di Monika Prusak
La nuova creazione di Omer Meir Wellber e Marco Gandini, andata in scena al Teatro Massimo di Palermo, unisce Der Keiser von Atlantis di Viktor Ullmann e la Messa da Requiem K 626 di Mozart in un unico spettacolo di teatro musicale. Concepita e rappresentata per la prima volta durante la seconda guerra mondiale nella città-ghetto Theresienstadt, l’opera di Ullmann fu causa dello sterminio di tutti gli ebrei coinvolti nella produzione.
Theresienstadt (oggi Terezín, città della Repubblica Ceca situata a sessanta kilometri da Praga), nasce come città-fortezza nel tardo Settecento, costruita dall’imperatore d’Austria Giuseppe II d’Asburgo-Lorena in onore dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Usata inizialmente come fortezza militare con l’obiettivo di proteggere la città di Praga, fu successivamente abbandonata e impiegata come carcere per prigionieri militari e politici della monarchia asburgica. Già durante la prima guerra mondiale Theresienstadt era sede di un campo per i deportati dalla Russia, mentre durante la seconda guerra mondiale fu trasformata dai nazisti in un centro di concentramento per gli ebrei di Boemia e Moravia e successivamente per gli ebrei importanti nel campo della cultura e altre categorie considerate speciali. La città-ghetto ha riunito, infatti, numerosi artisti, musicisti e compositori di primo livello ed è stata luogo straordinario per quel che riguarda la vita culturale, con ricchi programmi musicali serali che spaziavano dalla musica classica al jazz, concerti di musica leggera, performance teatrali e cabaret, spettacoli realizzati persino in condizioni di miseria e malattia per esaudire le richieste dei nazisti e per rendere più sopportabile la situazione disumana del campo. Terezín è stata anche protagonista di alcuni film girati dalla propaganda nazista in occasione delle visite di controllo della Croce Rossa Internazionale, che ritraevano una falsa situazione idilliaca della vita quotidiana del ghetto. Uno di questi, Il Führer dona una città agli ebrei [Der Führer schenkt den Juden eine Stadt] del 1944 fu girato da Kurt Gerron, un ebreo costretto a collaborare con gli oppressori.
Der Keiser von Atlantis oder Die Tod-Verweigerung [L’Imperatore di Atlantide ovvero Il rifiuto della morte] Op. 49b, opera in un atto di Viktor Ullmann, è frutto dell’attività musicale all’interno del ghetto. Pianista e compositore, allievo di Steuermann e Schӧnberg, Ullmann compose a Terezín una ventina di opere di alto valore musicale, tra cui lieder, musica da camera, composizioni corali e opere di teatro musicale. Der Keiser von Atlantis, su libretto del pittore e poeta Petr Kien, è una storia allegorica che narra la vicenda di un imperatore dal nome Overall (il nome originale Überalles si rivelò troppo esplicito) che governa l’impero corrotto di Atlantide. La Morte si rifiuta di guidare l’esercito in guerra causando il caos e la trasformazione dell’imperatore che comprende di aver sbagliato. I personaggi dell’opera sono in parte personificati, come nel caso della Morte, dell’Altoparlante e del Tamburino che scandisce regolarmente il ritmo militare di richiamo alla “grande e benedetta guerra di tutti contro tutti”. Oltre all’Imperatore Overall [it. Su-Tutto] vi sono Un Soldato, Bubikopf (Una Ragazza) e Arlecchino di 300 anni “che sa ridere sotto le lacrime”. Il libretto poetico di Kien è colmo di immagini simboliche e metaforiche, come quella del Prologo in cui la Morte e Arlecchino “siedono al confine tra una vita che non può più ridere e un morire che non può più piangere, in un mondo che ha dimenticato come godersi la vita mentre si vive e come raggiungere la morte quando si muore”. È interessante anche l’aspetto strumentale dell’opera che rispecchia la scelta “obbligata” di Ullmann di impiegare tutti gli strumenti disponibili nel ghetto per far partecipare il numero più alto possibile di persone.
L’idea di fondere l’opera di Ullmann con la Messa da Requiem di Mozart si rivela perfettamente centrata sia per l’accostamento musicale delle due composizioni sia per l’impatto sonoro che ha ottenuto presso il pubblico. L’operazione di taglio e intreccio sapiente di Wellber e Gandini svela una grande sensibilità e un notevole affiatamento tra i due: le composizioni, appartenenti a epoche, contesti e generi diversi, diventano tutt’uno rafforzando addirittura il significato simbolico dell’atto unico di Ullmann. I passaggi tra l’opera novecentesca e il brano di musica sacra di fine Settecento sono impercettibili, le due composizioni sembrano scritte l’una per l’altra. I movimenti del Requiem scandiscono e completano l’opera, donando all’intera vicenda una luce finale di speranza, nonostante le immagini testuali e sonore piuttosto forti della composizione di Ullmann. Gli stessi protagonisti dell’opera diventano i solisti del Requiem, rendendo lo spettacolo coerente e coinvolgente. Alcuni momenti della nuova creazione hanno un forte impatto emotivo, come il Rex tremendae majestatis, inserito subito dopo la scena del Keiser o un evocativo Recordare dopo la scena in cui la Morte svela la sua natura pacifica e liberatrice. Si riempiono di bellezza le coreografie di Marco Berriel e Jean Sébastien Colau, che rappresentano la collettività del campo e i singoli personaggi: molto suggestive quelle di Morte e di Keiser, interpretate da Vito Bortone e Emilio Barone, mentre più delicata quella del passo a due di Annalisa Bardo e Diego Millesimo.
Wellber e Gandini si avvalgono di una squadra ben affiatata di professionisti tra cui Gabriele Moreschi alle scene, che nel Keiserrequiem rappresentano un muro mobile che permette di recitare a vari livelli, rievocando lontanamente le immagini della caduta del muro di Berlino (il cui anniversario coincide con la prima della nuova creazione). Notevoli anche i costumi di Johann Stegmeir, che veste Keiser di una divisa ingessata e derisoria aumentandone l’aspetto grottesco. Francesco Vignati, Virginio Levrio e Filippo Scortichini si sono alternati per il design delle luci, i video e gli effetti speciali, proponendo un gioco importante di laser e commuoventi proiezioni dei volti umani con effetto 3D. L’orchestra, guidata da Omer Meir Wellber, amalgama perfettamente le due composizioni da far sembrare Mozart e Ullmann quasi contemporanei. Wellber sceglie per il Requiem tempi piuttosto accelerati, per come richiede la drammaturgia dell’intero spettacolo. Il coro, preparato da Salvatore Punturo, e il corpo di ballo sono senza dubbio i protagonisti della rappresentazione, alternandosi sul palcoscenico soprattutto nei momenti dedicati alla messa mozartiana.
Lo spettacolo ha goduto anche di un cast di livello. L’interpretazione più memorabile è sicuramente quella della Morte di Grigory Shkarupa, distinto e lineare nella costruzione del personaggio. Markus Werba è un ottimo Keiser: la sua trasformazione avviene su diversi livelli, anche quello vocale. Il Tamburino di Julia Rutigliano è personificato con voce di mezzosoprano. La cantante regge con successo una parte complessa con l’orchestra sempre in dinamiche forti. Il ruolo più tenero e toccante è quello dell’Arlecchino di Cameron Becker, un tenore lirico dal timbro coinvolgente. Elegante e nitida è la voce dell’Altoparlante interpretato da Karl Huml, che presenta la vicenda nel Prologo iniziale. Una nota va al Soldato di Antonio Garés e Bubikopf di Lavinia Bini e i loro alter ego danzanti Alessandro Casà e Francesca Bellone. È in scena anche il maestro al pianoforte e al cembalo, Tohar Gill. L’interpretazione delle parti soliste del Requiem da parte di Bini, Rutigliano, Becker e Shkarupa aggiunge un ulteriore significato all’intera creazione di Wellber e Gandini.
Il coraggio mostrato dalla Fondazione Teatro Massimo di Palermo nel presentare in una nuova veste una composizione di tale profondità e significato simbolico non è da sottovalutare. La scrittura di Viktor Ullmann, la cui sonorità riporta alla mente le opere di Richard Strauss, può senza dubbio essere considerata un gioiello della storia della musica, per non parlare dell’importanza del tempo e del luogo nei quali è stata concepita. Il pubblico del capoluogo siciliano e i numerosi turisti presenti in sala hanno assistito allo spettacolo in un silenzio quasi religioso, confermandosi pronti a spingersi con ascolto oltre il solito repertorio italiano.