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Opera • Torna a Torino il Don Carlo con l’allestimento del 2006 per celebrare i quarant’anni della ricostruzione della sala di piazza Castello. Trionfo per uno spettacolo di ottima qualità. L’opera verrà trasmessa da Rai5 il prossimo 8 maggio alle 21,15
di Attilio Piovano
Per festeggiare i quarant’anni del “nuovo” Regio – andato il “vecchio” rovinosamente distrutto in un incendio nel 1936 – la Fondazione lirica torinese ha fatto davvero le cose in grande: l’avveniristica sala progettata dal geniale e spregiudicato Carlo Mollino e inaugurata nell’aprile del 1973 con i Vespri siciliani nella (discussa) regia di Maria Callas, ha per l’occasione ospitato una mostra, gruppi di strumentisti sparsi in varie location, un open day che ha portato in Teatro migliaia di persone, e, a fine giornata, una serata “a tema” anni ̓70 che ha visto il foyer trasformarsi in una sorta di discoteca attirando giovani e meno giovani per una divertente kermesse. Soprattutto, ha puntato su un titolo di grande rilievo riprendendo la produzione che aveva chiuso la stagione nel 2006. E si è trattato – a partire dallo scorso 11 aprile, alla presenza di Sindaco e autorità – del verdiano Don Carlo, per par condicio rispetto all’inaugurazione (recensita su queste stesse colonne), che era stata nel segno del wagneriano Olandese volante.

Dopo il titolo iniziale, con questo allestimento si può ben dire di essere di fronte alla più significativa produzione di questa stagione e – in senso lato – forse ad una delle migliori degli ultimi anni. Un’edizione a dir poco superlativa questa del Don Carlo, modellato sullo schilleriano e omonimo dramma, opera tesa e drammatica, calata nella storia. I drammi dei singoli personaggi storici (Carlo V, Filippo II, Elisabetta di Valois), attanagliati dagli insanabili conflitti interiori, dalle proprie passioni amorose o civili – secondo un topos ben congeniale al maturo Verdi – dilagano in scene di grande pregnanza ed efficacia: i destini si mescolano alla ragione di Stato e a quella del Sant’Uffizio, nonché ai valori supremi della fedeltà, all’insaziabile desiderio di vendetta (altro tema col quale Verdi andò a nozze per la vita intera), al senso dell’amicizia spinta sino al sacrificio e molto altro ancora di quanto alberga da sempre nell’animo umano. Un’opera – lo sanno i melomani di stretta osservanza verdiana – dal rilevante spessore musicale e dalle complesse implicazioni drammaturgico-formali: non a caso la parte orchestrale vi ha un rilievo notevole, non solo nelle celebri scene cardine del capolavoro andato per la prima volta in scena alla Scala il 10 gennaio 1884 (nella versione in quattro atti, dopo quella parigina in cinque atti con i ballabili del marzo 1867), bensì in tutta la partitura, che – frutto di una meditata rielaborazione pluriennale – alterna infatti momenti rarefatti ad accensioni sinfonico-corali di indubbia efficacia.

Sul podio Gianandrea Noseda, direttore musicale del Regio (nel 2006 l’aveva invece diretta Bychkov) di grande sensibilità e cultura, ancora una volta dal gesto ampio, sicuro e incisivo e dai tempi scorrevoli (fortissimi smaglianti dove occorre, ma anche rarefazioni delicate e indugi opportuni). Ha governato l’orchestra (in gran forma, anzi in ottima forma) con mano felice evidenziando il colore cupo e fatalistico (la scena del Grande Inquisitore), ma cesellando anche con partecipe commozione e minuziosa acribia i momenti più intimistici (il soliloquio di Filippo II in preda ai dubbi, dopo l’ennesima notte insonne, quando nel I quadro del terz’atto, medita sui propri fallimenti come consorte, padre e monarca). Bene, inoltre, il giusto rilievo conferito alle scene di massa che di quest’opera sono uno dei punti di forza e garantiscono l’appeal sul pubblico. L’orchestra del Regio – merita ribadirlo – ancora una volta come già nel 2006 è parsa davvero all’altezza della situazione, passando con naturalezza e scioltezza dai momenti più magniloquenti e altisonanti (la magnifica scena della Cattedrale coi deputati fiamminghi che irrompono bellicosi scompaginando il rito cerimoniale, gli eretici che condannati stanno per salire sul rogo, l’allusione all’Autodafé e via dicendo) ai passi più delicati, squisitamente cameristici. Ottimo ed assai apprezzato il contributo determinante fornito dal coro, come sempre assai ben istruito da Claudio Fenoglio. Grandi emozioni, poi, dinanzi all’aspetto scenico di grande impatto: scene monumentali e fastose, improntate a una grandiosità di impianto che colpisce fin dal primo atto, con colonne gigantesche ai lati, declinate di volta in volta a rappresentare i vari luoghi dell’azione. Stupenda e sontuosamente coreografica la scena sfarzosa della Cattedrale, affollata di popolo, alabarde, bandiere, e del monumentale retablo condotto al centro come una reliquia, con tanto di fumigante e copioso incenso. Hugo de Ana, grande esperto di scenografia e navigato uomo di cultura, le ha firmate assieme ai bellissimi e policromi costumi in stile (costati a quanto pare carissimi, e forse sarà uno degli ultimi allestimenti così lussureggianti che vedremo dato il periodo di vacche magre); ha curato inoltre una regia sobria e impeccabile, capace anche di esaltare il dramma sia attraverso i movimenti della masse, sia nelle più scarne situazioni in cui due soli personaggi agiscono sul palcoscenico. Alcune lamentele per la scena di massa che avrebbe creato una certa confusione tra condannati ed altri personaggi, ma ai più il tutto è parso efficace e di notevole impatto visivo oltre che drammaturgico. Belle le luci di Sergio Rossi, ora abbacinanti, ora livide (come nell’apparizione dell’Inquisitore a sovrastare la folla inferocita, e abile a domarla con la sua autorevolezza).
Ed ora le voci, tutte assai bene equilibrate a formare un cast di ottimo livello: Ramón Vargas ha impersonato più che correttamente Don Carlo, facendolo apparire a tutto tondo e vivido, buona vocalità e voce ben timbrata. Ancora sul versante maschile ottimo è parso Ildar Abdrazakov che ha colto un successo personale nei panni del maestoso Filippo II re di Spagna (ottimo il celebre duo col Grande Inquisitore cieco, ben reso da Marco Spotti, straordinario duetto nel quale, come scrisse Mila, «mai la potenza tenebrosa della ragion di stato e delle ragioni dell’altare nel loro contesto secolare ebbe una interpretazione musicale più efficace»). Superba la performance del baritono Ludovic Tézier (nel non facile ruolo del marchese di Posa, dalla complessa personalità, personaggio cardine dell’intera vicenda), un Rodrigo che ha sedotto fin dai primi istanti per possanza e vibrante interpretazione. Sul versante femminile Barbara Frittoli ha disimpegnato con nobiltà il ruolo di Elisabetta di Valois, combattuta fra mille sfumature di sentimenti: la sua è pur sempre una bella voce (anche se un po’ al di sotto rispetto ai livelli di qualche anno fa), di emissione sicura e buona duttilità (ci si aspettava però qualche guizzo in più). Ottima la principessa Eboli affidata alle cure di una Daniela Barcellona in vero stato di grazia: anche in questo caso il personaggio, con tutti i suoi conflitti e le sue implicazioni psicologiche e comportamentali, è emerso al meglio.
Tra i comprimari la Voce dal cielo di Erika Grimaldi è parsa fin troppo alonata e remota (forse per ragioni foniche, dacché la Grimaldi è ottima artista).; poco udibile anche il paggio Tebaldo di Sonia Ciani. Da ultimo meritano di essere applaudite le eleganti coreografie di Leda Lojodice (specie nella scena a corte del secondo quadro, atto I). Di grande potenza espressiva la scena conclusiva con Carlo pronto a sguainare la spada a difesa della Regina, la tomba dell’imperatore e lo spettro di Carlo V sub specie di un monaco, che trascina via l’Infante, gettando nello sgomento gli astanti, caduti in ginocchio. E qui, merita ribadirlo, davvero la musica di Verdi raggiunge vertici ineguagliati e si ha la sensazione palpabile – specie di fronte ad un allestimento di tal livello – di quanto il Don Carlo sia opera di svolta, centralissima nella maturazione drammaturgica verdiana, prima dei capolavori estremi dell’ultima stagione.
Di un’edizione memorabile s’è trattato dunque come già nel 2006 (frutto di una co-produzione di alto prestigio, realizzata dal Regio unitamente al Teatro Real di Madrid e al Teatro Carlo Felice di Genova), ora felicemente ripresa. Dopo qualche giorno di sospensione per ospitare la Biennale di Democrazia, le complessive nove recite (potendo contare su un doppio cast sostanzialmente di equivalente livello qualitativo) proseguono col sold out sino al 23 aprile.
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