Concerti • Al Teatro Alighieri di Ravenna si è tenuto un concerto del soprano ferrarese con l’Accademia degli Astrusi diretta da Federico Ferri; in programma Monteverdi, Barbara Strozzi e Purcell
di Ilaria Badino
Esistono personalità musicali che lo scorrere del tempo non sembra affatto scalfire e che esso, anzi, impreziosisce di ulteriori fascino, bellezza e spregiudicata densità interpretativa, rendendole ancora più soggioganti. Anna Caterina Antonacci, diva d’esportazione che in Francia è stata addirittura insignita dell’Ordre de la Légion d’Honneur, è senz’altro una di queste. Salentina d’origine, ferrarese di nascita, bolognese di formazione ma francese e poi svizzera d’adozione, è giunta ad un livello di maturità espressiva che le ha permesso di superare alcuni confini insiti nella propria voce per dare adito a creazioni musicali di sbalorditivo impatto: impossibile non rivolgere il pensiero alla Medea (parte monstre, sacra ed inviolabile per i tanti – in questo caso pure giustamente – orfani callasiani) che inaugurò la stagione 2008/2009 del Teatro Regio di Torino, ed in particolar modo al finale, quando con accenti di fuoco marmoreo – per citare la definizione tanto cara a Muti, ed in effetti azzeccata, dell’operato di Luigi Cherubini – e con una presenza scenica a metà tra un’Anna Magnani sconvolta da folle tormento ed una scultura greca dal pur sempre aristocratico portamento, incollò alla poltrona la sala gremita.
All’Antonacci, che non ha mai nascosto il proprio amore per la prosa, il Recitar cantando risulta particolarmente congeniale; il perché lo spiega in maniera lapalissiana il nome stesso con cui tale forma canora è contrassegnata, a maggior ragione alla luce di quanto fin qui detto. Il programma del concerto proposto a Ravenna, all’interno della cornice del Teatro Alighieri, è quello che il soprano ha già varie volte portato in giro per l’Europa assieme all’ottima compagine bolognese dell’Accademia degli Astrusi diretta con fiero piglio dal giovane Federico Ferri: oltre ad alcune composizioni meramente orchestrali, Monteverdi, Barbara Strozzi, Purcell e, tra i bis, l’Händel elegiaco.
Nell’incipit di «Addio Roma», lamento dell’esiliata Ottavia proveniente dall’Incoronazione di Poppea, la reiterazione della prima lettera diventa essa stessa pregnante emblema dell’aristocratica sofferenza dell’imperatrice di fronte ad un’imposizione disumana, cosicché quella «A» si trasforma via via in un «Ah!» d’incontenibile, ma pur sempre coturnato, dolore. La malia di una declamazione penetrante contraddistingue anche il celebre madrigale Il combattimento di Tancredi e Clorinda, antecedente di una ventina d’anni l’ultimo bagliore operistico di Monteverdi; qui è come se la cantante bolognese venisse riposseduta da tre anime diverse, ossia quelle che s’alternano nel testo mutuato dal canto XII della Gerusalemme Liberata del Tasso: Tancredi e Clorinda, per l’appunto, più il narratore onnisciente. Così, il condottiero cristiano appare altero, risoluto ed, infine, prostrato; la guerriera musulmana, cui vengono donati talvolta voce chioccia e tono saccente («Guerra e morte avrai»), è superba anche nella sconfitta, fino alla purificazione finale che avviene grazie al battesimo in extremis (quel meraviglioso «S’apre il cielo; io vado in pace» ottenuto per il tramite della rarefazione del suono c’immerge in un’atmosfera di redenzione plenaria tale da mozzare il fiato); l’interstizio connettivo assurge anch’esso a corporeità di figura umana, soprattutto nell’atto di descrivere la concitazione della battaglia. L’Antonacci, pur sempre muovendosi su di uno stabile piedistallo di nobile contegno, commenta il tutto attraverso mimica vivissima ed incisiva, gestualità da tragédienne e movenze partecipi alle sorti del dramma, talvolta aggrappandosi anche alla balaustra del podio direttoriale.
Il «Vi ricorda o boschi ombrosi» dell’Orfeo è risolta con trepida compartecipazione, come il ritmo ed il carattere del brano, festosi e danzanti, suggeriscono. La bella «Lagrime mie» di Barbara Strozzi è ricca di cromatismi discendenti che caratterizzano la forma musicale del lamento, ma ne esula dalla tipologia standard per il tono suadentemente arabeggiante, elemento che deriva da una femminilità compositiva raccolta al volo ed esaltata dall’interprete. Più tipici del genere sono il Lamento della Ninfa, sempre del genio cremonese, secondo ed ultimo bis concesso, e «When I am laid in earth» da Dido and Aeneas di Purcell, forse il lamento per antonomasia, dove la pregiata eleganza timbrica ed il modo di porgere innatamente raffinato dell’Antonacci trovano felice rispondenza in una scrittura apparentemente semplice ma di rara intensità. Il primo bis, «Lascia ch’io pianga» dal Rinaldo del Caro Sassone, si diversifica dall’analogo «Lascia la spina» eseguito una settimana precedente da Cecilia Bartoli per una maggiore presenza sia vocale che orchestrale; il suono è comunque galleggiante, ma meno stemperato, più vivo e corposo.
Vivacità e polpa – mitigate da un certo rigore – sono proprio due tra le caratteristiche fondanti del sound specifico dell’Accademia degli Astrusi, che prende le distanze dai severi clangori degli esasperati contrasti dinamici tipici delle orchestre barocche tedesche (come, per esempio, i Concerto Köln), dalla lattescenza degli Arts Florissants e dalla lussureggiante rotondità dell’Europa Galante. Sonorità e stile italiani di una sobria pienezza, dunque, la quale emerge soprattutto dalle composizioni strumentali in programma: brani di Vivaldi (Sinfonia in si minore per archi e basso continuo “Al Santo Sepolcro” RV 169, Concerto in re minore per archi e basso continuo “Madrigalesco” RV 129), di Purcell (la Chaconne da Dido and Aeneas) e, soprattutto, di Geminiani (Concerto grosso n. 12 “La Follia”, fascinosa forma musicale d’antica origine portoghese basata su di un tema quasi ossessivamente variato in cui si può apprezzare l’estro dei solisti), e di Martini (Concerto a quattro pieno in re maggiore HH. 27 n. 10). Proprio dell’operato dell’erudito musicista francescano (non a caso Bologna è detta anche “La Dotta”), passato alla storia per aver osato essere intransigente nei confronti del giovane ma già divino Mozart, il direttore Federico Ferri ed il cembalista Daniele Proni stanno approntando l’edizione critica. Data l’elevata qualità del pezzo proposto in quest’occasione e dei due effervescenti intermezzi portati in scena per la prima volta nell’ottobre del 2011 presso il Teatro Comunale felsineo, c’è da scommettere che si tratterà di un’ulteriore vincente riscoperta di un autore ingiustamente accantonato.
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L’articolo dice molto della competenza e della passione dell’autrice…….
Complimenti e grazie per la segnalazione!
Sempre puntuale e precisa arriva la recensione di questo spettacolo che già di per se aveva già un sapore meraviglioso….
La Antonacci è una grande artista ma fa piacere sentirlo ribadire……
Plauso come al solito a Ilaria Badino per la splendida e dettagliata recensione
Un articolo veramente scritto con grande attenzione e vivacità che riesce a trasmettere il vero messaggio dell ‘opera! Io ero presente al concerto e rileggendo l articolo ho riprovato lo stesso fervore che mi ha accompagnato per tutta la rappresentazione! Veramente brava come i di lei raccontati!