Interpretazione eccellente e di grande sensibilità quella del giovane direttore inglese e del suo ensemble. Il programma era tutto dedicato a Hector Berlioz, Fantastique e Harold
di Attilio Piovano foto © Gianluca Platania
RARAMENTE È ACCADUTO DI ASCOLTARE live con sì grande coinvolgimento emotivo la Symphonie fantastique di Berlioz, dagli espliciti assunti autobiografici, nonché imbevuta di riferimenti letterari. Così la sera di lunedì 7 settembre 2015, a Torino, Auditorium Agnelli del Lingotto, nell’ambito del cartellone di MiTo. Protagonista la formazione Les Siècles diretta dal validissimo Nicholas Collon, direttore di prim’ordine dalla rara sensibilità, gesto preciso, verrebbe da scrivere affettuoso: tali sono l’amore e la passione con la quale pare accarezzare gli strumenti, concertatore di rara sensibilità, accuratezza e profondità davvero insolite. E i risultati si vedono (soprattutto si sentono) sicché fin dalle prime battute della Fantastique lo si è capito che sarebbe stata un’esperienza nuova, diversa.
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Una Fantastique come rigenerata, grazie anche all’impiego di strumenti storici che restituiscono un sound inconsueto e fascinoso. E allora quanta varietà di colori nell’iniziale Rêveries con tutto il gioco dei tira e molla agogici (insomma i cosiddetti rallentando e incalzando) che con altre orchestre e altri direttori hanno sempre un che di forzato, di artificioso, mentre con Collon la naturalezza è il primo dato che emerge.
Quanta seducente eleganza nell’episodio del ballo: dove, per dire, spesso i direttori appoggiano vigorosamente sui contrabbassi a rimarcare il ritmo di valzer e ne viene fuori qualcosa di un po’ pesantuccio e (talora) fin corrivo. Ebbene, niente di tutto ciò, eleganza suprema e molta souplesse, superbi i raccordi ritmici (nei delicati passaggi in poliritmia) e molto altro ancora. E nella Scena dei campi (dove solitamente ci si prepara a lunghezze niente affatto celestiali, aspettando con paziente rassegnazione quel che verrà) ecco che i colori, variati con millimetrica dosatura, hanno permesso di gustare al meglio questa pagina impregnata di nostalgia e punteggiata di pittoreschi, evocativi ranz de vaches.
Quanta cura, poi, nell’evidenziare la famigerata idée fixe, ma senza forzare, senza che nulla apparisse didascalico. Colori lividi, palpabile senso dell’incubo e grottesche sortite, comme il faut, nella Marcia al supplizio dalle oniriche, allucinate visioni, così pure una invidiabile tavolozza timbrica nel conclusivo, blasfemo e irresistibile Songe d’une nuit de Sabbat, dove Berlioz ha superato se stesso quanto ad effetti (archi col legno, glissandi dei flauti a mimare terrificanti e spettrali orizzonti da notte delle streghe), citando con burlesca spregiudicatezza il terrifico Dies irae. Successo enorme per una esecuzione della quale conserveremo a lungo un nitido ricordo.
Non così dell’Harold en Italie dall’esplicita teatralità eseguito nella prima parte della serata: ottimamente interpretato, con la presenza solistica di Adrien La Marca, viola di primissima classe, dal bel suono, dall’intensa cavata e dalla raffinata eleganza. Ma c’è poco da fare, al confronto con il capolavoro della Fantastique l’Harold mostra la corda e si rivela un lavoro ben scritto, sì, anche se irrimediabilmente inferiore. Notevole l’idea concettuale, ma alla resa dei conti non tutto è riuscito, non tutto è risolto con mano felice e qua e là la partitura langue. Ciò nonostante merito di Collon e Les Siècles averla proposta (di fatto non la si sene quasi mai) e, ancor più, merito innegabile averla resa screziata e policroma, insomma averla resa accettabile e quasi gradevole.
E il bis? In una serata tutta monograficamente consacrata al geniale e altalenante Berlioz non poteva essere altrimenti, e dunque ancora una pagina dell’autore del Benvenuto Cellini: per la gioia del pubblico, la Marcia di Rakoczy (dalla Damnation de Faust) dai caricaturali profili a chiudere con spumeggiante verve. Pubblico (colpevolmente) scarso, ma in visibilio e, in premio ai pochi, ancora una replica della Marche au supplice.
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