
Molta attesa allo Stresa Festival per Isabelle Faust, impegnata con le Sonate e Partite di Bach (anche in disco per Harmonia Mundi, premio Diapason d’Or de l’année).
STRESA – Per riannodare le fila di un discorso già cominciato su questo sito a proposito delle sei Suites per violoncello solo, perché il quadro possa risultare omogeneo e coerente come era nato nell’intenzione di Bach, vorrei citare una lettera di Carl Philipp Emanuel Bach (il secondo dei figli maschi) in una risposta a Forkel (primo biografo di Bach) che lo interroga circa la conoscenza di suo padre nell’ambito degli strumenti ad arco.
Così C. P. E. Bach: «Fortissimo conoscitore e giudice dell’armonia, suonava, di preferenza, la viola, con giusto dosaggio di forza e delicatezza. In gioventù e fino a una età abbastanza avanzata, suonò il violino con stile puro e penetrante […]. Conosceva alla perfezione le possibilità di tutti gli strumenti ad arco, come mostrano i suoi Soli per violino e per violoncello. Uno dei maggiori violinisti mi disse una volta che non aveva mai visto nulla di più perfetto per diventare un buon violinista, né avrebbe potuto consigliare nulla di più utile per l’insegnamento, di questi Soli per violino senza basso».
Se nei lavori per violoncello la polifonia è solo “latente”, nelle Sonate e Partite per violino si incarna una “implacabile ricerca, in cui l’idea appare assorta dal suo stesso divenire”, e dove “l’idea si libera dalla forma e la supera”. E ancora meglio: «Sonate e Partite contengono un vasto margine di impossibile, il conflitto tra intenzione e realizzazione è parte della natura di questa musica, e la sensazione di sforzo ne è la traduzione visibile e necessaria. Spetta all’esecutore definire quanto vi è di irrisolto, attraverso una serie di problemi di pratica virtuosistica, di espressione, di stile» (Buscaroli).
Un’unica esibizione che divide tra il tardo pomeriggio e la sera le tre Sonate e le tre Partite, eseguite nell’ordine lasciando, come

quasi sempre avviene, la seconda Partita (quella in re minore, che contiene la sempre attesissima Ciaccona) al gran finale. Isabelle Faust ha eseguito in prima assoluta opere di Olivier Messiaen, Werner Egk e Jörg Widmann; il suo impegno si rivolge alla divulgazione della musica di Ligeti, Nono, Feldmann e Scelsi, mentre suona abitualmente i classici della letteratura violinistica come Brahms e Beethoven; per lei hanno scritto Michael Jarrel e Thomas Larcher.
Un carisma ben delineato e la versatilità dell’interprete albergano nell’apparenza delicata e cordiale. Ci si sarebbe aspettati, perciò, un’interpretazione decisa, magari energica, marcata secondo un pensiero musicale sì scrupoloso ma particolare, cioè individuale ed esclusivo. Al contrario. Quella di Faust è una lettura più che una interpretazione: una restituzione filologica e scarna, esegesi che restituisce il testo nella sua purezza neutra.
Si direbbe un Bach al femminile nel senso più nobile del termine. Timido, prudente, quasi del tutto uniforme nelle dinamiche: approccio che è efficace per alcuni brani, come l’Andante della seconda Sonata (in la minore) o nella Siciliana della prima (in sol minore). In generale però il suono è sottile, come sussurrato.
Femminile s’è detto, ma non lezioso né manierista. Invece austero, spoglio di ornamenti che non siano quelli prescritti in partitura; completamente assente il vibrato, la scelta dell’agogica è molto equilibrata per accelerare solo nei passi più fioriti, che sono snelli e scivolano con scorrevolezza piacevole. Anche quando sembra che il brano suggerisca un piglio più deciso (bello quello dell’Allegro della seconde Sonata), la scelta rientra subito coerente nell’alveo di una uniformità esecutiva che rischia di penalizzare la necessaria diversificazione delle parti polifoniche.
Le luci più belle sono Sarabanda e Giga della seconda Partita (in re minore), per un risultato che nella seconda parte della serata sembra più chiaramente orientato verso un’interpretazione certamente asciutta ma più partecipata. I puristi hanno potuto apprezzare la nitidezza della lettura, ma se spetta all’esecutore completare ciò che la scrittura bachiana lascia di “irrisolto” o, meglio, aperto alla espressione, la Faust antepone ad essa il testo. Scelta razionale e non emozionale, che fa emergere la sensazione di un’atmosfera lieve, sottile e sospesa