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Magistrale interpretazione beethoveniana di Gianandrea Noseda a Torino. Molto apprezzato il servizio Wi-Fi del Teatro Regio con guida all’ascolto in tempo reale e altro ancora.
«Le Nove Sinfonie» di Beethoven: tutte assieme, in un unico blocco. Anzi no: distribuite, per ovvii motivi, in quattro serate e altrettante repliche (fino al prossimo 6 ottobre).
Ma interpretate bensì da un’unica orchestra – quella del Teatro Regio di Torino – ed affidate (con tutti i pregi che ne derivano) alla lettura coerente e unitaria di un solo direttore, Gianandrea Noseda che del Regio è il direttore musicale, non nuovo ad imprese ciclopiche di tal fatta (è il primo a quanto pare ad aver sbancato con le «Nove Sinfonie» su Internet, avendo intuito le potenzialità specie coi giovani dei nuovi media). Gli piacciono le sfide: definisce l’impresa un «viaggio straordinario» e nel contempo «una grande scommessa» (come dargli torto) e poiché è un musicista di razza ed un professionista di alto livello, di solito ne esce vincente.
Proporre l’integrale beethoveniana non è cosa da poco, occorre ammetterlo. Si tratta di uno sforzo produttivo di grande entità al quale l’Orchestra del Regio ha risposto in modo eccellente. E poi, parrebbe un’ovvietà, ma non è poi così scontato: proporre nell’arco di pochi giorni l’integrale del corpus sinfonico beethoveniano in una città come Torino, pur colta e di ampie tradizioni musicali, dove l’offerta di ‘classica’ e abbondante e di qualità, è quasi una sorta di ‘dovere sociale’, se ci è permessa l’affermazione. Ad uso delle giovani generazioni, certo, che non a caso in queste sere frequentano numerose la vasta sala progettata da Mollino (e la faccenda è un dato più che positivo, da salutare con gioia e coltivare), ma ad uso anche degli incalliti audiofili che hanno ‘diritto’ – viene da dire – di poter ripassare ciclicamente (e, soprattutto dal vivo), tale monumentum, liberi di confrontare ogni nuova integrale con i mille riferimenti che ognuno si porta dentro: incisioni storiche e no, esecuzioni memorabili ed altre da dimenticare, singole serate nel proprio vissuto, eccetera.
Allora, si domanderà il lettore: questo Beethoven secundum Noseda? Un primo bilancio? Più che positivo, bien sûr. E avremmo voluto scriverne a caldo, la prima sera, subito dopo aver ascoltato «Prima» ed «’Eroica’», ma poi, per serietà e prudenza, ci è parso preferibile valutare l’intero arco interpretativo (o quasi) di Noseda. Che ha idee molto precise su Beethoven occorre ammetterlo, e le dichiara in intervista, ma preferiamo attenerci agli ascolti. Per dire: della «Quinta» ha una visione (giustamente) assai teutonica. E allora attacco vigoroso e ‘fatalistico’, e poi via, con asciutta e virile possanza, senza indugi (ben assecondato da un’orchestra in gran forma), lettura stringata, senza facili scivoloni nel plateale, ma coinvolgente sul piano emotivo. Giù giù sino alla luminosa catarsi del finale, con ottoni altisonanti, bassi energetici ed iper vitaminizzati, ma ci stavano, e l’incandescenza delle ultime misure che innescano applausi entusiasti. Bene anche la lettura ‘analitica’ del secondo tempo dai luminescenti e immani clangori post rivoluzionari e così pure emergevano al meglio quelle opacità e quegli straniamenti desolati che in chiusura del terzo tempo sono la cifra più caratteristica, per contro scioltezza e suono straordinariamente apodittico dove occorreva. Con l’Orchestra del Regio che ha saputo sfoderare sonorità corpose.
Un suono invece giustamente settecentesco per la deliziosa «Prima» affrontata con leggerezza ed eleganza. Una lettura – quella di Noseda – attenta a porre in luce, quasi con partecipe affetto, quegli innegabili debiti versò papà Haydn (specie lo charme del secondo tempo, ma senza smancerie da cicisbei), poi lo snello Minuetto già prodigo di humour, destinato a dilagare nel finale dal celebre esordio ‘a sorpresa’ quasi in punta d’arco. Anche la «Seconda» è piaciuta alquanto, per l’appropriatezza stilistica, fin dalla sfingea introduzione e quindi via con il vitalismo del primo tempo. Ha convinto specie il languoroso Larghetto, con quel tema che pare un anticipo del secondo tema del «Primo concerto» pianistico di Brahms (sembra un gioco di parole, ma è così, verificare per credere) e quei garbati accenni di danza, quello sguardo retrospettivo affettuoso e dolcemente tenero verso un ‘700 ormai irrimediabilmente perduto; bene il ritmo squadrato e cartesiano dello Scherzo dalle robuste scansioni, e così pure il Finale, affrontato con molto equilibrio, senza quegli anticipi di dionisiaco che certi direttori esibiscono, esagerando un po’ e forzando la mano ad un Beethoven già stilisticamente autonomo, ma ancora lontano dall’orgiastica ebbrezza della «Settima».
«Settima» che nell’esecuzione di ieri, domenica 2 ottobre, ha letteralmente suscitato delirio in un pubblico ancora più sbilanciato sul giovanile (ed era in abbinamento alla sesta, la «Pastorale»). Tutto scorrevole ed un suono piacevolmente ‘rotondo’. Continua a pagina 2