di Luca Chierici foto © Brescia e Amisano
Sala, Franceschini, Monti, l’ex Sovrintendente Fontana (con il quale esistevano attriti apparentemente insanabili) facevano parte venerdì scorso del “grande pubblico” che ha tributato vere e proprie ovazioni a Riccardo Muti. Un pubblico delle occasioni speciali che affollava all’inverosimile il Teatro alla Scala e che ha salutato il ritorno del Maestro dopo i numerosi anni di quell’assenza che era seguita a una vera e propria rivolta degli orchestrali nei suoi confronti causata anche – ma non solo – da una sua “scalata” ai vertici che aveva di fatto esautorato il già citato Sovrintendente. Pur a distanza di vari anni, Muti non poteva evidentemente presentarsi a capo della Filarmonica della Scala e ha scelto per il suo doppio appuntamento milanese la via della tournée con la Chicago Symphony con la quale egli collabora oramai da tempo.
Che la Chicago sia una delle migliori orchestre al mondo è cosa risaputa; come è risaputo che l’orchestra possiede una sezione di ottoni che non ha forse rivali al mondo. Ci è sembrato però che Muti abbia esibito questo strumento alla stessa stregua di un superbolide da corsa che egli domina alla perfezione e che gli consente di raggiungere i propri ideali interpretativi, o meglio di concertazione, cioè di preparazione minuziosa di un ensemble che deve rispondere a ogni suo desiderio. L’acustica della Scala non è stata d’aiuto per la ricezione di un suono ideale, tanto che in molti momenti il suono squillante e pieno dei tromboni prevaricava nettamente su quello delle altre sezioni dell’orchestra.
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La Chicago mancava alla Scala dal 1981, quando apparve sotto la guida di Georg Solti in un concerto per molti versi memorabile. E a quel concerto del 7 Settembre di trentacinque anni fa andava il nostro pensiero ricordando una esecuzione del Don Juan di Strauss sempre virtuosistica per l’apporto di una orchestra da favola ma più piegata a un tipo di sensibilità che in Strauss non vedeva solamente lo sfoggio di grandi sonorità e la gioia di vivere a tutti i costi. Si perché Riccardo Muti si è confermato l’altra sera, come se il tempo non fosse assolutamente trascorso dopo le sue ultime apparizioni a Milano, con tutti i propri pregi, e sono molti, ma anche con quei difetti che lo portano nuovamente in questa tournée a prediligere i toni forti che in certo repertorio gli sono stati sempre cari.
Avendo seguito Muti si può dire quasi dagli esordi, e in particolare a Milano con continuità a partire dai concerti scaligeri dei primi anni ’80, il risultato del concerto di venerdì scorso era per noi dato quasi per scontato: si è sempre apprezzato Muti come grande direttore d’orchestra e musicista a proprio agio nel repertorio sinfonico che va da Mozart a Beethoven e ovviamente in quello operistico che va da Gluck a Verdi. Il suo approccio interpretativo (o se vogliamo la sua visione del mondo) nel repertorio sinfonico tardoromantico, da Brahms a Mahler e al tardo Bruckner, o nel teatro di Puccini hanno sempre convinto in minor misura, e l’impressione non è cambiata nel tempo dopo avere ascoltato il programma scaligero.
Separiamo quindi l’ammirazione per il Direttore fantastico dall’apprezzamento per l’interprete che non è portato a sottolineare il carattere ansiogeno di molti momenti della quarta di Čajkovskij, mentre tende a convincersi della verità di un ottimismo forzato che l’autore palesa soprattutto nel finale, una delle pagine più disperate del sinfonismo ottocentesco. E abbiamo invece ritrovato il Muti migliore in colui che ripropone il repertorio dimenticato di Catalani con una sensibilità straordinaria, o dà fiato ancora ai tromboni nel corale d’inizio della Sinfonia dal Nabucco, portando successivamente il discorso a livelli di tensione straordinari. Si dice di una sua possibile Wally alla Scala: l’attendiamo con impazienza perché sappiano che, al termine, ci alzeremo in piedi per una standing ovation convinta, più di quella che gli è stata tributata l’altra sera da una buona parte del pubblico presente in Teatro.
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Buonasera. Seguo su rai5 parecchi concerti. La notizia che arrivera’ a Milano l’Orchestra di Chicago ? Notizia da mettere sul telegiornale. Ma che ne ho avuto notizia solo da Voi. Che poi e’ un periodo di vacche grasse per la promozione culturale. Grazie Franceschini !
Non sapevo che in Italia ci fossero cosi’ tanti bei teatri, anche nei piu’ piccoli centri abitati.
Cari Saluti