di Lorenzo Galesso
Da dove viene la musica? Questa è stata la domanda che ha spinto Philip Glass a comporre: un’instancabile e pervicace ricerca delle radici del suono, che lo ha portato in regioni creative inesplorate. Il compositore statunitense ci racconta una vita di musica e arte nelle sue memorie, intitolate Parole senza musica: la mia vita. Il titolo non è assolutamente casuale: sebbene Glass dia puntualmente informazioni riguardanti musica e compositori coevi e non (dal serialismo al tonalismo, l’importanza degli studi prima con Persichetti e poi con Nadia Boulanger a Parigi), ciò che è presente in queste memorie non riguarda solamente la sua Kunstanschauung, ma anche e soprattutto la sua Weltanschauung, ovvero la sua visione del mondo e come questa abbia influenzato le sue scelte.
[restrict paid=true]
Nato a Baltimora nel 1937, Glass ha dimostrato fin da giovanissimo di essere fuori dal comune: dopo aver studiato flauto traverso presso il Peabody Conservatory of Music della sua città natale, a soli 16 anni entra all’ università di Chicago. Nonostante questo eccezionale risultato, l’immagine che il compositore dà di se stesso non è quella del genio ma del gran lavoratore, conscio che ogni cosa che accade, nel bene o nel male, ha la sua importanza.
Ecco quindi prendere forma nella nostra mente la figura di Philip Glass bambino, cresciuto nel negozio di dischi del padre, in cui ascolta tanto il jazz quanto Beethoven, Schubert, Bartók, Šostakovič e Stravinskij:
Così i suoni di quella che era prevalentemente musica da camera
si insinuarono nel mio cuore e nella mia mente […].Nei miei pensieri di bambino, credevo che tutta la musica fosse così. A ogni modo quelle furono le fondamenta attorno alle quali si sedimentò gran parte di tutto ciò che venne dopo
Oppure la figura dell’adolescente all’università di Chicago, di cui racconta le feste, le amicizie nonché la perdita della verginità, gli studi con prestigiosissimi docenti (Harold C. Hurey per esempio, Nobel per la chimica), e in seguito il Philip Glass studente della Juilliard, il ventenne che si sveglia presto per poter passare più tempo possibile sui pianoforti della scuola, quello che lavora in fonderia, in una ditta di trasporti o come tassista per racimolare i soldi per l’affitto, quello che sa come impilare il carbone nella stufa in modo da farlo durare tutta la notte o che si diverte come un pazzo a una festa in maschera a Parigi. Ma anche un uomo che soffre, che perde persone care per l’Aids, che descrive le terribili amputazioni effettuate sulla madre aterosclerotica, ormai morente.
Luci e ombre, felicità e sofferenza, che fanno da cornice a una visione sonora psichedelica, distorta, paradossale. Il corpus delle sue opere comprende brani per strumento solista, sinfonie, musica corale, musica da camere, musica per il teatro nonché colonne sonore per film, per le quali ha ricevuto anche la candidatura all’Oscar. Glass è senza dubbio uno dei più importanti compositori viventi, le cui memorie sono un’ imprescindibile lettura per comprendere non solo sola la sua musica, ma tutto il Novecento.
Per avere un’idea della musica, si consigliano due ascolti: Glasswork e Koyaanisqatsi.
[/restrict]