di Attilio Piovano foto © Pasquale Juzzolino
Gran successo a Torino, lo scorso mercoledì 26 maggio 2017, per la serata conclusiva dei concerti di Lingotto Musica: a pochi giorni dalla presentazione del succulento cartellone del 2017-18 che contemplerà alcune vere e proprie Highlights, da Gergiev e la Mariinskij Orchestra alla London Phiharmonic con Jurowskij, Pappano e la Chamber Orchestra of Europe, per chiudersi addirittura con Riccardo Muti alla guida della sua più recente creatura, l’Orchestra Luigi Cherubini. Protagonista assoluta del concerto di chiusura l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la bacchetta di lusso del colto e sensibile Michael Tilson Thomas che della Quinta di Mahler ha dato una lettura più che convincente, regalando non poche emozioni. Specie nel sublime Adagietto, si sa, il vero centro espressivo della mahleriana Quinta Sinfonia.
[restrict paid=true]
Non a caso, il colto Luchino Visconti lo prescelse quale indimenticabile leitmotiv per e scene più struggenti del fortunato film Morte a Venezia (tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Mann). E lì si è avuto modo di ammirare la pasta morbida e l’omogeneità timbrica degli archi di Santa Cecilia (che oggi con la Filarmonica della Scala e l’OSNRai costituisce una sorta di ‘santa trinità’, in grado di tener testa agevolmente alle principali compagini mondiali, quanto a livello qualitativo).
Tilson Thomas ha sbaragliato dipanando con estrema grazia il movimento, dove il gocciolio arcano dell’arpa aggiunge un quid di immateriale bellezza, come di celestiale poesia, adottando fraseggi di indicibile eleganza e svelando un senso della forma ammirevole: sicché l’apice emotivo (e dinamico) al centro e, per contro, le estenuate rarefazioni delle ultime misure hanno ricevuto le dovute cure, facendosi ammirare per la raffinatezza dell’interpretazione di Tilson Thomas che dirige per intero a memoria: ed è impresa non da poco affrontare un monumentum di siffatta complessità, anche tecnica, oltre che interpretativa. Sicché tutto il pathos connaturato al celeberrimo e amatissimo Adagietto è emerso al meglio, quel mix di Sehnsucht, nostalgica malinconia, senso della morte imminente esalando nel contempo un’indicibile humanitas, una dolcezza senza limiti e molto altro ancora (verrebbe da citare il virgiliano Sunt lacrimae rerum); tutto era come posto in primo piano, a sollecitare la mente e le corde più sensibili del cuore degli ascoltatori. Una vera gioia per i mahleriani di stretta osservanza.
Un’esecuzione, peraltro, la si valuta nella sua interezza, non limitata a un singolo movimento E quella dell’altra sera è stata di certo un’interpretazione di alto livello. Benché, a ben guardare, qualche disomogeneità tra un movimento e l’altro la si è potuta percepire. Bene il funereo e fantomatico esordio, con l’appello soffocato della tromba, ma il primo tempo è poi andato decollando solamente dopo un po’, all’inizio pareva non perfettamente a fuoco; apprezzata la lettura analitica e al tempo stesso per grandi arcate di Tilson Thomas, pazienza per qualche défaillance qua e là, specie dei fiati. Lo Scherzo lo avremmo preferito più grottesco, più beffardo, come la partitura preconizza e come siamo avvezzi ad ascoltarlo; Tilson Thomas tende invece ad ammorbidirne certe asprezze timbriche che ne costituiscono il nerbo, rischiando di stemperarne un poco l’immane tensione. Incisivo è parso il finale, con quelle reminiscenze dal tempo lento che riaffiorano come fiumi carsici della memoria, coagulandosi attorno a vere e proprie isole timbriche. Stupendo il passo col pizzicato degli archi, non così altri momenti scivolati un po’ via, privi – mi si perdoni – di quella magnificenza comme il faut, ma le ultime misure dai baluginanti clangori hanno condotto l’intera platea verso un profluvio di protratti applausi: sì da decretare il vero e proprio trionfo di orchestra e direttore (facendo benevolmente dimenticare una clamorosa gaffe del clarinetto che, incappato in un incidente di percorso, aveva suonato un passaggio del tutto ‘fuori’ tono).
[/restrict]