiettivo però non è la promozione (come se ce ne fosse bisogno) del grande compositore estone. Tutt’altro. Quello che ho davanti è un luogo in cui lo stesso Pärt si reca quotidianamente a lavorare, a comporre su un modesto pianoforte da muro, a riprendere in mano i suoi vecchi lavori e a visionare le migliaia di pagine di suoi appunti, catalogati e ordinati con pazienza. Il centro è composto da un piccolo gruppo di persone che raccoglie il lavoro di una vita di Pärt e insieme a lui contribuisce alla sua nuova musica. Spesso mangiano tutti insieme attorno ad un tavolo Pärt, sua moglie Nora e gli impiegati del centro, come una famiglia.
Mi accingo a chiudere allora insistendo su questo sentimento di famiglia e di comunità che l’esperienza estone mi ha comunicato, con due ultimi ricordi. Il primo riguarda il concerto del dodici aprile, The Sun Boat, che ha visto i sei violoncelli dell’Estonian Cello Ensemble impegnati su una decina di lavori di compositori estoni contemporanei.
A concludere il concerto un brano che Erkki-Sven Tüür compose all’inizio degli anni ottanta per la sua band progressive rock di allora, riarrangiato per voce ed ensemble di violoncelli. Ed è proprio Tüür, con estrema autoironia ed eleganza, a cantare. Si alza in piedi e rimane tra il pubblico e il palcoscenico. E quando la musica – bellissima – termina il calore dei suoi amici, dei suoi concittadini e della comunità di musicisti e musicofili lì raccolti esplode nel più intenso applauso di tutto il festival. Il secondo ricordo riguarda il concerto dell’undici aprile presso il monumentale cinema Sõprus di Tallinn. Curato da Paolo Girol, italiano che da nove anni insegna all’Accademia Estone di Musica e Teatro, è stata una sorprendente e caleidoscopica mescola di esperienze artistiche che ha riunito numerosi artisti internazionali. Dal live coding di Lukas Nowok, agli ipnotici lavori audiovisivi di Einike Leppik e Robi Jõeleht, dal flauto di Gianni Tovalusci alle reinterpretazioni video di lavori di Brian Ferneyhough e di Nicola Sani. «L’Estonia mi ha consentito in questi anni di sentirmi libero di sperimentare e di coinvolgere la creatività di artisti sempre nuovi nell’attività didattica e di produzione», mi spiega Girol. «Una libertà importante che ci consente di approfondire sempre nuove tecnologie e modalità espressive.» L’Estonia, insomma, mi è sembrata avere tantissimo da dire. Forse l’ho anche visitata in un momento di particolare fervore: nel semestre luglio-dicembre di quest’anno deterrà la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea e il 2018 segnerà il centenario della sua dichiarazione di indipendenza. Mi auguro che tra un anno sarà ancora in grado di sorprendermi. Intanto, la saluto nella sua lingua: Nägemist!
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