di Luca Chierici
Al termine della settimana di giugno che ha visto sfilare tre protagonisti maschili del canto all’italiana, da un certo punto di vista il “match” è stato vinto dal più anziano della compagnia, il baritono Leo Nucci che è un beniamino del pubblico scaligero (ha debuttato in Teatro nel 1977) e che oggi, a settantatré anni, è capace ancora di sostenere un recital di notevole peso specifico. Si va avanti a colpi di Bellini, Rossini, Donizetti e Verdi e con una fiumana di bis che confermano per l’ennesima volta il “suo” Figaro – Nucci passeggia per il palcoscenico come se si trattasse di una recita con scene e costumi – l’accorato Rodrigo morente del Don Carlos, e ancora Rigoletto, Andrea Chénier e infine il Non ti scordar di me che era stato intonato anche da Kaufmann una settimana prima, ma questa volta con la richiesta di un intervento del pubblico che faceva tanto Concerto di Capodanno.
Un recital tenuto sul filo del ricordo, certo, ma con una voce che conserva ancora un volume incredibile – pari almeno al doppio di quello di Kaufmann e di Flórez – anche se abbondavano le forzature a scapito dell’intonazione. Non vi è dubbio che l’esperienza e l’appartenenza di Nucci a una generazione di artisti che va scomparendo permette di ascoltare ancora oggi un tipo di declamazione che ti fa entrare subito in contatto con il personaggio, con il ruolo, senza bisogno di altro sostegno se non quello, giustamente molto appassionato, del pianoforte di James Vaughan. Una serata che è stata anche un incontro con gli amici, veri o presunti tali, che Nucci apostrofava con l’indice come a dire “Ecco, ci sei anche tu!”. Una festa grande, come si conviene a tutti coloro che hanno contribuito alla fama di un teatro sempre più carico di memorie e di emozioni.