[/wide]
Musiche vocali e strumentali del Medioevo europeo: avventure cavalleresche nell’arte del cunto
di Cecilia Malatesta
M immo Cuticchio è un po’ Omero, con i capelli e la barba bianchi e lunghi come certi busti greci; è un po’ il nonno che ti mette seduto in poltrona e ti racconta una bella storia; è uno degli ultimi cuntisti, i fabulatori siciliani che nell’Ottocento cuntavano nelle piazze siciliane, per ore ed ore, anni e anni, le imprese del re e dei paladini di Francia, di Carlo, di Orlando, dell’olifante e della durlindana.
Ha in mano una spada di legno, perché il cunto si fa con la spada, ma di medievale Cuticchio non ha niente: ti racconta di Pipino il Breve e del tradimento dei Magonzesi, del giovane Carlo, delle sue peregrinazioni e delle sue vittorie, di Berta, di Galerana, dell’orgoglio e dell’amore in una dimensione che sospende ogni temporalità.
Al fianco del cuntastorie, alto e prestante, asciutto ed essenziale nella camicia bianca e nei pantaloni neri, le tre musiciste dell’ensemble di musica medievale laReverdie: con i lunghi vestiti di raso, le vielle, i flauti dritti e il liuto sono il legame con il tempo di Carlo, o meglio, col tempo in cui prende forma il mito dell’uomo riunificatore dell’Impero Romano e difensore della cristianità. La sonorizzazione del cunto è infatti affidata al repertorio polifonico trecentesco – fatta eccezione per il gregoriano: cacce, estampies e chansons, vocali e strumentali, commentano fornendo una chiara connotazione storica e assecondando l’idea di un Medioevo musicale fatto di sonorità gentili, voci pulite e pure e timbri esoticamente seducenti.
Al melodismo di flauti doppi e vielle che raccontano i momenti statici e di maggior lirismo – la morte del re, le preghiere di Carlo, le scene d’amore – si contrappone la dimensione ritmica della recitazione. Incastonati nella narrazione discorsiva e colloquiale di Cuticchio, si aprono gli squarci di battaglie e tornei cuntati con che voce pare farsi affannosa: le parole si spezzano e le sillabe vengono ricomposte con un’operazione di incalzante décalage dai tempi forti a quelli deboli, creando un effetto ritmico simile a quello di un quarto dopo un gruppo di terzine.
È in questo costante dualismo, temporale, musicale e scenico che si muove lo spettacolo. Con risultati alterni perché, paradossalmente, risultano più convincenti le rare sonorizzazioni che in certi episodi sottostanno alla voce di Cuticchio, come una sorta di vera e propria colonna sonora, più che i pezzi chiusi, intermezzi tra un’immagine e l’altra, non sempre ben giustificati al di fuori del “sapore” medievale che forniscono. La presenza scenica, la voce, il carisma del cuntista siciliano bastano a loro stessi e hanno il potere di far pendere dalle labbra un teatro gremito per oltre due ore di spettacolo; un’operazione musicalmente un po’ più coraggiosa e dalla presenza più diffusa nulla avrebbe tolto alla potenza della narrazione, ma avrebbe forse concorso a creare quell’organicità, quella compattezza che, pur nelle infinite varianti, è propria dei romans del ciclo carolingio.
Carlo Magno. Musiche per una leggenda | Mimmo Cuticchio e laReverdie | Piccolo Teatro Grassi, Milano | 12 settembre 2012 festival MiTo
© Riproduzione riservata