di Luca Chierici
Tosca con la regìa di Luc Bondy, le scene di Richard Peduzzi e i costumi di Milena Canonero è stata ripresa quest’anno con un nuovo cast e sotto la guida di un direttore, Carlo Rizzi, che in questi giorni si fa in quattro prendendosi la responsabilità contemporanea di Pagliacci e Cavalleria. Un Puccini spesso sbrigativo, quello di Rizzi, che non rispetta quasi mai quegli indugi, quei rallentandi di tradizione che dovrebbero meglio illustrare certi cambiamenti di metrica (un esempio per tutti: il ritenuto che segue la prima sortita del Sagrestano) e che solo in qualche punto sottolinea la modernità del tessuto orchestrale o ci fa ascoltare inserti che in molte altre edizioni passano del tutto inosservati.
Sufficienti, ma non di più, le prestazioni di Béatrice Uria Monzon, una protagonista che non si discosta dalla tradizione ma che almeno presenta un’emissione corretta e si impegna in una certa caratterizzazione del personaggio. Sartori, anche lui per molti versi inappuntabile, giganteggia come se fosse un Pavarotti poco espressivo, ma il meno convincente dei tre è Lučic, il veterano della parte (era Scarpia anche nelle edizioni precedenti), voce non certo imponente, che solo a fatica entra nel ruolo del malvagio Barone e che tutto sommato sembra più credibile quando all’inizio dell’atto secondo è mollemente sdraiato tra le donnine discinte impegnate dal regista in una discutibile rivisitazione dei fatti.