dizionarietto

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PRIMA DELLA SCALA 2011


Rock me Don Giovanni!

L’opera di Mozart in 50 e più pillole condensate da il Corriere Musicale in vista della serata inaugurale della Scala

In occasione dell’apertura della stagione 2011/12 del Teatro alla Scala di Milano, dedichiamo un’ampia panoramica al Don Giovanni mozartiano, l’opera che sarà in scena questa sera nell’attesa lettura di Daniel Barenboim e Robert Carsen. Un piccolo ed inconsueto dizionarietto a più mani creato dagli autori del nostro web magazine per offrire ai lettori un agile e piacevole commento all’opera, le cui voci spaziano dagli interpreti storici all’odierno cast scaligero, dalle curiosità sul libretto alle opinioni di alcune delle più grandi figure della cultura presente e passata, e molte altre notizie. Senza pretesa di esaustività, un modo per affrontare l’ascolto – o la visione – di quest’opera capitale coniugando leggerezza ed informazione. Un’occasione per guardare con ironia e senno alla società in cui viviamo, dove la seduzione che permea Don Giovanni mostra sovente il proprio lato oscuro.

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DON GIOVANNI


Nuova produzione Teatro alla Scala
Dal 7 Dicembre 2011 al 14 gennaio 2012
Durata spettacolo: 3 ore e 15 minuti
Cantato in italiano con videolibretti in italiano, inglese

LA DIRETTA


La serata potrà essere seguita in diretta dalle 18 sul canale Rai5 del digitale terrestre e in differita dalle 21.15 sul canale Classica (728) di Sky. Solo per l’Italia potrà inoltre essere ascoltata in diretta sulle frequenze di Rai-Radiotre.

DIREZIONE


Direttore – Daniel Barenboim/Karl Heinz Steffens (gennaio 2012)
Regia – Robert Carsen
Scene – Michael Levine
Costumi – Brigitte Reiffenstuel
Luci – Robert Carsen e Peter van Praet
Coreografia – Philippe Giraudeau

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CAST


Don Giovanni: Peter Mattei (7, 10, 13, 23, 28 dicembre; 4, 8, 12, 14 gennaio)
Il Commendatore: Kwangchul Youn (7, 10, 13, 16, 20, 23, 28 dicembre), Alexander Tsymbalyuk (4, 8, 12, 14 gennaio)
Donna Anna: Anna Netrebko (7, 10, 13, 16, 20, 23 dicembre), Tamar Iveri (28 dicembre; 4, 8, 12, 14 gennaio)
Don Ottavio: Giuseppe Filianoti (7, 10, 13, 16, 20, 23, 28 dicembre),  John Osborn (4, 8, 12, 14 gennaio)
Donna Elvira: Barbara Frittoli (7, 10, 13, 16, 20, 23, 28 dicembre),      Maria Agresta (4, 8, 12, 14 gennaio)
Leporello: Bryn Terfel (7, 10, 13, 16, 20 dicembre), Ildebrando D’Arcangelo (23, 28 dicembre; 4, 8, 12, 14 gennaio)
Zerlina: Anna Prohaska (7, 10, 13, 16, 20, 23, 28 dicembre), Ekaterina Sadovnikova (4, 8, 12, 14 gennaio)
Masetto: Štefan Kocán (7, 10, 13, 16, 20, 23, 28 dicembre), Kostas Smoriginas (4, 8, 12, 14 gennaio)

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Autori delle voci 


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Barbara Babic (b.b.)
Anna Barina (a.ba.)
Andrea Bellini (a.be.)
Laura Bigi (l.b.)

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Emilia Campagna (e.m.)
Elena Filini (e.f.)
Francesco Fusaro (f.f.)
Mario Leone (m.l.)

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Patrizia Luppi (p.l.)
Michele Manzotti (m.m.)
Monika Prusak (m.p.)

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Alessandro Polito (a.po.)
Attilio Piovano (a.pi.)
Simeone Pozzini (s.p.)
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(redazione a cura di Francesco Fusaro, Patrizia Luppi, Simeone Pozzini © Riproduzione riservata per tutte le voci, escluse le citazioni)


Credimi, non c’è niente di più sublime che infrangere la resistenza di una donna attraente. Ti dirò, in questo io ho l’ambizione dei conquistatori, dei grandi condottieri, che volano di vittoria in vittoria, e non riescono a mettere un limite ai loro vasti disegni. Non c’è niente che possa fermare l’impeto del mio desiderio. Sento d’avere un cuore capace di amare tutta la terra.

Molière, Don Giovanni o Il convitato di pietra  (1665)

(m.p.)


A

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Albertarelli, Francesco (in attività dal 1782 al 1799). Fu il Don Giovanni viennese, era stato invece Pasquariello nel Convitato di Gazzaniga. «Ha una figura molto appropriata di Buffo caricato, un’azione pulita e moderata e nello stesso tempo espressiva; ha molta maniera nel suo canto e nel suo recitativo, ma non molto profondo è il suo sapere musicale, perché tutto il tempo che à impiegato qual gioielliere a Roma, non serviva a perfezionarlo nella Musica». (Franz Xaver Niemetschek) (e.f.)

Angiolini, Gasparo (1731-1803). Ballerino e coreografo. Nel 1761 ideò per le scene viennesi un balletto

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pantomima intitolato Don Juan ou le Festin de Pierre, posto in musica nientemeno che da Gluck. Mozart aveva all’epoca cinque anni: basterebbe questo dato a chiudere il discorso, eppure non è così. Mozart guardò successivamente a Gluck con costante interesse (lo rivelano certe parti corali dell’Idomeneo).
Quanto agli italiani (e Angiolini lo era), si sa che Mozart ebbe sempre un rapporto di amore e odio per il nostro Paese. Di Clementi (che pure fu pianista e compositore non trascurabile) ebbe a dire con un certo sprezzo che era un mechanicus (oggi diremo uno schiacciatasti) e un istrione

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(«comme tous les italiens» avrebbe detto, rincarando la dose). Attualità del pensiero mozartiano? Da rifletterci. (a.pi.)

Antieroe. Sul personaggio di Don Giovanni dal Seicento in poi: «La crudeltà legata all’erotismo, espressione totale dell’essere, il suo andar diritto allo scopo coraggiosamente lo facevano una specie di antieroe, che il pubblico diabolicamente amava; ma al tempo stesso diventava eroe nello slancio incredibile verso ciò che fino allora era considerato futilità da novella salace, piccante; nell’ignorare la paura anche dinanzi al castigo

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e alla morte; nel respingere il vile pentimento; nell’affermare un senso cavalleresco e feudale dell’onore. Il sesso, servito da una vitalità inesauribile, acquista una dimensione straordinaria, che lentamente andrà a confinare con la psicopatia sadiana. Si disse che l’amore è un’invenzione del XII secolo. Ma nel Seicento s’inventò l’erotismo con tutte le sue degenerazioni e la sua follia: s’inventò Don Giovanni». (Giovanni Macchia, Vita avventure e morte di Don Giovanni) (p.l.)

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B

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Baglioni, Antonio (in attività tra gli anni ’80 e ’90 del 1700). Tenore e maestro di canto, già impegnato nel Capriccio drammatico di Gazzaniga a Venezia, fu il primo Don Ottavio. Mozart lo volle anche come protagonista per la Clemenza di Tito nel 1791. Saint-Foix lo ricorda così: «Pochi tenori gli potevano essere paragonati per la purezza della voce e l’espressione del canto». L’impressione è che pochi compositori potessero disporre di un tale tenore, ed infatti per la prima viennese Mozart dovette cambiare l’aria virtuosistica «Il mio tesoro intanto» componendo per il Morella «Dalla sua pace». Zerlina a Praga fu Caterina Bondini, soprano e moglie del buffo ed impresario Pasquale Bondini. Prima Susanna, nelle Nozze di Figaro del 1786, pare con successo personale, molto amata dal pubblico praghese. A Vienna cantò invece Luisa Laschi, soprano fiorentino. Fu la prima Contessa nelle Nozze di Figaro, partecipò ad Una cosa rara di Martin y Soler, all’Arbore di Diana e ad Axur re d’Ormus di Antonio Salieri. Apparve per l’ultima novità viennese di Antonio Salieri poi morì forse di parto. Era molto stimata a Vienna, considerata per nulla inferiore a Nancy Storace. Sorella di Caterina Saporiti, sposata poi Bondini, fu Teresa Saporiti, soprano milanese, prima Donna Anna a Praga. (e.f.)

Balducci, Alfredo (1920). «E i vostri giuramenti… e le lacrime… e le promesse di amore eterno?» «Un rituale monotono pronunciato solo per fornire un paravento a una resa già calcolata. Menzogne contro menzogne. Assai meno gravi le mie, imbevute soltanto di parole… le loro, invece, perfide e infide, portate avanti con la dolcezza degli sguardi, sussurrate da labbra di corallo, morbide come le linee dei loro corpi, calde come i loro respiri». (Don Giovanni al rogo, 1967) (m.p.)

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Barenboim, Daniel. È stato un fanciullo prodigio, qualità che lo accomuna intimamente a Mozart. Uomo di rara intelligenza, facondo conversatore, pianista e direttore d’eccellenza (pur se a volte trascinato dal suo stesso enorme talento a una certa dispersività), l’attuale direttore musicale del Teatro alla Scala e della berlinese Staatsoper Unter den Linden è nato a Buenos Aires il 15 novembre 1942. Di nazionalità israeliana, Barenboim è profondamente impegnato nella causa del dialogo tra culture contrapposte del Medio Oriente. Ci piace ricordare che con questo obiettivo, insieme con il compianto scrittore palestinese Edward Said, ha fondato nel 1999 la West Eastern Divan Orchestra, composta da giovani di Paesi storicamente in lotta. (p.l.)

Battisti, Lucio (1943-1998). Don Giovanni è il primo album della celebre icona musicale italiana con i testi di Pasquale Panella (1986). Il rebus della copertina trova soluzione nella canzone omonima che dà il titolo all’album: «son don giovanni… son l’attaccapanni». Panella cattura il senso del personaggio in un paio di versi fulminanti: «poi penso/ che t’amo/ no anzi/ che strazio»  e «sinceramente non tuo». (a.po.)

Bassi, Luigi (1766-1825) Per lui venne scritto il ruolo di Don Giovanni. Fu anche il primo Conte di Almaviva nelle Nozze di Figaro del 1786 ed il primo Figaro nel Barbiere di Siviglia di Paisiello. Mentre viene spesso citata una frase dei suoi detrattori («bellissimo e stupido ragazzo») non trova conferma la voce che ritiene che Bassi fece cambiare cinque volte a Mozart il duetto «Là ci darem la mano».  Franz Niemetschek, uno dei primi biografi mozartiani, così descrive il suo libertino: «Il signor Bassi certamente bravo come attore, ma non come cantante, mancandogli il requisito primo per esserlo: la voce!

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(…) Possiede miglior gusto di tutti i suoi colleghi cantanti e riconosce i pregi degli artisti tedeschi. Nel corso di tutti questi anni in cui è stato impiegato a Praga, si è conquistato il favore del pubblico». (e.f.)

Benucci, Francesco (1745-1824). Fu Leporello viennese alla prima, star del Burgtheater. Nato a Firenze nel 1745 e qui morto nel 1824. A Vienna fu l’interprete delle opere di Salieri, Anfossi, Paisiello, Gazzaniga, Cimarosa. Fu il protagonista delle Nozze di Figaro e Guglielmo alla prima di Così fan tutte. Il suo ultimo trionfo fu nel ruolo del Conte Robinson ne Il matrimonio segreto di Cimarosa. Era, per definizione generale, un artista eccellente. Lo stesso Mozart in una lettera al padre afferma «Il buffo è bravo oltre ogni dire: si chiama Benucci». «Egli aggiunge alla sua recitazione sciolta e perfetta una voce di basso straordinariamente rotonda, bella e piena. Tanto perfetto è il cantante, quanto eccellente l’attore. Ha la rara e lodevolissima abitudine di non strafare». (e.f.)

Berlioz, Hector (1803-1869). Il grande detrattore. Scriveva, riguardo all’aria di Donna Anna «Non mi dir bell’idolo mio» e in particolare al passaggio, Allegretto moderato, corrispondente alle parole : «Forse un giorno il cielo ancora»: «(…) oggi sento che darei una parte del mio sangue per cancellare questa pagina vergognosa e qualcun’altra dello stesso genere, di cui si è forzati a riconoscere l’esistenza nelle sue [di Mozart] opere. Trovo perfino insufficiente l’epiteto “vergognoso” per deprezzare questo passaggio. Mozart vi ha commesso, contro la passione, contro il sentimento, contro il buon gusto e il buon senso, uno dei crimini più odiosi e più insensati che si possano citare nella storia dell’arte». (Mémoires) (p.l.)

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Brancati, Vitaliano (1907-1954). «Ognuno pensi a guardarsi la sua roba. Io come io, quando mi capita una donna, non voglio sapere né di chi è figlia né di chi è moglie. È donna con la veste?  E allora basta! Non voglio sapere altro!» «Ma così dove si va a finire?» «Una sotto e una sopra.» «E se lo facessero a te, che diresti?» «Io non sono sposato.» «Ma hai una madre, una sorella…» «Non mi parlare di mia madre e di mia sorella! Mia madre e mia sorella non c’entrano!». (Don Giovanni in Sicilia, 1941) (m.p.)

Byron, George Gordon (1788-1824).«Le stridule cicale abitatrici del pino, facenti della loro vita d’estate una perpetua canzone, si facevano solo udire insieme col rumore de’ miei passi e di quelli del mio corsiero, e la squilla del vespro che tintinniva in mezzo alle foglie; lo spettro cacciatore della razza di Oresti, i suoi cani infernali e la loro preda, e quella schiera di giovani bellezze che appresero da tal esempio a non fuggire da un amante sincero… trascorrevano come ombre dinanzi agli occhi della mia immaginativa». (Don Juan, 1824) (m.p.)

G. Byron

 

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C

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Cambi di scena. Una delle difficoltà maggiori nell’allestimento del Don Giovanni mozartiano risiede nei cambi di scena. Massimo Mila, nel lontano gennaio del 1988, criticò aspramente Karajan per aver reso insopportabile l’opera con le interminabili pause al buio che quell’allestimento imponeva. (m.l.)

Cantanti. Due Don Giovanni, uno a Praga ed uno successivo a Vienna, e alcuni tra i più celebri interpreti del tempo. Chi erano? Eccone alcuni. Caterina Cavalieri, il cui vero nome era Franziska Helena Appolonia Kavalier, era un celebre e capriccioso soprano austriaco. Al debutto con La finta giardiniera di Pasquale Anfossi al Karntnertortheater a Vienna, nel 1775 venne scritturata all’Opera italiana. In questo periodo entrò nelle grazie di Antonio Salieri di cui interpretò, tra gli altri, La scuola dei gelosi. Mozart scrisse musica per la Cavalieri come per nessun altro: creò per lei il ruolo di Constanze in Die Entführung aus dem Serail. La Cavalieri cantò la parte del soprano nel Davidde Penitente K 469 ed interpretò [/fourcol_one]

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il ruolo di M.lle Silberklang nello Schauspieldirektor il 7 gennaio 1786. Per la prima viennese del Don Giovanni interpretò il ruolo di Donna Elvira e Mozart scrisse per lei l’aria «Mi tradì quell’alma ingrata» K 540 che il soprano volle cantare in re anziché in mi bemolle. Di questa primadonna molto onorata al proprio tempo, Da Ponte racconta che «aveva abbastanza di merito per non aver bisogno d’alzarsi per via d’intrighi»; alludeva ovviamente alla tresca tra lei e Salieri ed alla rivalità con la Ferraresi dal Bene, amante del librettista all’epoca. (e.f.)

Carsen, Robert. Il regista canadese, nato a Toronto nel 1954, si dedica principalmente all’opera lirica – alla quale si è accostato per la prima volta a Spoleto come assistente di Gian Carlo Menotti – e ha firmato alcuni degli spettacoli più acclamati ai nostri tempi dalla critica e dal pubblico internazionale. Ha dichiarato in un’intervista: «Non si dice mai abbastanza fino a qual punto sia davvero una gioia e un privilegio lavorare in questo ambito. Mi ricambia moltissimo il fatto di essere, attraverso la musica,

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in contatto con cose che sono alla base dell’essere umano». Con questo Don Giovanni è alla prima produzione per la Scala, ma il teatro del Piermarini ha già accolto nel 2006 una sua notevolissima regia della Kát’a Kabanová di Janáček. (p.l.)

Casanova, Giacomo (1725-1798). Presente alla prima del Don Giovanni del 1787 – curiosamente, se si considera che il personaggio spagnolo e l’avventuriero veneziano, fattosi egli stesso personaggio oltre la realtà storica, sono spesso accomunati – lavorò a ben due varianti del libretto dell’amico Da Ponte (conosciuto a Venezia nel 1777), entrambe relative alla scena nona dell’atto secondo (da «Dunque quello tu sai» a «Ma s’io sapeva fuggia per qua», per intendersi). Purtroppo non è dato sapere se queste varianti siano state effettivamente utilizzate e musicate. (f.f.)

Cena. Ovvero il menu che il dissoluto offre anche alla statua del Commendatore e che Leporello, invidioso, assaggia di nascosto.

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Sappiamo solo che Don Giovanni mangia fagiano arrosto, innaffiato con bicchieri di marzemino. Dunque cacciagione, che in tavola generalmente viene accompagnata da cesti di frutta, come l’iconografia di tante nature morte del passato. Una cena che divora con quella stessa frenesia che spinge il nobile a “divorare” le sue donne. Un pasto ricco, così come ogni ultima cena che si rispetti. (m.m.)

Commendatore, statua del. Il convitato di pietra che nessuno vorrebbe avere a cena. Dalla voce profonda, dall’aspetto terrorizzante, dalla parola dura e senza appello. Perché Don Giovanni lo ha voluto alla sua mensa? Forse per specchiarsi nel suo contrario più che per sfidare la sorte, che arriva tragica e puntuale. Ed è proprio la statua che ne diventa il mezzo, portando poi il protagonista all’inferno. Dovrebbe esprimere la moralità che manca a Don Giovanni. E anche se canta battute brevi e sublimi certamente non suscita simpatia. (m.m.)

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D

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Da Ponte, Lorenzo. «Io non poteva più amar un paese sì ingiusto, sì cieco né suoi veri interessi e sì vicino alla sua dissoluzione. Risolsi dunque di lasciar per sempre Vinegia. (…) Abbandonai dunque l’ingrata patria ed andai a Gorizia». Dall’ingrata patria venne cacciato, invero, per libertinaggio e bestemmia! Ma questo è un altro capitolo. Che, di sicuro non trova luogo nei Memoirs, grande romanzo agiografico che Lorenzo da Ponte (Ceneda, Treviso 10 marzo 1749-New York 1838), figlio di un pellicciaio ebreo, nato Emanuele Conegliano, uomo d’ingegno, talento scaltro e favella sottile, scrisse a beneficio della propria gloria postuma. La sua vita fu tuttavia, e suo malgrado, un’illimitata serie di viaggi, con rotte di ragguardevole distanza. Dal Mondo Europa al Nuovo Mondo America, sempre in fuga dal proprio lato malheureux ed alla ricerca di nuove e geniali tecniche di sopravvivenza. E se la cacciata da Treviso ed il divieto di svolgere l’insegnamento pubblico in tutto il territorio della repubblica nel 1776 è motivabile ad una singolare apertura alle idee progressiste dei Philosophes francesi, il successivo esilio da Venezia, anzi la fuga per evitare l’arresto emanato il 13 settembre 1779, è piuttosto causa di una reiterata serie di scandali, non è chiaro se dovuta ad inimicizie private o a veri e propri atti dissoluti. A Venezia, comunque, per ragioni ancora sconosciute, Da Ponte pare cadere in disgrazia; il tribunale lo bandisce dalla laguna per quindici anni. Inizia così la serie dei viaggi dapontiani. Dopo Venezia il primo approdo è Gorizia, dove l’abate trascorre poco meno di un anno con l’incarico di poeta e letterato in cerca di protezione; qui ha modo di mettere in evidenza le proprie qualità di uomo di lettere iniziando un cursus honorum che lo condurrà alla corte imperiale. Lasciata Gorizia per Dresda grazie ad un invito del compatriota Caterino Mazzolà, sosta a Vienna nei giorni del lutto per la morte di Maria Teresa.
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Nella città germanica, «per non istare con le mani alla cintola» si dedica a traduzioni e rifacimenti di opere teatrali di diversi autori. Nel 1781 troviamo Da Ponte a Vienna dove incontra Pietro Metastasio e Antonio Salieri; per un anno nella semioscurità, l’abate ottiene la carica di “Poeta de’ teatri imperiali”. Divenuto il librettista di Salieri e Mozart, il Cenedese è per quasi dieci anni al centro dei giochi culturali e di potere della corte viennese. Sono gli anni della Trilogia mozartiana. Ma le inimicizie create, i guastati rapporti con Salieri e nuove brighe (divulgate in un libello poco edificante dal titolo Anti Da Ponte) causano il suo allontanamento da Vienna nel 1791. Da Trieste Da Ponte si rimette in viaggio, questa volta con destinazione Parigi. I tempi sono mutati, Mazzolà – inutilmente visitato a Dresda – non gli accorderà più protezione. Ad indirizzarlo questa volta provvede Giacomo Casanova, incontrato a Dux: l’avventuriero gli consiglia di mutare itinerario, di lasciare la rotta per Parigi e dirigersi invece a Londra dove lontani sono ancora i fermenti rivoluzionari.


A Venezia, comunque, per ragioni ancora sconosciute, Da Ponte pare cadere in disgrazia; il tribunale lo bandisce dalla laguna per quindici anni


Qui, dopo un viaggio non privo di vicissitudini, il librettista arriva nell’ottobre 1792 ma è solo sul finire del ’93 che viene nominato poeta del teatro italiano di Londra e, tratto tipico del suo carattere, abbina numerose attività: impresario, libraio, socio di una tipografia e di una fabbrica di pianoforti. Al centro di nuove polemiche per l’eccessiva durata del viaggio, il librettista sceglie la via dell’oceano e si imbarca per l’America il 7 aprile 1805. Dopo un viaggio «disastroso, lungo, pieno di fastidi ed affanno» durato due mesi, si apre per Da Ponte l’ultima grande avventura, quella del Nuovo Mondo. Dapprima droghiere, Da Ponte diviene il primo lettore italiano della Columbia University (pare senza troppi studenti). Gli affari ed il commercio continuano a tentarlo, per lo più con esiti disastrosi. Ad ottantaquattro anni però il libertino riesce a coronare il sogno della vita aprendo, a New York, il primo teatro italiano, inaugurato con La gazza ladra di Gioachino Rossini. (e.f.)
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D’Arcangelo, Ildebrando. Nato nel 1969, il basso-baritono pescarese è tra i più interessanti e affermati cantanti italiani delle ultime generazioni. Il suo repertorio si è formato in gran parte sulle opere di Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi e Mozart; in diverse produzioni di Don Giovanni è già stato Masetto e Leporello, oltre che il protagonista. Anche in questa produzione scaligera sarà sia Don Giovanni, nelle repliche del 16 e del 20 dicembre, sia Leporello alla prima e nelle altre repliche. (p.l.)

Danza. Il genio musicale mozartiano trova brillante esemplificazione nella veste sonora che il compositore cuce attorno alla festa nel palazzo di Don Giovanni (Atto I, Scena XXI): tre danze tradizionali di diversa provenienza («Chi il minuetto / chi la follia / chi l’alemanna / farai ballar»)

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suonate con perfezione di incastri da musicisti in scena e in buca. Perché il vero padrone di casa, quale Don Giovanni è, sa ben accontentare le esigenze di tutti gli ospiti. (f.f.)

Dissoluto assolto, Il. Teatro musicale in un atto di Azio Corghi, su testo di José Saramago, rappresentato al Teatro alla Scala dal 2005 e diretto da Riccardo Muti con la regia di Giancarlo Cobelli. Don Giovanni riesce a sfuggire alle fiamme dell’inferno promesse dalla statua del commendatore: fa la figura dell’impotente e il catalogo delle sue conquiste viene sostituito con un libro bianco, per vendetta, da Donna Anna, che ha regolari e trasgressivi convegni amorosi notturni con Don Ottavio. Dopo la figuraccia, Don Giovanni fugge con Zerlina. (a.po.)

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Don Giovanni della Vespa. Così fu definita da molti critici e così è rimasta nella memoria collettiva del pubblico che assistette alla messa in scena del 2006 sotto la direzione di Dudamel per la regia di Peter Mussbach. Questa in sintesi la lezione dell’eccentrico regista tedesco: Donna Elvira entrava in scena in Vespa, un aitante Don Giovanni in calzoni di pelle e a petto nudo, scene di eros assai esplicite (una tra tante: Leporello a calvalcioni su Donna Elvira), le “vezzose mascherine” trasformate in gangster. Definire scarna la scenografia è un eufemismo: solo due grandi parallelepipedi neri sul palco. Alcuni ne apprezzarono l’essenzialità scenica e registica, (molti) altri ne criticarono la lentezza, l’esagerazione, il vuoto generale. (b.b.)

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Don Giovanni, lista. «Madamina, il catalogo è questo | delle belle che amò il padron mio; | un catalogo egli è che ho fatt’io: | osservate, leggete con me. | In Italia seicento e quaranta, | in Lamagna duecento e trentuna, | cento in Francia, in Turchia novantuna, | ma in Ispagna son già mille e tre. | V’han fra queste contadine, | cameriere, cittadine, | v’han contesse, baronesse, | marchesane, principesse, | e v’han donne d’ogni grado, |d’ogni forma, d’ogni età. […] Delle vecchie fa conquista | pe ‘l piacer di porle in lista: | ma passion predominante | è la giovin principiante. | Non si picca se sia ricca, | se sia brutta, se sia bella: | purché porti la gonnella, | voi sapete quel che fa». (Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni Atto I, 1787) (m.p.)

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F

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Filianoti, Giuseppe. Tenore, nato a Reggio Calabria l’11 gennaio 1974, ha studiato presso l’Accademia della Scala e si è perfezionato con Alfredo Kraus. Da diversi anni presente con frequenza sulle scene scaligere, sosterrà il ruolo di Don Ottavio nelle recite di dicembre; John Osborn gli subentrerà a gennaio. (p.l.)

Finale. Nella prassi ottocentesca l’opera si concludeva con il protagonista sprofondato tra le fiamme dell’Inferno (Scena XIV). In questo modo la tensione – musicale ed emotiva – del testo poneva Don Giovanni sotto una luce romantica che, a saper guardare, definiremmo accondiscendente. Il ripristino dell’ultima scena («Questo è il fin») torna invece a mettere l’accento su una certa vena moraleggiante nella quale, forse, Mozart si sentiva un po’ stretto. (f.f.)

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Frittoli, Barbara. Donna Elvira milanese per nascita (19 aprile 1967) e studi (pianoforte e canto al Conservatorio Giuseppe Verdi), è tra le interpreti mozartiane di riferimento sulla scena italiana e internazionale. Ottime le critiche ricevute a New York il mese scorso per un Don Giovanni al Metropolitan; ad esempio: «Il coronamento dello spettacolo è stata Barbara Frittoli, che è diventata il punto focale dell’opera. Ha colto una ben nota sfaccettatura del personaggio, il suo mix ambivalente di repulsione e amore per Don Giovanni, e l’ha esplorata fin nel profondo». A gennaio le subentrerà nel ruolo Maria Agresta. (p.l.)

Fumetti, Don Giovanni a. Nemmeno il mondo dei disegnatori è insensibile al fascino del Nostro, e l’avventuriero e libertino ha trovato casa anche tra le strisce,

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Don Giovanni visto da Milo Manara

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un po’ per tutti i gusti. Da Osvaldo Cavandoli a Emanuele Luzzati, da Geronimo Stilton alle formiche di Fabio Vettori, tra i tanti un lavoro recente è Pèntiti! di Milo Manara, una serie di tavole commissionate nel 2006 dall’Associazione Mozart Italia di Rovereto. Il maestro del fumetto erotico ha riletto Don Giovanni a suo modo, mettendoci del suo soprattutto nel finale, che ha alterato, come lui stesso spiega «rappresentando non tanto le donne che, sulla terra, festeggiano la sua dipartita, ma quelle del sottosuolo, che esultano per il suo arrivo». E in attesa di un’edizione speciale di Topolino che omaggia la prima alla Scala con l’avventura inedita ispirata al Don Giovanni «Topolino e Double Duck», a Milano al Museo del Fumetto dal 2 all’11 dicembre si può vedere «Mozart a strisce. Il genio mozartiano raccontato a fumetti da Manara a Topolino». (e.m.)

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G-I

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Gazzaniga, Giuseppe (1743-1818). Compositore poco noto al grande pubblico, come il Carneade di manzoniana memoria. E dire che fu operista fecondo, ancorché non geniale. Del suo Convitato di pietra su libretto di Giovanni Bertati (in scena a Venezia nel 1787) non erano certo ignari Da Ponte e Mozart che, per unanime riconoscimento degli studiosi, ne furono influenzati. Vi è anzi chi sostiene che «vi attinsero a piene mani»: verificare in partitura per convincersene. Per dovere di cronaca: già c’era stato un Convitato di pietra del Tritto (Napoli, 1783) mentre, a posteriori, al medesimo soggetto si accostò il russo Dargomynzskij con il suo Convitato di pietra tratto da Puškin, in scena al Marinskij nel 1872. Ma questa ormai è un’altra storia. (a.pi.)

Genesi. Da Ponte lavorò al libretto dell’opera contemporaneamente ad altri due testi, ovvero una libera traduzione del Tarare per Salieri

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L’arbore di Diana per Martini. Ma le date relative alla composizione dell’opera da parte di Mozart sono incerte. Sappiamo che cominciò a lavorare alla partitura forse già nel marzo del 1787, proseguendo dal 4 ottobre il lavoro nella stessa Praga. Durante le prove il compositore incontrò alcuni problemi con i cantanti, tanto da dover rinviare la prima per ben due volte, ovvero fino al fatidico 29 ottobre dello stesso anno. (s.p.)

Goethe, Johann Wolfgang von (1749-1832). «Come si fa dire che Mozart avrebbe composto il Don Giovanni? Comporre! Come se si trattasse di una torta o di un biscotto che risultano da uova, farina e zucchero! Il Don Giovanni è una creazione spirituale, le singole sue parti, come il tutto, sono compenetrate da un solo spirito, da un solo impeto, dal soffio di una sola vita. Chi l’ha creato non ha lavorato per tentativi o a spezzoni o a proprio arbitrio: è stato dominato dallo spirito demonico del suo

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genio, dovette eseguire ciò che quello ordinava». (da J.P. Eckermann, Gespräche mit Goethe in den letzten Jahren seines Lebens) (p.l.)

Goldoni, Carlo (1707-1793). «Ovunque giri curioso il guardo | Splender vegg’io la maestade libera! | Ma ancora non s’appresenta agli occhi miei | Rara beltade a incatenarmi il core. | Le catene d’amore io prendo a giuoco, | Poiché costanza nell’amore non serbo. | Amo sol quanto il giovanil desìo | Secondar mi compiace, e solo apprezzo |Quella beltà, che possedere io spero. […] Voi pretendete | Donne superbe incatenar gli amanti | E ridere al lor pianto, e impunemente | Negar pietade a che piegaste il core. | Barbara vanità! Costume ingrato!». (Don Giovanni Tenorio, 1736) (m.p.)

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Insaziabile. Don Giovanni è uomo dagli appetiti insaziabili («Viva le femmine, viva il buon vino»), ma se sul fronte donne non sempre il risultato è assicurato, con il cibo non falla: dai doni per la festa di nozze di Masetto e Zerlina – festa alla quale fa seguire un altro convivio senza sosta («Fin ch’han del vino calda la testa») – fino al mortale invito a cena dove esibisce la sua fame pantagruelica (l’ultimo pasto del condannato?). È per lui piacere supremo («Lascia ch’io mangi e se ti piace mangia con me», dice a Donna Elvira) ma è anche metafora dell’aldilà quando, prima dell’abbraccio infernale, la Statua lo ammonisce ricordandogli che «Non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste». (a.be.)

Carlo Goldoni

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L

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Leporello. «Maltrattato ma indispensabile, così è Leporello, e non possiamo fare a meno di pensare che egli tenta anche in fin dei conti di educare il suo padrone, minacciando continuamente di andarsene. Raggiunge poi il massimo di lealtà al momento della catastrofe, precisamente quando supplica Don Giovanni di salvarsi, di pentirsi per il bene dell’anima sua (…) e noi, nel caso non l’avessimo già sempre fatto, impariamo ad apprezzare Leporello. Ma che cosa apprezziamo in lui? Una incarnazione dello stesso Mozart, perché questo personaggio non avrebbe mai raggiunto una simile dimensione se non si racchiudesse in lui la potenziale versatilità del suo artefice» (Wolfgang Hildesheimer, Mozart). (p.l.)

Libertinismo. «Quando sia nata l’idea del Don Giovanni, non si sa;

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solo questo è certo: è un’idea che appartiene al Cristianesimo e, attraverso il Cristianesimo, al Medioevo…». Così Søren Kierkegaard. Ma Don Giovanni è un semplice pensiero negativo necessario alla coscienza cristiana? Calvino, ma prima ancora gli Atti degli Apostoli, trasformano il libertino storico in prototipo attraverso la giustapposizione di elementi diversi: odio per il Cristianesimo, tendenza alla lussuria. Un’interessante lente d’ingrandimento è offerta da Carl Jung. Negli anni della rottura con Freud, Jung si avvicina all’archetipo di Don Giovanni, leggendo nella figura del Burlatore una delle strutture fondamentali della psiche. (e.f.)

Lolli, Giuseppe. Fu Masetto ed il Commendatore alla prima praghese. Nato a Roma, morto certamente dopo il 1826, fu

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interprete delle opere di Giuseppe Sarti e Domenico Cimarosa. A Praga fece parte della compagnia del Guardasoni. A Vienna i ruoli vennero interpretati da Francesco Bussani (1743-1807), che fu Bartolo e Basilio alla prima delle Nozze di Figaro e Don Alfonso nel Così fan tutte, e per il quale Mozart scrisse il quartetto K 479 («Dite almeno»).Per Da Ponte fu semplicemente uno «sfrontato saltimbanco». (e.f.)

Losey, Joseph (1909-1984). Il regista cinematografico statunitense diresse una memorabile versione del Don Giovanni mozartiano, apparsa sugli schermi nel 1979. Nato da un’idea di Rolf Liebermann, all’epoca sovrintendente dell’Opéra di Parigi, forte di un cast stellare (tra gli altri il protagonista Ruggero Raimondi, Teresa Berganza nel ruolo di Zerlina, Kiri Te Kanawa in quello di Donna Elvira, José van

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Dam come Leporello) e della direzione di Lorin Maazel, il film-opera era ambientato in una splendida villa palladiana, La Rotonda (nota anche come Villa Capra o Villa Valmarana), sita accanto a Vicenza, mentre le prime scene furono girate in città, nella celebre Basilica Palladiana che si affaccia su piazza dei Signori. La colonna sonora fu registrata prima delle riprese e i cantanti recitarono in playback, ma i recitativi furono realizzati in presa diretta: «il motivo principale era che nessuno avrebbe potuto post-sincronizzare in modo convincente i recitativi così come erano stati registrati. Non che fossero cattivi, ma erano troppo rapidi, e nessuno può recitare a quella velocità», dichiarò il regista. (p.l.)

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Mozart, Wolfgang Amadeus. Come per nessun altro musicista, nei confronti del prodigioso salisburghese che morì troppo giovane nel 1791, non riuscendo a raggiungere il trentaseiesimo compleanno, i giudizi dei posteri hanno sottolineato con eccessiva insistenza una dicotomia pretestuosa tra l’uomo e l’artista. Creatore sublime, quest’ultimo, unico tramite diretto con la divinità che sia mai comparso sulla terra, secondo il parere di molti illustri commentatori; lo scrittore e drammaturgo George Bernard Shaw, ad esempio: «La musica di Mozart è l’unica che non suonerebbe fuori luogo sulla bocca di Dio»; lo scrittore Ludwig Börne: «La musica (…) non è percepita da nessuno in modo celeste quanto da Mozart». Schubert, dal canto suo, parlava di «suoni magici della musica di Mozart» e di «un lontano chiarore, luminoso di bellezza, verso il quale rivolgiamo la nostra fiduciosa speranza», mentre Schumann asseriva che «come i greci rappresentavano il loro Jupiter tonante con un viso sereno, allo stesso modo Mozart tiene nelle mani i propri fulmini»; molto a lungo potrebbe continuare l’elenco dei grandi uomini che hanno visto tracce del sublime, del sovrannaturale e del divino nell’opera mozartiana, o quantomeno Tracce della trascendenza, come suona il titolo di un denso volumetto dedicato a Mozart dal teologo Hans Küng.

Invece, dell’uomo Wolfgang Amadeus il ritratto è molto sovente, e in differenti modi, riduttivo e tendenzioso. Ci fu chi ne condannò l’inverecondia, chi il ricorso alla coprolalia, chi lo accusò di vita dissipata, sprecata tra il gioco e le conquiste femminili; da un altro punto di vista, Mozart fu invece bollato come un fanciullone mai cresciuto, un immaturo che si trovava quasi suo malgrado provvisto di un genio strabordante. Di tale interpretazione è un noto esempio la pièce teatrale Amadeus – a suo modo validissima – del drammaturgo Peter Shaffer, poi sfruttata dal regista Milos Forman per la sceneggiatura dell’omonimo film dal successo planetario. Ma, prima ancora, Wagner capeggiava la schiera di chi, pur ammirandolo, vedeva nel salisburghese qualche segnale di dabbenaggine; come interpretare altrimenti la convinzione del

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vate di Bayreuth, secondo il quale Mozart non attribuiva nessuna importanza alla scelta dei libretti da musicare, proprio come un fanciullo che tra le altre prende una mela qualsiasi da gustare? Quello che poche volte si riscontra è la consapevolezza della profonda umanità di Mozart, senza la quale il suo talento sarebbe stato sterile. Quello che altrettanto raramente si considera è il peso spirituale e psicologico di una vocazione netta ed esclusiva come la sua, che fin da un’età ancora tenerissima lo mantenne in una tensione creativa costante. L’artista produttivo e generoso, come Mozart fu in maniera straordinaria, gode di esaltanti soddisfazioni; ma ha un continuo bisogno di rinnovare le proprie riserve di energia e, per conseguenza, di tralasciare ogni tanto le regioni del sublime in favore di quelle più terrestri, dove l’abbandonarsi ai piaceri dei sensi può rivelarsi un modo efficace di ritrovare, almeno temporaneamente, un punto di equilibrio.


Senza una qualità umana così ricca, i suoi personaggi non avrebbero potuto avere lo stesso spessore


Sapere poi se Leopold Mozart sia stato – e in quale misura – nefasto per il piccolo Wolfgang, che fu trascinato in viaggi continui e faticosi per smania di onori e di ricchezza (o per il desiderio paterno di assicurargli un solido futuro?), non è poi così determinante. Così scrisse Marianne Mozart nel 1793, due anni dopo la morte del fratello: «Da bambino aveva il desiderio di apprendere tutto quello che vedeva. Mostrava una grande disposizione per il disegno e per il calcolo; ma era troppo assorbito dalla musica per poter manifestare i propri talenti in qualsiasi altro campo». Il destino di Wolfgang Amadeus era segnato praticamente fin dalla nascita: la musica innervava la sua vita in maniera esclusiva, tanto da tagliar fuori qualsiasi altro interesse e da svalutare qualsiasi altra disposizione all’apprendimento. Si può solo attribuire alla potente umanità di Mozart la sua capacità di mostrarsi lo stesso pieno di simpatia, di humour, di curiosità, la sua capacità di amare, la sua esperienza nel campo delle emozioni, vissuta anch’essa senza risparmio, e anche la sua coscienza nitida e serena, scevra sia di autoesaltazione sia di false modestie, delle proprie eccezionali capacità. Senza una qualità umana così ricca, i suoi personaggi non avrebbero potuto avere lo stesso spessore; né Don Giovanni né Leporello, ma nemmeno Donna Elvira o Donna Anna, ci sarebbero apparsi, dopo più di due secoli, così veri e convincenti: non manichini da teatro, ma persone autentiche, separate da noi soltanto dalle convenzioni sceniche. (p.l.)

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Mattei, Peter. Suona anche il pianoforte, la fisarmonica e il contrabbasso; ma il cantante svedese (Piteå, 3 giugno 1965) è conosciuto in tutto il mondo per le sue qualità di baritono, principalmente mozartiano: qualità che, insieme con la prestanza fisica, lo rendono un Don Giovanni non poco desiderabile. Mattei sostenne con baldanza lo stesso ruolo nella memorabile edizione di Aix-en-Provence (1998, poi ripresa nel 2002) con la regia di Peter Brook, della quale resta testimonianza in dvd. (p.l.)

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Molina, Tirso de (1579-1648). Dalla penna dell’anticonformista frate spagnolo, conoscitore degli ambienti mondani e con una predilezione nei suoi lavori letterari per le situazioni scabrose, uscì nel 1630, in piena controriforma, El burlador de Sevilla, primo prototipo dei tanti futuri Don Giovanni. Il protagonista del dramma è ossessionato dal desiderio delle donne, un Burlador, ovvero un ingannatore incapace di confinare la propria lussuria che, come scrive il critico letterario svizzero Jean Rousset, «combina un sistema di forze le cui numerose possibili variabili non hanno più smesso di provocare altri inventori…».(a.ba.)

Mörike, Eduard (1804-1875). Secondo l’illustre germanista Ladislao Mittner, la novella Mozart in viaggio verso Praga dello scrittore di Ludwisburg era «indubbiamente la più bella di tutto l’Ottocento tedesco». È il racconto pieno di grazia delle giornate trascorse da Mozart e sua moglie nel tragitto verso la città boema dove si sarebbe svolta la prima rappresentazione del Don Giovanni, il 29 ottobre 1787, presso il Teatro degli Stati Generali. L’immagine del compositore ne esce accattivante ma edulcorata, circondata da quell’aura fanciullesca che i romantici attribuivano, riduttivamente, a Mozart. (p.l.)

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Mozart, Beethoven e il walzerino di Diabelli. Premessa. Nel 1819 Anton Diabelli, compositore e editore, lanciò ai colleghi musicisti viennesi una sfida: comporre ciascuno una variazione su di un tema di walzer da lui medesimo composto. Beethoven fu tra gli illustri ad accettare la intrigante commissione, non sapendo forse (o sapendolo benissimo) che la sua incontentabile creatività non si sarebbe accontentata (appunto) di una sola variazione. Nel 1823 ancora Ludwig Van non aveva consegnato la sua (cioè le sue) variazione (i) al Diabelli. Il quale si vide infine recapitare ben 33 Veränderungen, ovvero vere e proprie mutazioni (quasi genetiche, diremmo oggi) del suo ben più modesto walzerino. Mozart e Don Giovanni fanno capolino in questo monumentale capolavoro dell’ultimo Beethoven alla Variazione XXII, per la quale lo stesso autore prescrive «Allegro molto alla Notte e giorno faticar da Mozart». Beethoven riproduce esattamente l’incipit dell’aria di Leporello che apre l’opera mozartiana e lo ripete più volte sempre spostandosi dall’acuto al grave della tastiera, aggirando lo schema armonico diabelliano. Hans Hollander ha suggerito che l’inattesa citazione fosse la risposta sagace, mordace e un po’ beffarda alle sollecitazioni di

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Diabelli a terminare l’opera. (l.b.)

Mozart prima di Schönberg? Don Giovanni, Atto II, scena XV. Party al palazzo di Don G: cena trimalcionica e danze da nobile intrattenimento con tanto di musici in scena. Donna Elvira irrompe tentando di convincere l’amato, seduttore affabulatore impenitente dissoluto seguace dei piaceri più sfrenati etc. a ravvedersi, a pentirsi e a cangiar vita. Impossibile! Sarebbe come levargli l’aria dai polmoni. Improvvisamente colpi terribili alla porta, cui seguono le grida di terrore di Leporello che ha riconosciuto il tristo figuro. L’ospite (inatteso, vista la condizione, seppure regolarmente invitato) è proprio il Commendatore: il morto in versione marmorea, il vecchio assassinato impetrato resuscitato e ora nei panni di convitato. Bene, cioè male! Infatti, sebbene il corredo musicale non preannunci nulla di buono, Don G. con grande faccia tosta ordina la cena per la statua reverendissima, la quale, con implacabile severità, con flemma perentoria, da marmo risponde: «Non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo celeste» etc. etc. Il che suona come un sillogismo aristotelico, la logica è innegabilmente stringente. Ebbene, queste esatte parole sono intonate su di una frase musicale

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quasi integralmente cromatica (rispetto alla tonalità di re minore), nella quale molti critici hanno voluto riconoscere una serie dodecafonica. Lungimiranza del genio che avrebbe precorso la rivoluzione di Schönberg e Webern. Sul genio non si discute, ma se ci atteniamo strettamente alla definizione di dodecafonia ci accorgiamo che proprio così non è. Insomma, per farla breve, alla pseudo serie mancherebbero sol e sol#. Vabbè. Ciò che importa è invece il fascino che il cromatismo esercita sull’ascoltatore. Incollato alla poltrona, ipnotizzato dal sillabare gelido della statua, col sangue agghiacciato nelle vene per il fatto di assistere ad una scena surreale quasi uscita da un incubo febbrile, a questo punto comprende che la faccenda non si mette affatto bene per l’impenitente protagonista. (l.b.)

Arnold Schönberg

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N-O

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Netrebko, Anna Jur’evna. Quarant’anni compiuti lo scorso 16 settembre, il soprano russo di Krasnodar interpreta Donna Anna alla prima e in altre cinque repliche (dal 28 dicembre subentrerà nel ruolo Tamar Iveri). L’aneddotica – o la leggenda – vuole che la Netrebko sia stata scoperta da Valery Gergiev mentre era impegnata in una mansione da Cenerentola: lavare i pavimenti del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo per potersi mantenere agli studi di canto. Nel 1994 il suo primo ruolo mozartiano, Susanna delle Nozze di Figaro. Poi un successo crescente nel repertorio del belcanto italiano e in quello romantico, ma anche diversi ritorni a Mozart (sia Donna Anna sia Zerlina nel Don Giovanni). L’avvenenza l’ha aiutata a conquistare lo status di diva, ma le sue doti vocali sono solide, genuine e affinate – tra l’altro – con la grande Renata Scotto. (p.l.)

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Anna Netrebko (Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala)


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Neue Mozart Ausgabe. L’edizione critica delle opere di Mozart pubblicata da Bärenreiter (ora disponibile anche in digitale) contempla, per  il Don Giovanni, tutte le aggiunte scritte dal compositore – dopo il successo della prima di Praga – per la versione viennese (preparata in seguito allo scarso incontro con il pubblico della capitale, ricordato anche da Da Ponte nelle sue Memorie: «Tutti, salvo Mozzart [sic], credettero che vi mancasse qualche cosa»). Alcune di esse («Dalla sua pace», «Mi tradì quell’alma ingrata») vennero innestate nella versione primigenia in numerosi allestimenti e incisioni discografiche. La mise en scène milanese verterà sull’edizione del 1787 edita nella NMA. (f.f.)

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Opera buffa o opera seria? «A noi, storicamente parlando, il Don Giovanni non presenta alcun problema: si tratta di un’opera buffa con parti serie (ad esempio quelle di Donna Anna e di Don Ottavio) e parti buffe. Ma dobbiamo ammettere che un giudizio da un punto di vista storico non è sufficiente per un lavoro del genere. Per quale ragione, però, dovremmo continuare a tormentarci per trovare una soluzione più esauriente al problema? Trattandosi di materiale come questo, in cui, come nel Faust, vengono coinvolte forze oscure, primitive e demoniache, l’analisi non potrà mai essere completa. È un lavoro sui generis, incomparabile ed enigmatico la sera della sua prima rappresentazione e rimasto tale fino ad oggi». (Alfred Einstein, Mozart) (p.l.)

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R

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Reminiscenze. Ovvero il Don Giovanni di Mozart secondo Franz Liszt. Non bisogna stupirsi se si sente tuonare l’ammonizione del Commendatore «Di rider finirai pria dell’aurora» all’inizio del brano, oppure se Donna Anna è assente, oppure se Donna Elvira non irrompe con il suo tema cruciale («Fermati scellerato») in seguito al celeberrimo duetto «Là ci darem la mano». Questa fantasia-parafrasi vuole eliminare ogni moralismo e ciò risulta chiaro dal finale della composizione: si libera, in un turbine virtuosistico, l’aria lasciva dello champagne «Fin ch’han dal vino» per lasciar vincere trionfalmente, assieme al seduttore, la lussuria e l’ebbrezza. Una pregevole rilettura dell’opera da ascoltare agli sgoccioli di quest’anno lisztiano. (b.b.)

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Re minore. Busoni sosteneva che l’uso delle tonalità sia un po’ come osservare il panorama dai vari piani di un’abitazione: l’oggetto non cambia ma ne cambia la percezione. Mozart era assai attento all’uso delle tonalità: ecco allora per l’apertura del Flauto magico l’aristocratico (e massonico) mi bemolle maggiore, per l’aria di Pamina un mesto sol minore, per quella del buffo Papageno un rassicurante fa maggiore. Quanto all’abbacinante aria della Regina della Notte, dalle impervie difficoltà e dai barbagli demoniaci, essa è invece in re minore. Ecco, appunto: il re minore gravido di pathos, la tonalità  adottata per il Concerto K 466 (prediletto da Beethoven), o per il cupo Quartetto K 421, o ancora per la conturbante e tragica Fantasia per pianoforte K 397.

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Quel re minore che suggella lo sprofondamento  agli inferi del libertino Don Giovanni. (a.pi.)

Rostand, Edmond (1868-1918) «Certo…  Ma uscendo, fatemi la cortesia di lasciare la tomba aperta. Parliamo un po’ tra noi, Artiglio. Non credo sia per fare un torto a voi che quel marmo eccellente ha deciso di risparmiarmi. Concedetemi cinque anni. O dieci. Sì, meglio dieci. Ho ancora svariate cose da sbrigare, lassù. Vi va? Detto fra noi, ho ancora pochi nomi sulla lista. Vi conviene fare un patto con me, Artiglio. Io sono colui che fa più spesso peccare, il vostro migliore procacciatore di clienti. […] Le dita dello spettro hanno lasciato cinque fiamme sul mio braccio. Mi piacerebbe mostrare alle donne questo tatuaggio!» (L’ultima notte di Don Giovanni, 1922) (m.p.)

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Edmond Rostand

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S

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Saporiti, Teresa (1763-1869). Il soprano interpretò Donna Anna nella prima rappresentazione del Don Giovanni di Mozart a Praga nel 1787 (la parte fu scritta appositamente per la sua vocalità): bella, giovane ambiziosa, fece una splendida carriera e morì all’età di 106 anni. Non male per l’epoca! (m.l.)

Sellars, Peter (1957). Don Giovanni, aitante uomo di colore, si aggira tra i vicoli di una fantomatica Harlem che pullula di droga, teppisti, boss della malavita, heavy-metal e donne di facili costumi, categoria a cui appartengono anche Anna ed Elvira in minigonna e tacchi a spillo. Leporello è il gemello monozigote

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del protagonista, con un inevitabile gioco di equivoci tra chi è il padrone e chi il servo. Nel 1989, tra le mani del visionario e provocatore regista americano Peter Sellars, l’opera mozartiana diventa una sorta di musical horror contemporaneo. Quasi un eco di quella “Klassiker-Mode” imperversante nel mondo letterario tedesco degli anni Settanta dove, ne “I nuovi  dolori del giovane Werther” di Ulrich Plenzdorf, il suicidio dell’eroe goethiano avviene in chiave tecnologica e moderna con una scarica di corrente a 380 volt. (a.ba.)

Stendhal (1783-1842). «L’immaginazione tutta romantica di Molière in Don

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 Giovanni, questa pittura così vera di un così gran numero di situazioni interessanti, dall’assassinio del padre di Donna Anna fino all’invito fatto alla statua, parlando alla statua stessa, alla sua risposta terribile; tutto questo c’è ancora, meravigliosamente, nel talento di Mozart. Egli trionfa nell’accompagnamento terribile della risposta della statua, accompagnamento assolutamente depurato da ogni falsa grandezza, da ogni enfasi: per l’orecchio, è terrore alla Shakespeare». (Vita di Mozart) (p.l.)

Storace, Anna Selina detta Nancy (1765-1817). Nome importante nella produzione mozartiana. Nata a Londra

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aveva studiato prima a Napoli poi a Venezia con Antonio Sacchini. Nel 1784 venne scritturata dal Burgtheater a Vienna e vi rimase fino al 1795. La Storace fu Susanna alla prima de Le nozze di Figaro. Da Ponte annotò che «era nel suo fiore e tutta la delizia di Vienna». Interessante è la descrizione che Pessel fa della Storace negli Skizze von Wien del 1787: «Riceve annualmente 1000 ducati. Si deve riconoscere la giustezza del tributo, perchè canta molto bene; però la sua figura non è a suo favore: una piccola e grassa creatura, senza alcuna attrattiva corporea, due occhi grandi e poco espressivi». (e.f.)

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Terfel, Bryn. Il Galles è famoso per le sue grandi voci e i suoi concorsi canori, gli esteddfodau: il più entusiasmante cantante gallese dei nostri tempi, nato a Pantglas il 9 novembre 1965, si è messo in luce da ragazzo proprio in quelle competizioni locali e poi ha intrapreso gli studi alla londinese Guildhall School. Mozartiano di vaglia, sarà Leporello alla Scala fino al 20 dicembre, poi sarà sostituito da Ildebrando D’Arcangelo. Terfel, corporatura gigantesca e gruppo di amici che lo seguono con il fanatismo di una banda di hooligans, è baritono di rara eleganza e intelligenza.

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Non sono rare le sue incursioni in repertori laterali (ad esempio come protagonista dello Sweeney Todd di Sondheim), nei quali trasmette con entusiasmo tutte le sue doti. (p.l.)

Torrente Ballester, Gonzalo (1910-1999) «[…] in realtà, don Juan si è profumato le mani su corpi palpitanti di donne e le ha ritirate fragranti come se le avesse estratte da un canestro colmo di rose […] Possiede molte virtù don Juan, ma la virtù di far suonare divinamente tra le sue mani lo strumento più grezzo è quella che ammiro maggiormente in lui». (Don Juan, 1984) (m.p.)

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Youn, Kwangchul. Il basso nato a Chungju, nella Corea del Sud, ha studiato in patria, a Sofia e a Berlino. Qui ha incominciato a prodursi sul palcoscenico della Staatsoper unter den Linden (direttore musicale Daniel Barenboim). Nel ruolo del Commendatore gli subentrerà Alexander Tsymbalyuk nelle repliche di gennaio. (p.l.)

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Bryn Terfel (foto di Marco Brescia e Rudy Amisano © Teatro alla Scala)

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