di Luca Chierici
Beniamino di una società per la quale aveva debuttato giovanissimo, Davide Cabassi si è ripresentato l’altra sera a Milano con un programma centrato su due momenti molto importanti della letteratura musicale pianistica, preceduti senza soluzione di continuità da altrettanti frammenti contemporanei di Ades (la Berceuse da The exterminating angel), opera che era stata eseguita a Salisburgo qualche anno fa) e Klare lebende Steine di Giorgio Colombo Taccani, uno struggente ricordo di una canzone di Aleksander Kulisiewicz scritta nel 1943 nel campo di concentramento di Mauthausen.
Kreisleriana di Schumann, attaccata subito dopo il brano di Ades, ci ha ricordato in parte l’irruenza del giovane Pollini, quando presentava lo stesso elemento in quella stessa sala, a metà degli anni ’70. Cabassi però cela, sotto la scorza dell’architettura granitica del pezzo, un amore scoperto per la componente melodica sempre presente e per l’intreccio complicato di voci secondarie che è alla base di tutte le composizioni schumanniane di quel periodo. La sua non è una ricerca fine a se stessa o condotta tanto per stupire, quanto una intelligente e diremmo quasi inevitabile chiosa che illumina certe parti del discorso come se si trattasse di colpi di luce che rischiarano la strada del cammino narrativo. Non c’è stato un solo momento di debolezza o di tentennamento in questo percorso schumanniano, che è apparso compiuto, granitico eppure felicemente abbandonato a una visione che partiva dal cuore. E ancora più particolare è stata la lettura dei Quadri di una esposizione di Musorgski, del tutto aliena da quegli aspetti bombastici che caratterizzano troppe esecuzioni di questo capolavoro che è particolarmente difficile da definire proprio perché complesso nella sua unicità. La sua definizione (ancora essenzialmente melodica! ) è stata particolarmente gradita proprio perché evitava anche certi elementi ripetitivi (nel Vecchio castello o in Bydlo) sui quali puntava giustamente l’attenzione Dallapiccola in una sua notevole revisione a stampa del lavoro. Cabassi non ci dispensava dall’ammirare certe eccellenze virtuosistiche, come nel Mercato di Limoges, ma in genere la sua mano e la sua conformazione fisica gli permettono a tal punto di dominare la tastiera (non di esserne dominato, come notava Busoni!) che anche gli aspetti pianistici di più impervia difficoltà risultano risolti con una semplicità e allo stesso tempo con una autorevolezza ammirevole. Il finale dei Quadri diventava a questo punto una conclusione naturale di un viaggio emozionante, non la chiassosa, pesante successione di accordi che spesso si ascolta in certe esecuzioni. Nel filo del doloroso, luttuoso ricordo personale si collocava l’esecuzione, al momento dei bis, dell’affettuoso omaggio scritto dall’allievo Emanuele Delucchi per l’amico (Lullaby for Chiara). E del dittico Chiarina-Chopin da quel Carnaval che è una delle opere più amate dal pianista.
Successo sincero e partecipe, anche da parte dei numerosi allievi che attingono alla scuola di questo artista capace di instillare nei giovani un vero e proprio amore per lo strumento e per la musica tutta.