di Monika Prusak foto © Rosellina Garbo
Idomeneo in bianco e nero, ad accentuare la sua appartenenza “classica”, è tornato a risplendere nella cornice del Teatro Massimo di Palermo, con la stessa avvincente regìa di Pier Luigi Pizzi, prodotta nel lontano 2004 per l’inaugurazione del Teatro delle Muse di Ancona. Il regista, che cura anche i costumi e le scene, propone principalmente due distinti piani, che attraverso una parete mobile chiudono e riaprono la bidimensionalità dello spazio scenico: un primo piano a scatola che raccoglie le più forti emozioni dei protagonisti, un secondo piano più profondo e prospettico, luogo di tempeste marine e dominato dalla presenza di diverse raffigurazioni del dio Nettuno, riproposto sull’esempio del mito insieme alla sua immancabile imbarcazione. Si possono così distinguere i due livelli di azione, quello inarrivabile e spirituale, legato al potere irrevocabile della Natura intesa come regno degli dei, e quello terrestre e umano, sede dello struggimento, della delusione e del dolore. Ai due piani si aggiungerà momentaneamente un terzo, a sipario chiuso, per il monologo di Arbace del III Atto, quasi volesse coinvolgere la platea nel suo suggestivo richiamo di salvare il Re di Creta.
Pizzi, con il supporto di Massimo Gasparon alle luci e Deda Cristina Colonna in qualità di coach dei movimenti, crea un gioco di riflessi e gesti, che coinvolge lo spettatore in un viaggio appassionante di emozioni e sentimenti profondi, tra contrasti che sembrano impossibili da colmare e situazioni apparentemente irrisolvibili. Nonostante sia la meno coinvolta nell’azione del dramma, Elettra di Eleonora Buratto è il personaggio musicalmente e scenicamente più incisivo. Il suo amore non è condiviso, ma ne avvertiamo tragicamente il peso. La cantante domina la scena in maniera eccellente senza mai perdere l’eleganza che la contraddistingue. Totalmente opposto è il personaggio di Ilia, interpretata da Carmela Remigio, distinta e puntuale in ogni gesto scenico e sonoro. È lei l’amata di Idamante e lo si avverte in maniera viscerale. La vocalità lirica della cantante pervade dolcemente nei momenti amorosi e percuote intensamente in quelli del brusco distacco dall’amante: la sua suadente gestualità è quella che più richiama la classicità ellenica.
È intensa ed espressiva Aya Wakizono nel complicato ruolo di Idamante, diviso tra l’amore per Ilia e la struggente ricerca della figura paterna. A volte eccessivamente femminile, Idamante della Wakizono presenta un singolare trasporto e una decisa profondità. Al suo fianco il padre, re Idomeneo, il protagonista per eccellenza, nella interpretazione di René Barbera acquisisce caratteri delicati di estrema tenerezza. Persino il suo grido è sofferente: il re è stanco e addolorato per il destino inaspettato che sta per compiersi. È apprezzabile la presenza scenica e vocale di Giovanni Sala in Arbace che canta il monologo finale rivolgendosi al pubblico in sala.
È notevole dal punto di vista stilistico e interpretativo la resa sonora guidata dal direttore israeliano Daniel Cohen. La sua direzione, caratterizzata da particolare chiarezza ed eleganza, dà il giusto sostegno agli organici, non permettendo alcun eccesso fuori luogo. Cohen porta avanti una ricerca sonora interessante, perfettamente in stile, scovando nelle armonie complesse e negli intrecci a tratti bizzarri di Mozart. Questa interpretazione fa notare delle reminiscenze barocche soprattutto nella scrittura corale, mentre in quella vocale solistica spinge a guardare oltre, toccando quei sentimenti che con l’avvento del Romanticismo cominceranno a breve a pervadere le arti e la letteratura europee. Un plauso va al Coro preparato da Pietro Monti, fedele e “classico” testimone dell’azione teatrale.