di Luca Chierici
La Fondazione Prada, insediatasi oramai da qualche anno in una zona a sud-est di Milano un tempo piuttosto degradata, ha ospitato dunque l’edizione 2021 della “Accademia dell’Opera italiana” ,che secondo la definizione ufficiale consiste nella scelta da parte di Muti di un titolo d’opera, di una selezione di musicisti da tutto il mondo (di età tra i diciotto e i trentacinque anni) diplomati in direzione d’orchestra o pianoforte, e da una serie di prove di lettura e d’assieme con l’Orchestra Cherubini, i cantanti e il coro.
Il tutto allo scopo di attuare un processo di trasferimento di esperienze tra il Direttore e i partecipanti, dove “i segreti della costruzione musicale passano dal maestro agli allievi in una simbiosi naturale, che li porta, insieme, alla fase finale dell’interpretazione”.
Il titolo scelto nel 2021 era Nabucco, opera particolarmente cara a Muti anche perché aveva costituito la prima sua scelta nella veste di direttore Musicale della Scala, nell’oramai lontano 7 Dicembre del 1986. Allora le due serate conclusive del progetto avevano visto Muti dirigere Nabucco in forma integrale e successivamente mettere alla prova cinque allievi ulteriormente selezionati nell’esecuzione quasi integrale del titolo, là dove la partitura veniva divisa (tramite estrazione a sorte) in altrettante sezioni consecutive.
Quest’anno la scelta è caduta su Norma, quasi come se il direttore avesse voluto scegliere un titolo apparentemente facile e “orecchiabile” ma in realtà soprattutto all’estero poco conosciuto nella pratica teatrale. Un titolo che è esso stesso emblema del belcanto: Muti ha fatto percepire i due tipi di lettura attraverso i quali i grandi capolavori come questo possono essere presentati all’ascoltatore – tipico è il caso di grandi parti della scrittura mozartiana – e in questa occasione il grande direttore è riuscito a coinvolgere interpreti e pubblico in un viaggio interessantissimo ed emozionante alla scoperta di quante raffinatezze siano nascoste in una scrittura apparentemente priva di problematicità, dove il fraseggio, il tessuto orchestrale, la linea vocale si intrecciano in maniera straordinariamente efficace.
La mole di aneddoti che viene raccontata da Muti facendo capo alla storia della Musica e soprattutto alla sua infinita esperienza di allievo e maestro che ha avuto a che fare con i nomi che vanno da Verdi a Toscanini, a Votto – suo diretto docente a Milano – ai cantanti e registi da lui incontrati è notoriamente enorme ma ciò che conta e che rende indimenticabili le sue lezioni-conversazioni è il grado di convincimento che lega tali aneddoti all’interpretazione del discorso musicale, al di là di quelle che sono le spesso deleterie convenzioni della tradizione o peggio delle smancerie dovute a questa o quella antica scuola di canto.
La regìa delle giornate di lavoro ha approfittato ancora degli ampi spazi della Fondazione Prada con i suoi non facilissimi problemi di acustica che avevano in parte resto problematica l’esperienza di Nabucco, ma il fascino dell’insieme ha ancora una volta – se non di più – catturato l’attenzione del pubblico presente come se lo stesso ascoltasse per la prima volta il capolavoro scelto.
E il fascino deriva anche dalla trasmissione che Muti riesce a convogliare tra i protagonisti tutti nella scoperta della genialità del messaggio musicale e nella rivelazione di quelli che poi sono gli irrinunciabili “trucchi del mestiere” atti a risolvere dei veri e propri busillis musical-intepretativi.
Non vi sono alla fine grandi differenziazione e problemi relativi alla provenienza geografica dei protagonisti, al di là di quelle che possono essere delle simpatiche boutades nel discernimento di certi particolari del libretto o delle pronunce: alla fine è il linguaggio musicale ad averla vinta e a creare l’humus adatto per una esecuzione sempre appassionata ed esatta.
Nel corso delle varie giornate si sono potuti ascoltare i singoli direttori e cantanti nella scelta di porzioni significative del testo: particolarmente interessante è stato il pomeriggio di domenica 26 novembre durante il quale ai quattro direttori sono stati assegnati altrettanti momenti chiave dell’opera che allo stesso tempo ponevano in risalto famosi luoghi di Norma, tra inserti sinfonici, cori, arie e duetti. Per l’atto primo, Remi Jenier ha diretto tra le altre cose la brillante sinfonia, Massimiliano Iezzi il Coro di apertura, Casta Diva, Ah bello a me ritorna con la partecipazione della intensa Monica Conesa. Clancy Ellis è passata all’atto secondo coro il coro e sortita di Oroveso, Izabela Cociołek proseguendo con la sena X e il difficile Finale portando gli spettatori all’entusiasmo.
Ma era tutto l’insieme che comunicava una positività di elaborazione che difficilmente si coglie durante una normale esibizione teatrale e che faceva capire come la bellezza scaturisca dalla difficoltà e lo studio, soprattutto se portato avanti per un periodo non lunghissimo ma così intenso e grazie all’esperienza di un Direttore come Muti. E non si capisce come mai – se non per motivi futili di campanilismo – la maggior parte della critica ufficiale si sia occupata poco o punto di queste giornate della Fondazione.
Al termine delle sessioni dedicate agli allievi, Muti ha presentato l’intera opera (il giorno 29) in una sorta di ricapitolazione di tutto ciò che era stato riassunto nelle giornate precedenti, senza per questo dovere per forza di cose proporre una “versione ottimale” del resto impossibile da contemplare senza tener conto delle giuste inflessioni personali di direttori e cantanti. La serata è stata di quelle indimenticabili – erano presenti grandi personaggi milanesi a partire da Maurizio Pollini, Monti e consorte, il Sindaco Sala e pochi ma scelti critici musicali. Tutto è filato via liscio con una scioltezza e un senso drammaturgico eccelso, ma non ha fatto dimenticare i risultati parziali che avevamo ascoltato nei giorni precedenti, forse con una minore consequenzialità ma con una partecipazione dei singoli allievi direttori e cantanti che contribuivano a riscaldare l’ambiente.
Ben vengano ancora nei prossimi anni esperimenti di questo genere (si parla già di in “Don Giovanni” ) che non possono che instillare nei giovani partecipanti una passione e un entusiasmo che spesso vengono a mancare nelle produzioni blasonate dei grandi teatri. Ancora grazie e a Riccardo Muti, ai cantanti tutti, al Coro del Teatro Municipale di Piacenza diretto da Corrado Casati.
Direttore Riccardo Muti
Direttori allievi: Rémi Jeniet (Montpellier 1992); Massimilano Iezzi (Cosenza 1990); Clancy Ellis (Florida 1997); Izabela Cociołek (Cracovia 1996)
Cantanti
Monica Conesa – cubano-americana soprano; Eugénie Joneau – francese, mezzosoprano; Klodjan Kaçani – albanese, tenore; Andrea Vittorio De Campo, italiano, basso
Coro del Teatro Municipale di Piacenza dir. Corrado Casati
Orchestra giovanile Cherubini (nel suo ventennale)
Maestri collaboratori: Michelangelo D’Adamo, Nadya Kisseleva, Giovanni Manerba, Manuel Navarro Bracho