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« Aida » apre la stagione del Regio di Torino

di Attilio Piovano
16 Ottobre 2015
in OPERA, RECENSIONI
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Foto Ramella&Giannese
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Il podio di Gianandrea Noseda, l’allestimento di William Friedkin (L’esorcista). Una direzione attenta a far comprendere a tutti come Aida non sia solennemente un’opera di masse e momenti sontuosi, bensì (se non principalmente) un’opera fondata sul collidere di conflitti personali, un’opera di scavo psicologico


di Attilio Piovano


Fastosa apertura di stagione al Teatro Regio di Torino, la sera del 14 ottobre 2015, con un’Aida di gran classe magnificamente diretta da Gianandrea Noseda. A Torino, si sa, di recente è stato riaperto il Museo Egizio, il secondo per importanza dopo quello del Cairo. Più che ragionevole, pertanto, la scelta del celeberrimo titolo verdiano per celebrare l’evento.

Ed ecco che è stato molto opportunamente ripreso l’allestimento di dieci anni or sono ideato dall’acclamato regista cinematografico William Friedkin (‘firma’ dell’indimenticabile Esorcista e premio Leone d’oro alla carriera 2013). Allestimento che, nonostante il tempo trascorso, mantiene tutta la sua validità, la sua vis e la sua efficacia dammaturgica. Ed è con piacere che abbiamo rivisto le scene di Carlo Diappi appaiate a costumi di ottima resa, comme il faut per un’opera kolossal qual è Aida. Scene pienamente secondo la tradizione, dunque monumentali e icastiche, con grandi statue e giganteschi blocchi marmorei (verrebbe da dire di faraonica bellezza) il tutto realizzato con grande stile, e non è  cosa da poco in un’opera dove è sempre facile debordare nel kitsch e negli effettacci della carta pesta (unica lieve caduta di gusto, forse, il trascorrere in scena di una barca con le allusive figure ‘egizie’, insomma le sovra dimensionate sagome dovute a Michel Curry, animate a vista).

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Buoni e di grande impatto i movimenti di massa ad effetto, già nel primo atto in cui Radames viene indicato dalla dea Iside quale supremo condottiero contro gli etiopi e riceve l’investitura dal re, e poi l’apoteosi con la celebre scena corale (in tutti i sensi della parola) del second’atto (‘Uno degli ingressi della città di Tebe’) con irrompere di soldati con alabarde e gonfaloni, sfilata di truppe ordinate e simmetriche; e la celeberrima «Marcia trionfale» con le trombe in palcoscenico (che Noseda rende solenne, ma senza eccessiva enfasi).

Tra i momenti scenici di maggior efficacia di certo il finale scena prima del quarto atto, allorquando i sacerdoti escono dalla sala del giudizio e Amneris lancia la sua invettiva. Davvero molto emozionante, così pure la scelte cromatiche e le ottime luci di Andrea Anfossi e allora sfolgorio e scene luminose per i momenti ‘trionfali’, ma anche iridescenti blu cobalto per il ‘notturno’ sulle rive del Nilo, per contro il rosso per l’altare del dio Vulcano, luci tenui invece per i momenti più intimistici e allora l’inizio del secondo atto (scena prima), poi terzo e quarto atto, vale a dire quelli del dramma umano di Aida, Radames e Amneris con lo sfruttamento abile dei ponti mobili per rendere il senso della cupa tomba sotterranea a racchiudere Aida e Radames e Amneris sovrastante. Molto ammirata inoltre la vasca con effetti di luce riflessa che pare una citazione del Bagno turco di Domenico Morelli in versione egizia.

Molto apprezzate, come già dieci anni or sono, le gradevoli coreografie ‘in stile’ ideate da Marc Ribaud (e ora riprese da Anna Maria Abruzzese). Si sa che Aida ebbe origine da una circostanza celebrativa, e dunque trova piena giustificazione l’inserzione di svariate danze che Verdi concepì con inflessioni di sapore vagamente orientale. Sicché per conseguenza, le appropriate coreografie giocano il loro ruolo adeguato.

Ottima sotto tutti i punti di vista la direzione di Noseda: una direzione coerente e sorvegliatissima. Una direzione attenta a far comprendere a tutti come Aida non sia solennemente un’opera di masse e momenti sontuosi, bensì (se non principalmente) un’opera fondata sul collidere di conflitti personali, un’opera di scavo psicologico. E lo si è compreso sin dalle note iniziali, e poi nei vari momenti volti ad evidenziare l’interiorità dei personaggi. Molto azzeccate le scelte dinamiche di Noseda, molta eleganza, ad esempio, nell’affrontare le succitate danze che altri direttori sfruttano per un esercizio esteriore, con eccessi di sgargianti cromie e ritmi troppo squadrati. Noseda al contrario ha mano lieve in tali casi, non forza mai, e di conseguenza i momenti scintillanti appaiono ancora più efficaci. Pone grande cura nei molti recitativi orchestrali, svelando una capacità incredibile di evidenziare anche minimi dettagli timbrici, ottenendo indicibili e dolci pianissimi nei momenti più intimistici della celeberrima partitura verdiana, ma anche abile nell’infondere una stupefacente carica energetica e ritmi incalzanti dove occorre: ben assecondato da un’orchestra, quella del Regio, davvero in ottima forma in tutte le sue sezioni.

Ed ora le voci: su tutte ha giganteggiato l’ottima Anita Rachvelishvili nel ruolo di Amneris, rivale in amore della protagonista, figlia del re magnanimo che concederà la grazia ad Aida stessa e al padre. E la Rachvelishvili, ovviamente, ha dato il meglio di sé nell’ultima parte dell’opera dove il suo ruolo assume un rilievo innegabile (molto bene nell’atto II il duetto «Fu la sorte dell’armi»). Grande prova, la sua, assai applaudita a fine serata. Bene anche Kristin Lewis nel ruolo impervio della protagonista Aida. Suoni filati e pianissimi al limite dell’udibile, ma anche potenza sonora; molta eleganza e notevolissima raffinatezza nell’emissione vocale, ottimi fraseggi, nei vari momenti topici che le competono sia nei passi solistici («Ritorna vincitor», o più oltre «O cieli azzurri») sia nei duetti con Radames (e allora «Pur ti riveggo mia dolce Aida») pur in presenza di una certa qual discontinuità, con cose davvero molto belle ed emozionanti e qualche occasionale cedimento. Un Radames, il tenore Marco Berti, inizialmente incerto, con défaillances di intonazione nella sublime e celeberrima «Celeste Aida» poi andate in parte risolvendosi nel corso della serata. Ha voce che corre e notevole potenza sonora, sfodera stentorei acuti anche se non sempre il controllo è perfetto. Ha rivelato buona humanitas: commovente la scena del commiato finale con la tomba che si richiude sul suo immortale amore per la schiava etiope Aida e Amneris pentita che invoca gli dei sopra la pietra tombale.

È parso assai convincente anche il navigato Mark S. Doss nei panni di Amonasro re d’Etiopia e padre di Aida per la ieratica presenza, autorevolezza, dignità e virilità che ha saputo conferire alla sua parte, ma soprattutto per la capacità di cogliere appieno le non facili sfumature del personaggio; laddove Giacomo Prestia (Ramfis) ha un vibrato talora fin eccessivo, pur avendo disimpegnato con correttezza  la sua parte. Tutti allineati su un buon standard i restanti comprimari. Tra i momenti di assieme di rilievo «Su pel Nilo» affrontato con  baldanzoso incedere.

Ottimo come sempre il coro, istruito da Claudio Fenoglio (assai ammirato il «Gloria all’Egitto» per possanza sonora, ma indimenticabili altresì certe sillabazioni delicate e rarefatte). Da ultimo un dettaglio. Per la prima volta al Regio (stante anche la presenza di una nutrita delegazione di ospiti stranieri  in sala)  sopratitoli  in italiano e in inglese ed è un bel segno di internazionalità. Ciò nonostante fa un certo effetto vedere tradotti i versi di Ghislanzoni con anglosassone concisione e allora, per dire, «T’appressa» che diviene un laconico «Come here», e via elencando. Ma va bene così.

Spettacolo dunque in complesso eccellente, applaudito a lungo da un pubblico foltissimo. Insomma un inizio di stagione sotto ottimi auspici per un cartellone che si preannuncia ricco di bei titoli con ottimi cast, direttori e registi di spicco. Repliche di Aida sino al 25 ottobre con un doppio e in alcuni casi addirittura triplo cast. Nei ruoli principali si alterneranno infatti Anna Pirozzi (Aida), Anna Maria Chiuri e Ekaterina Gubanova (Amneris), Riccardo Massi e Massimiliano Pisapia (Radames) e infine Dimitri Platanias (Amonasro).

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Tags: Anita RachvelishviliCarlo DiappiGianandrea NosedaMarco BertiWilliam Friedkin
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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