di Carlo Goldstein
Se ne va Dario De Rosa e lascia tutti i musicisti, gli allievi, gli ammiratori e gli amanti della Musica un po’ più soli. Pianista, didatta, animatore di scuole e concorsi, ispiratore di intere generazioni di musicisti, protagonista indiscusso del grande repertorio con quel Trio di Trieste che è stato sinonimo nel mondo per decenni di un camerismo di classe superiore. Quella del Trio di Trieste è la storia d’un altro tempo e forse di una città d’un altro tempo: Trieste.
Tre studenti del Conservatorio cittadino che si trovano a suonare a dodici anni quando ancora vestono alla marinara; crescono insieme e mettono in fila circa 3000 concerti in 60 anni di una carriera che li porta a suonare in cinque continenti. Più di 80 opere eseguite in pubblico in una sequela impressionante di successi, incisioni, premi: 30 volte alla Scala di Milano, 60 volte a Roma, 40 volte a Vienna, dove erano letteralmente venerati, solo per fare qualche esempio. Sembra la trama di un film; invece no: è una storia quotidiana e non appariscente di passione per la musica, di devozione spontanea e non banale al proprio destino artistico; una storia di rigore non ostentato nelle esecuzioni, nelle scelte di carriera e nell’insegnamento: insomma è l’inattuale vicenda di tre (anzi quattro) musicisti che han fatto musica da camera come dio comanda.
Ormai qualche anno fa se n’era andato all’improvviso Franco Gulli, e anche la personalità multiforme di Raffaello de Banfield ormai manca da un po’. Non è il caso di cedere alla retorica dei bei tempi andati né di accarezzare ancora i luoghi comuni della Felix Austria che non c’è più: constatiamo però che Trieste perde con De Rosa un altro illustre rappresentante di un’epoca in cui appartenere con naturale orgoglio ai propri luoghi e avere al contempo cultura e sguardo cosmopoliti era normale, un’epoca in cui la dimensione sociale della musica aveva una rilevanza oggi impensabile, un’epoca in cui ai bambini, in ogni casa, si insegnava a leggere le lettere e le note sul pentagramma più o meno contemporaneamente, un’epoca in cui la parola “teatro” e la parola “liquidazione” non potevano stare nella medesima frase, un’epoca in cui un Trio con pianoforte era una cosa davvero importante per una città intera.
Ci sono oggi, in questo preciso momento, migliaia (e non è un modo di dire) di allievi in Italia e nel mondo che piangono e ricordano il loro Maestro Dario De Rosa: chi solo per una Masterclass, chi nell’incanto della cornice di Duino per un periodo più duraturo. Ognuno ricorderà quel movimento di Sonata, quella stretta, quel cantabile… quel preciso aggettivo, quel suggerimento. Un esercito di musicisti di ogni tipo, dai professionisti più acclamati ai più modesti, ha incrociato De Rosa nel proprio percorso, abbeverandosi alla sua fonte di esperienza e generosità. Un esercito oggi riconoscente.
Come riavvicinando all’orecchio una conchiglia marina, molti musicisti e appassionati ora andranno su YouTube, scaricheranno qualcosa da iTunes o rimetteranno su quei mitici vinili o CD Deutsche Grammophon con le memorabili incisioni di Schubert, Brahms o Ravel. L’incantesimo del Trio rinascerà sempre giovane e uguale all’orecchio, anche se il mare di quell’epoca musicale e di quella Trieste si allontana ormai inesorabilmente.
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