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Allo Stresa Festival l’Ensemble De Labyrintho dedica un concerto agli “oltremontani”, quei fiamminghi che per tutto il Quattrocento viaggiano per le corti d’Europa allietando con la loro arte raffinatissima orecchie e menti pronte a coglierne le sottigliezze compositive.
L’ Ensemble De Labyrintho si è scelto un nome che fa tutt’uno con il repertorio di musiche al quale dedica la passione, la cura e lo studio interpretativo. Musiche della Rinascenza, vale a dire di quell’età fecondissima che, uscendo dalle nebbie umide del Medioevo, dal Quattrocento “umanista” approda, salda e florida come poche altre volte è accaduto nella storia delle Arti, al Rinascimento cinquecentesco. È l’uomo che si rinnova e rinasce dopo la mortificazione dei secoli precedenti, di cui raccoglie e trasforma in senso propulsivo il materiale.
Homo faber. «È meraviglioso il fatto che le arti umane fabbricano da sole tutto ciò che fabbrica la natura stessa, quasi non fossimo servi della natura ma suoi imitatori.[…] Dunque l’uomo imita tutte le opere della natura divina, e le opere della natura inferiore le perfeziona, le corregge e le emenda. La potenza dell’uomo è dunque assimilabile alla natura divina, dal momento che l’uomo da solo (cioè con la sua mente e la sua abilità) governa se stesso senza essere limitato dai confini della natura corporea, ed emula tutte le singole opere della natura divina».
In queste parole di Marsilio Ficino si compendia il pensiero di un’epoca: l’uomo è creatore come Dio e imitatore delle Sue opere; dove la comprensione delle leggi di natura lo innalza a signore delle Arti. Perché la rivalutazione dell’Uomo in quanto padrone del fare nella sua dimensione terrena, cioè tutta umana, non esclude affatto la fede, ovvero la credenza in una felicità spirituale che è perfezione della vita di quaggiù. Così la musica non smette mai di glorificare il Divino, ed è anzi quella musica la più alta espressione di una perizia compositiva che si compiace di sperimentare ed esercitare giochi e geometrie sonore, pur senza mai dimenticare lo spirito e il messaggio da cui sono nate.
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La imitazione come principio creativo è, perciò, forma dominante e sostanziale di questi secoli musicali. Un motivo, un frammento di testo letterario, legato ad un suo proprio tema, circola tra le voci conformandole ad un livello di pari dignità sonora che salda la struttura: un inseguirsi continuato e sistematico, ordinato secondo norme e numeri che spesso celano un loro proprio significato. Dufay, Ockeghem, Desprez, De Rore, Palestrina e i Gabrieli, Gesualdo e Victoria, in una parola le eccellenze della Rinascenza costituiscono la ricca tavolozza di musiche che dal 2001 ad oggi ha alimentato la discografia dell’ Ensemble. Guidato dalla sapienza di Walter Testolin, allo Stresa Festival De Labyrintho ha proposto un programma dal titolo eloquente: Virtute e Canoscenza. Lo spirito di Odisseo, così mirabilmente colto in pochi versi dal Fiorentino più illustre, è quello dell’intellettuale umanista e dell’uomo civile di sempre; modello primo e immagine di arditezza della ragione che sfida le leggi naturali, forzandone i limiti. Così sono apparsi gli affreschi di Dufay, Ockeghem, Compère, Brumel, Crequillon, Lheritier e dell’amatissimo Desprez, a cui i componenti dell’Ensemble dedicano da sempre una attenzione e un amore del tutto particolari. Vera pittura sonora come volontà nuova di comunicare, di tradurre in musica il colore della parola cantata. Un programma interamente rivolto ai cosiddetti “oltremontani”,
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quei fiamminghi che per tutto il Quattrocento viaggiano per le corti d’Europa allietando con la loro arte raffinatissima orecchie e menti pronte a coglierne le sottigliezze compositive. La polifonia è naturalmente il campo privilegiato per l’esercizio della tecnica contrappuntistica. Arte complessa che raggiunge livelli altissimi di cerebralismi. Un non facile lavoro per chi decida di interpretare queste musiche. De Labyrintho riesce magnificamente a rendere la mole della struttura sonora con una trasparenza ed un equilibrio che sono il frutto di una immedesimazione necessaria. I timbri perfettamente uniti disegnano con fluidità leggera e accurata le armonie colorate e a tratti così ricche di pathos dei molti mottetti mariani, filo conduttore del programma. Una spiritualità sospesa e tesa, una preghiera commossa e accorata è quella di Brumel Mater Patris et filia; un patetismo che si chiude in un delicato raccoglimento è dato a O genetrix gloriosa di Compère. Ben diversa dalla magnificenza del celebre Nuper rosarum flores, proposto in apertura di serata e nel quale lo spessore del volume è risolto con chiarezza nell’esemplare compenetrarsi delle linee vocali, che è a dire perspicuità nella comprensione della architettura, pulita e matematica così come ci appare ancora oggi la cupola del Brunelleschi per la cui consacrazione il mottetto isoritmico fu composto.
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Vivido e floridissimo è Ockeghem con Alma redemptoris mater nella sua germinazione di episodi, sempre diversi eppure nati dalla medesima matrice.
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Le voci esperte di Nadia Caristi (soprano), Alessandro Carmignani (controtenore), Gianluca Ferrarini (tenore), Fabio Furnari (tenore), Marco Scavazza (baritono) e Walter Testolin (basso e direzione) sanno dare colore e espressività intensa alle parole tratte dalle Sacre Scritture con accorgimenti sfumati e lievissimi di drammaticità, cioè di penetrazione del testo in senso emozionale, come poche volte si sente nelle pur rare esecuzioni di questo repertorio. Ed è trasparenza anche nell’inseguirsi delle voci in giochi di scale, di salite e discese sui gradini del rigo musicale, che sono traduzione della scala coeli di Giacobbe in Vidit Jacob scalam di Thomas Crequillon, fiammingo poco conosciuto benché prolifico e per alcuni anticipatore dello stile polifonico di Palestrina. Calda e moderata come si conviene è la immedesimazione di Nadia Caristi che guida Nigra sum, dal Cantico dei Cantici. L’ultima parte della serata è dedicata a Desprez con l’esecuzione di cinque mottetti.
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Ecco le involuzioni della ragione, i numeri e gli enigmi, le simbologie palesi o nascoste. Con Desprez siamo ai più alti livelli del mestiere del comporre. La sua ricchezza consiste nella libertà come varietà degli schemi compositivi, che è duttilità perché si adatta al materiale della lingua nei termini della prosodia e insieme del significato. Scrive Walter Testolin: «Illibata Dei virgo nutrix nasconde nei capoversi l’acronimo del compositore, probabilmente autore anche del testo. Ut phoebi radiis è invece una sorta di rompicapo: […] il testo è ermetico e nasconde, attraverso l’assegnazione di cifre alle sillabe, alcuni non sense come “ta” e “na” etc. Altra particolarità ermetica riguarda la celebre Deploration sur la mort d’Ockeghem (Nymphes de bois) in cui 64 note compongono il finale “Requiescat in pace”: esse rappresentano la cifra che si ottiene sommando secondo i criteri della ghematria le lettere che formano il nome “Ockeghem” quasi a dire “Ockeghem requiescat in pace”».
[/twocol_one_last] L’impegno interpretativo dell’Ensemble si incarna in una eloquenza armoniosa che ricambia la perfetta coerenza delle partiture. Parità e diversificazione delle linee si fondono in un equilibrio di sfumature e di colori pur nella diversità di timbri e dei registri vocali. Un altissimo piacere che deriva dalla minuta cesellatura dei particolari espressivi del testo nel suono.
Laura Bigi
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