Nel centenario della nascita di John Cage ritorna a Palermo “Il suono dei soli”, rassegna realizzata dall’Associazione per la musica contemporanea Curva Minore
di Monika Prusak
Il ciclo, che tra il 1999 e il 2008 ha visto dieci prestigiose edizioni, ha come obiettivo una riflessione sui percorsi del pensiero musicale della tradizione accademica e, accanto a progetti dedicati al mondo sonoro non accademico, vuole costituire “un tessuto parallelo indispensabile per tenere viva la scena contemporanea e per rappresentarne una più giusta completezza d’indagine” – secondo il proposito, con il quale il contrabbassista Lelio Giannetto fondò nel 1997 l’associazione. L’edizione speciale “100 John Cage” è stata realizzata in collaborazione con il Goethe-Institut di Palermo e il Dipartimento Fieri-Aglaia Sezione Musica dell’Università degli Studi di Palermo ed è articolata in 12 giornate di studio e musica tra il 2 febbraio e il 3 marzo 2012, con interpreti quali l’ensemble Decibel, Ulrike Brand, John Tilbury, Hélène Breschand, Thollem McDonas, Adalgisa Badano, Simone Sfameli, Flavio Virzì, Picci Ferrari, Lelio Giannetto, e con studiosi di musicologia e compositori, tra cui Paolo Emilio Carapezza, Massimo Privitera, Pietro Misuraca, Gabriele Garilli, Giovanni Damiani, Daniele Caibis e Marco Crescimanno.
Il concerto dell’arpista parigina Hélène Breschand del 10 febbraio scorso è stato preceduto da una conferenza con l’artista, condotta dal musicologo e compositore Marco Crescimanno. Si è parlato delle due fasi della creazione di Cage, la prima più “tradizionale” e la seconda, a partire dal 1951, che l’ha visto volgersi verso la scrittura aleatoria e la ricerca sonora. La Breschand non nasconde che la seconda fase è quella più vicina alla sua sensibilità, quella in cui è il processo e non la notazione musicale a definire l’opera dal momento che Cage coscientemente toglie l’identità al compositore. L’interpretazione diventa una nuova creazione dell’opera e non una sua semplice lettura. L’arpista definisce questo approccio una sorta di utopia politica, in cui Cage mette allo stesso livello il compositore, l’interprete e il pubblico, togliendo in questo modo importanza all’autore e distribuendola tra l’artista e il fruitore, che diventano attivi e creativi allo stesso livello. La Breschand, anch’essa compositrice, considera inseparabili le attività di interprete, compositore, creatore e improvvisatore. Sottolinea la rilevanza della resa drammaturgica e teatrale dell’esecuzione, che, a suo parere, insieme alla fisicità del suono, costituiscono la parte più importante dell’esibizione e garantiscono l’interazione con gli spettatori. L’interpretazione diventa così una nuova creazione di un processo musicale indicato dal compositore-propositore con un forte coinvolgimento del fruitore-pubblico.

La teatralità della Breschand ha ipnotizzato il pubblico della Sala Wenders del Goethe-Institut sin dalla sua entrata, sui passi trasmessi dal nastro magnetico nella prima composizione Le Chemin di Philippe Nahon. Passi sordi di strada e sulle scalinate si incontrano con il suono corposo dell’arpa, mentre l’artista pizzica e batte le corde. Dopo aver gettato via con raffinata nonchalance le partiture già suonate, la Breschand è passata fluentemente alla Sequenza II per arpa di Luciano Berio, a momenti delicata e poi urlante, piena di agilità e contrasti dinamici che formavano una sorta di dialogo con lo strumento, un discorso agitato, un combattimento emotivo. Il programma della serata conteneva due composizioni di Cage, In a landscape del 1948, appartenente ancora alla prima fase della sua creazione, e il Song 43 dal ciclo Song Books 1970, basato su una partitura di sole parole, la cui esecuzione richiede una certa esperienza nell’interpretare il pensiero e lo spirito di Cage. La Breschand usa l’elettronica, trasformando infinitamente il timbro della sua voce e facendo dei looping di brevi frammenti del testo. Ottiene così un curioso, quasi mistico, effetto sonoro che suscita una reazione sorpresa, per il fatto che Cage tendeva a evitare qualsiasi ripetizione nelle sue composizioni. Due brani in qualche modo simili, con lo stesso intento di trattare l’arpa con forza emotiva e fisica, sono stati Claire per arpa di Sylvain Kassap e Minotaur della stessa Breschand. Il grido psichedelico dell’arpa, nel caso di Minotaur, è passato a uno stato di rassegnazione, con morente decrescendo di un ritmo rarefatto verso la fine. A la recherche du rythme perdu per arpa e nastro magnetico di Luc Ferrari ha chiuso il concerto in un ventaglio di ritmi intensi, tra il pulsante suono grave del generatore, il ronzio delle cicale e l’arpa tenuta prevalentemente nel registro acuto. Una composizione complessa, ipnotica, in cui la Breschand ha trasmesso un senso di disperazione e aggressività verso lo strumento. La ferma pulsazione del nastro si è scontrata con l’impossibilità dell’arpa di raggiungerla con il proprio ritmo, che rimaneva in un costante sfasamento, per poi calmarsi gradualmente e lasciare risuonare le cicale, come se volesse indicare nella natura la sorgente del ritmo perduto.
Il programma completo della rassegna disponibile su www.curvaminore.org
© Riproduzione riservata