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Conferenze • Nel terzo incontro organizzato dal Corriere Musicale presso La Scala Shop per il ciclo “Quel che resta del ’900”, Mario Marcarini, label manager di Sony Classical Italia, ha parlato dell’evoluzione della discografia e della situazione attuale del mercato: è il pubblico over cinquanta a tenere in vita il supporto magnetico
di Cecilia Malatesta
Si apre e si chiude con un’immagine poetica e ironica al tempo stesso il terzo incontro organizzato dal Corriere Musicale per il ciclo “Quel che resta del ’900”: è Venezia seduta nella laguna, dai vecchi fasti gloriosi, dalla bellezza decadente, dal destino ineluttabile; e la parola schietta del veneziano che, quando gli si fa notare quale splendido ma fragile e morituro guscio egli abiti, risponde sicuro: «Intanto, te mori ti». E Venezia nel nostro incontro è l’industria discografica, e il veneziano è Mario Marcarini, label manager di Sony Classical Italia, che non nasconde le difficoltà, ma che non ammette il piangersi addosso e l’abbandonarsi alle solite lamentele della discografia vittima del momento storico, affossata dalla crisi, dal pubblico, dal peer to peer, da YouTube e Spotify.
Ormai lontanissimi i tempi in cui Enrico Caruso, come ha ricordato Marcarini, vendeva incredibilmente un milione di copie con il 78 giri di «Vesti la giubba» e «Mattinata» di Leoncavallo e passata l’impennata di vendite seguita alla nascita del CD fino agli anni Novanta, è innegabile il crollo generale del mercato discografico; che sia, quella che viviamo ora, la fase discendente di una normale e consueta parabola o l’effetto drammatico di un momento storico non propizio è difficile a dirsi; ma, d’altro canto, la musica classica rispetto agli altri generi – il pop sopra tutti – può tirare un sospiro di sollievo. È il suo stesso pubblico over cinquanta (il compratore medio del CD “classici” ha 54 anni, per l’esattezza) a salvarla dalla bancarotta: l’uomo di mezza età che ha poca dimestichezza con le nuove risorse, che non ha voglia di perdere del tempo su internet nel tentativo di scaricare un album, che vuole un bell’oggetto, da tenere in salotto e da regalare, con una qualità audio che i supporti liquidi non sono tuttora in grado di fornire, con un nutrito booklet da leggere.
Il pubblico alla ricerca della qualità è nella musica classica ancora presente e numeroso, lo confermano le nuove uscite di LP per i fanatici del suono analogico “vero” e “caldo” o il profitto di Sony Classical Italia, il cui 27% è dedicato all’esportazione negli Stati Uniti, dove la produzione di CD Sony è bandita e si tende ad ascoltare musica classica – con poca soddisfazione – soprattutto su internet. Necessario dunque assecondare il feticismo per il bell’oggetto, restituire il supporto fisico attraverso uno studio attentissimo della domanda e una competitività sempre maggiore sui prezzi – viva il mecenatismo! – perché oggi pochi sono disposti a spendere regolarmente venti euro per un CD. La produzione Sony Classical Italia punta, da una parte, su una linea educational per bimbi dai 3 ai 10 anni, un pubblico del tutto ignorato finora nel nostro Paese, diversamente da quanto accade nel resto d’Europa, e su una produzione modellata sulla richiesta del fruitore, il quale sembra sempre più ignorare i grandi nomi e i grandi interpreti per prediligere la musica antica e le prime incisioni assolute. Brani inediti, allora, con giovani interpreti, magari poco conosciuti ma di alto livello – Naxos e Brilliant docet – e una presa del suono all’avanguardia per un prodotto finale di altissima qualità che la compressione digitale non riesce ad eguagliare.

E poi, come chi vorrebbe campare di bellezza in questo periodo, anche la discografia non può fare a meno di inventarsi nuove strade; il produrre e affidare ad un sistema distributivo – che è sempre più in crisi e sempre meno capillare – il proprio oggetto non può che portare al fallimento. I negozi specializzati non esistono più, non esiste più il commesso informatissimo in grado di consigliare al cliente una o un’altra edizione, le edicole che distribuiscono settimanalmente il cd allegato al quotidiano o al mensile sono sempre meno; come per i libri, i titoli escono di catalogo in fretta, perché lo stoccaggio in magazzino costa caro, rimangono sugli scaffali i best-seller ma la ricerca di un’edizione particolare può diventare davvero estenuante. I dischi ci sono, ma non si trovano e, se si è costretti ad andare in un’altra città per procurarseli, il gusto dell’acquisto svanisce. Ecco allora il bisogno per il discografico di non trincerarsi nello studio di registrazione, ma di creare eventi musicali che offrano al pubblico di più: ne è un esempio Talent Scout, evento ospite al Festival della Cultura di Bergamo, che prevede una sala di registrazione gratuita per la durata di cinque minuti dove ogni artista può sedersi al pianoforte, incidere e vedere il proprio brano pubblicato su un CD distribuito al Festival l’anno successivo.
«A fare CD e basta, si chiude». Che il colosso Sony riesca a tener alta la testa di fronte a questa fase di impasse si può ben credere, riconoscendogli tutti i meriti del caso; ma, forse, diverse sono le problematiche e il destino di piccole realtà discografiche. Uno spunto per un prossimo incontro?
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