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Intervista al compositore e direttore d’orchestra polacco, ieri a Torino per dirigere proprie composizioni e l’Ottava di Dvorák
di Attilio Piovano
Sul podio della Filarmonica ’900 del Teatro Regio di Torino è salito ieri sera, lunedì 16 gennaio, Krzysztof Penderecki, tra i massimi compositori viventi: in programma sue musiche nella prima parte della serata. E si trattava in particolare della «Sinfonietta n° 1 per archi» e della «Sinfonietta n° 2 per flauto ed archi», due lavori degli anni ’90 del ’900. Della prima, tagliata in due soli concisi movimenti, si è apprezzata l’originalità timbrica. Con quella sua accentuata alternanza di pieni e di vuoti, e quell’esordio suggestivo con feroci strappate dell’orchestra subito seguite da una mesta melopea della viola. Ben assecondato dalla Filarmonica del ‘900 (un plauso speciale alle prime parti, impegnate in passi solistici, dunque Serguei Galaktionov violino e Giulia Panchieri viola) Penderecki ha posto in evidenza la contrapposizione di zone diafane e assorte alle ruvide figurazioni di cui la pagina è intessuta. Nel Vivace, poi, dai vibranti pizzicati, a prevalere è una scrittura fugata, serrata e rigorosa, di innegabile fascino, ben resa nell’esecuzione torinese di ieri sera, giù giù sino all’epilogo, sfuggente ed enigmatico come un punto interrogativo proteso sull’abisso.
Quanto alla «Sinfonietta n° 2» si tratta della rielaborazione dell’originale per clarinetto ed archi (1994) in una nuova veste con flauto solista, espressamente sollecitata da Massimo Mercelli che la tenne a battesimo nel 2006 eseguendola poi da allora, sotto la direzione dell’autore, una ventina di volte. Misteriosa in apertura, con un’estesa cadenza del flauto non immemore del debussiano Prelude à l’après midi d’un faune, la «Sinfonietta» contempla quattro movimenti concatenati gli uni agli altri, un iniziale Notturno entro al quale un lungo pedale dei contrabbassi introduce un elemento di cupa gravità, poi un rapidissimo e conciso Scherzo, una leggiadra Serenade dai tratti talora grotteschi, quasi riverbero di certe atmosfere del Pierrot Lunaire e da ultimo un esteso congedo (Abschied) che recupera in parte l’atmosfera selenica dell’esordio; il flauto dialoga con i violini e con la viola, rivelando una scrittura di natura cameristica di innegabile charme nonostante qualche tratto leggermente dispersivo, unica veniale colpa imputabile alla valida partitura che la Filarmonica del Teatro Regio ha affrontato con apprezzabile sicurezza. Applaudito il flautista e dedicatario Mercelli, per la bravura tecnica e l’espressività della sua performance. Notevole il passo finale in cui il flauto dialoga con il violino primo inerpicato ad altezze vertiginose alternando zone desolate a a passi di siderale bellezza timbrica. Interamente dedicata a Dvorák la seconda parte della serata: Penderecki ha diretto la serena ed estroversa «Ottava Sinfonia» (un capolavoro assoluto di freschezza e grazia) che gli dev’essere particolarmente congeniale dacché la inserisce spesso in programma in abbinamento a proprie musiche.
È piaciuto il piglio insolitamente energico e scorrevole impresso all’Allegretto del quale altri preferiscono sottolineare una sua allure graziosamente salottiera (a fronte di zone di indugio nel primo tempo), così pure apprezzata l’incisiva verve ritmica conferita alla parte centrale del Finale di cui Penderecki ha evidenziato la celeberrima e indimenticabile fanfara della tromba (Ivano Buat), e con quel passo turchesco di seducente brio. Dopo il concerto incontriamo in camerino Penderecki che molto cortesemente accetta di rispondere alle nostre domande per una breve intervista: ad attorniare il maestro, e a fargli festa, una significativa delegazione di suoi concittadini guidata dal console generale di Polonia in Milano Krzysztof Stzralka, dal console onorario della Repubblica di Polonia in Torino, Ulrico Leiss von Leimburg e dalla presidente della Comunità polacca di Torino Wanda Romer. La pianista Gaja Kunce gentilmente si presta a farci da traduttrice di lusso.
Lei maestro è venuto più volte a Torino, almeno a partire dal lontano 1982 quando diresse al Regio l’Orchestra Nazionale di Katovice per Settembre Musica. Come ha trovato questa sera il pubblico torinese?
«Già molto prima venni a Torino – ci corregge con decisione – a metà degli anni ‘60 diressi la Passio secundum Lucam. Questa sera? Un pubblico meraviglioso quello torinese, un pubblico entusiasta e caloroso, un pubblico di intenditori, un pubblico colto che sa ascoltare con attenzione anche la musica contemporanea.
Lei ha sempre mostrato una speciale attenzione nei confronti degli archi fin dalla «Trenodia per le vittime di Hiroshima». La sua scrittura per archi è cambiata molto negli anni ‘90, lei lo dichiara anche in un intervista a «Sistema Musica». Con le due «Sinfoniette» che abbiamo ascoltato si può parlare di recupero del passato? Della tradizione classica nel senso più ampio possibile?
«Sì certo, con gli anni si apprezza sempre di più la tradizione, invecchiando si ritorna al passato… alle proprie radici, anche musicali dunque, sì, si può parlare di una scrittura che recupera elementi del passato della tradizione, appunto, sia pure con un linguaggio aggiornato…»
Lei ha sempre dedicato molte delle sue risorse alla musica sacra (memorabile il suo «Te Deum» per Giovanni Paolo II al quale Lei fu molto legato). C’è ancora spazio oggi per il repertorio sacro?
«Certo: i credenti sono ancora molti nel mondo – afferma con decisione – i testi sacri, del resto, hanno un valore per così dire universale che trascende le singole religioni, intendo dire le singole confessioni…»
So che ha apprezzato la «Tosca» ora in scena al Regio. Lei stesso si è dedicato alla lirica con I «Diavoli di Loudun» e «Ubu rex». Quale partitura teatrale si porterebbe sull’isola deserta?
«Mah… ecco…» – ci osserva spaesato e riflette a lungo, prima di rispondere: nei suoi occhi intuiamo un rapido ed ideale excursus storico da Monteverdi al ‘900 poi, all’improvviso esclama senza esitare: «Wagner, senza dubbio».
Quale opera? – incalziamo –
«Wagner è il titano della musica – allarga le braccia – tutto Wagner…».
E quale partitura sinfonica?
«Impossibile rispondere – afferma perentorio i capolavori sono moltissimi…»
Quale consiglio ad un giovane che si accosti alla composizione?
«Studiare, studiare e ancora studiare: soprattutto il repertorio polifonico, la polifonia è la base di tutto…».
Il ricordo più bello di questa sua breve incursione torinese che si porta a casa?
«Il concerto di stasera – afferma con entusiasmo – l’orchestra, il pubblico, la bella sala dalla valida acustica…».
Ci congediamo con un arrivederci a Torino. Forse verrà per «L’angelo di fuoco» che Gergiev dirigerà prossimamente al Regio, forse tornerà a dirigere. Terminata l’intervista il sovrintendente Walter Vergnano, che ci ha pazientemente atteso, inizia a conversare fitto con Penderecki. Nuovi progetti? Chissà: rigorosamente top secret (per ora).
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